Qᴜɪɴᴅɪᴄᴇꜱɪᴍᴏ ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ

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𝓛𝓾𝓬𝔂

«Io non so nulla! Vi prego lasciatemi andare!», urlo contro tutti loro. Sapere di essere qui per essere usata mi scoraggia sempre di più.
«Tu farai quello che ti chiediamo che ti piaccia o meno», si abbassa vicino al mio volto. Siamo uno di fronte all'altro, così senza riflettere gli sputo in faccia. «Mai!», una mano si posa sulla mia guancia in maniera molto violenta. È la mano di questo buono annulla che ha davvero usato toccarmi!
«Se vuoi restare in vita farai quello che ti ordino!», grida il capo. Perdendo il suo controllo.
Il sangue che circola nel mio corpo si è appena gelato.
«Non so nulla di ciò che volete», infondo è la verità. Fa una risata malefica che non mi rilassa per niente.
«Balle e solo balle!», inizia a farmi veramente paura. Questo da il via ad altre lacrime. Mio padre è sempre a lavoro rigaurdo ai suoi affari non so niente. A volte dubitavo pure che si ricordasse di me.
«Se accettassi cosa mi richiederesti in cambio?», vorranno sicuramente qualcos'altro da me.
«Chiedo soltanto fedeltà oppure..» , fa segno con le mani di tagliarmi la testa. È completamente pazzo!
Non può ne toccarmi, ne tantomeno uccidermi!
Mi troveranno in tempo, perciò tutto quello che ha pianificato non accadrà mai.
«Voi imbecilli sorvegliatela! Oppure saranno guai anche per voi!», detto questo scompare dalla mia visuale, meglio così. Mi trasmetteva soltanto paura. Gli altri due escono dopo qualche minuto lasciandomi lì da sola.

Trovo un piccolo gessetto bianco che utilizzo per disegnare sulle pareti. Queste sono delle pareti molto antiche. Si intravedono anche delle pietre incastonate dentro. Farei qualsiasi cosa per non pensare a tutto questo, a dove mi trovo e pure alla mia possibile fine.

Ritorna Mitch portando con sé i soliti alimenti. Siamo soli in questa enorme stanza. Cosa mi costerebbe provare a comunicare con lui? Magari sentendo la sua voce potrei riconoscerlo.
«Perché non mi parli?», mi guarda intensamente, ma continua a non parlarmi.
Qualche secondo più tardi il suo sguardo è rivolto per terra, come se si stesse arrendendo alle mie parole.
Sembrerebbe una sconfitta. Mi guardo attorno prendendo di nuovo fra le mani il gessetto.
Se non vuole comunicare a parole, perché non farlo con la scrittura? Così glielo porgo. Mi scruta, sebbene poi lo afferra e scrive sulla parete:

non mi è possibile

Da come mi osserva posso capire che vorrebbe spiegarmi la ragione, eppure non può e stranamente gli credo. Credo al suo modo di guardarmi, credo che lui sia diverso da quell'altro. Perché ho tutta questa fiducia in lui?
Non dovrei averla, è uno di loro!
«Cosa vuole da me il tuo capo?», se dovesse accadermi qualcosa di orrendo vorrei saperlo ora, in modo tale da prepararmi psicologicamente al peggio.
Riprende il gesso e scrive la risposta:

la perla nera

«Di che perla parli?», chiedo. Capendo sempre di meno.
Un rumore proviene dalle nostre spalle, così facendo si allontana da me all'istante.
«Mitch ti prego parla!», gli urlo contro. A causa della disperazione i miei occhi si riempiono di lacrime.
Ma non parla. Rimane in silenzio, spostandosi da me.
«Non farti fregare da un viso da angioletto», sbuca dall'oscurità il mio rapitore preferito, nonché il più stronzo. Stavo scoprendo qualcosa, invece adesso rimarrò all'oscuro.
«Quando si farà rivedere il vostro capo?», mi serve saperlo. Penso che con questa domanda una risposta la meriti.
«Non vedi l'ora di andare in Irlanda?», domanda lui a me. In realtà non so per quale ragione debba andare in Irlanda.
«Perché lì?», nonché non mi piaccia, ma trovo eccessivo andare fuori dal continente, eppure qualcosa mi dice che se il viaggio abbia una meta così distante, la questione è pericolosa.
«Il capo svolge i suoi affari in Irlanda. Quindi dovrai accompagnarlo lì!»
Andando lì significherebbe non essere più trovata, non tornare più alla mia vita, non essere più me.
«Sarò solo un ostacolo per i suoi affari!», non sono la persona giusta.
«Tu sei il punto debole di tuo padre! Ci basta questo!» Sicuramente non mi è sfuggito la vera ragione per cui sono qui, ovvero per mio padre.
Non sono più sicura nemmeno del suo lavoro, pensavo di conoscerlo, ma adesso i miei dubbi non lo dimostrano. Ho sempre saputo tutto sul lavoro che svolge Mary, si occupa di un settore d'abbigliamento e di moda, ma mio padre? So poco e niente.
Potrebbe anche lavorare per qualcosa di illegale, tanto non lo saprei comunque.
Non conosco nemmeno il mestiere di colui che ha contribuito a mettermi al mondo, dovrei vergognarmi di me stessa.
La cosa che mi fa più paura è abbandonare la mia vita per iniziarne un'altra, lontana da tutti, vivendo il destino che non ho scelto.
I vestiti che indosso iniziano a puzzare. Ho una voglia matta di lavarmi e di poter fare un bel bagno caldo. Mentre mi osservo, il rapitore si avvicina, sfiorandomi il viso.
«Bambola, non essere triste», mi dice, ma sono schifata dal suo tocco. Queste sono le mani di un delinquente. «Devo dire che sei veramente bella», continua con i complimenti, così mi accarezza, «peccato che non possiamo approfittare di te. Vero Mitch?», chiede al collega, ma lui annuisce soltanto, almeno lui non mostra interesse per questo.
«Il capo sta venendo di nuovo qui. Ha detto che deve riferirti una cosa importante». Non gli rispondo nemmeno, non serve a nulla parlare, non servirà a farmi uscire da qui.
Sentiamo un rumore improvviso e poi una frenata. Entrambi i miei rapitori si alzano, controllando entrambe le uscite. Una porta finestra, molto vicina alla zona che utilizzo io e un'altra porta più grande nella parte nord dell'edificio. Ormai sto imparando a conoscerlo, in caso debba servirmi un giorno.
Io mi alzo, non mi va di stare seduta, voglio prepararmi al peggio. Poi questo letto, dove sto passando le mie ultime ore negli Stati Uniti, mi fa sentire più sporca di quanto non lo sia.

UN DISASTRO CHIAMATO AMORE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora