Mi feci trovare nella hall come mi era stato chiesto. Indossai il mio costume bianco ed intero, nonché mio preferito, e un paio di shorts di jeans. Raccolsi a malincuore i capelli in una crocchia disordinata sperando di non incontrare Chloe per non essere accusata di aver rovinato la sua opera d'arte, anche se ero convinta che, qualora l'avessi beccata, se le avessi spiegato la causa di questo mio imperdonabile gesto avrebbe approvato senza batter ciglio. Ne ero certa.
David era lì in tutto il suo splendore. Tamburellava nervosamente le dita sul bracciolo della poltrona. Indossava dei pantaloncini color caki con ampie tasche laterali, una polo bianca e, ahimè, dei mocassini. Ho sempre odiato i mocassini, li trovo ridicoli e antiestetici, ma devo ammettere che a lui calzavano proprio a pennello.
"Possiamo dare uno strappo alla regola!" Pensai.
Mi avvicinai piano e quando il suo sguardo posò su di me il suo viso si illuminò. Scattò in piedi, sfilò i suoi occhiali ed esclamò: «Eccoti!» mi diede un bacio veloce su una guancia e al sol tatto cominciai ad arrossire. «Avevo paura che ci avessi ripensato o, peggio ancora, che ti lasciassi convincere dal tuo bodyguard che non fosse una buona idea uscire con un totale sconosciuto», confessò sorridendomi.
«Adam? Ma no, dai! Lui fa solo il suo lavoro», mi affrettai a rispondere.
«Sarà», mormorò con una alzata di spalle.
«Poi c'è da dire che abbiamo bisogno di conoscerci. Lavoreremo molto insieme...», blaterai senza respirare.
«Ok», fu l'unica cosa che uscì dalla sua bocca. Sembrava quasi offeso o forse minacciato dalla presenza di Adam e non ne capivo davvero il motivo.
«Dove andiamo?» chiesi immediatamente per cambiare discorso.
Mi prese per mano e mi costrinse a seguirlo. «Ti fidi di me?»
«Certo!» risposi senza pensarci due volte. Eppure non lo conoscevo affatto, aveva ragione, eravamo solo dei perfetti estranei, ma c'era qualcosa in lui che, non so spiegare cosa o come, mi dava un senso di sicurezza che veramente pochi riescono a darmi.
Mi trascinò fuori dall'hotel e ci avvicinammo ad una Lamborghini.
«È tua?»
«No, l'ho rubata.»
Alzai un sopracciglio in risposta alla sua battuta, non era poi così divertente, però era così affascinante che gli era concesso tutto, anche le battute più squallide. Lui rendeva tutto più magico, anche la più piccola sciocchezza.
«Certo che è mia», rispose sorridendo.
«Oh, ma è... fantastica!!!», gridai con entusiasmo. Ero sempre stata amante delle macchine sportive e lo era anche Kevin. Kevin, "chissà cosa starà facendo?!" Pensai. Non che mi sarebbe veramente interessato ma era così strano non averlo più intorno, non sentirlo e cose così.
«Ehi, sei ancora qui con me?» Sorrise e mi aprí la portiera. Annuii.
Mi sedetti e allacciai la cintura. Ero così eccitata di fare un giro in una macchina del genere, soprattutto con un uomo da tanta bellezza e galanteria. Ero così curiosa di sapere dove mi avrebbe portato ma anche cosciente del fatto che uno come lui non si sarebbe lasciato estirpare nessuna informazione in nessun modo, nemmeno sotto tortura. O almeno questa era l'impressione che mi dava.
Fece il giro della macchina e in un attimo vi fu dentro. Si avvicinò, il suo viso era pericolosamente molto vicino al mio, poi abbassò lo sguardo e si assicurò che la cintura fosse messa bene. Arrossii di nuovo.
«Ti ho già detto che sei carina quando arrossisci?» chiese con un ghigno.
Il fatto che lui lo notò non aiutò certo a migliorare la situazione.
Solo quando ritornò al suo posto cominciai a respirare di nuovo normalmente, o almeno ci stavo provando.
«Sei pronta?» chiese facendo tintinnare le chiavi.
«Si, signor capitano», esclamai euforica come rispondono i bambini nella sigla di spongebob al capitano. Lo avevo fatto davvero? Davvero avevo citato un cartone per bambini? Che figura!
Cercai in tutti i modi di nascondere il mio disagio, ovviamente invano. Arrossì nuovamente mentre David si prendeva beatamente gioco di me.
«Spongebob, giusto?»
Annuii.
«Non sei abbastanza grande per guardare ancora cartoni del genere?»
"Sotterratemi!" Pensai.
«Punto primo: io non guardo spongebob, la mia citazione non deve per forza riferirsi a quello», mentii, «punto secondo: se con questa mia esclamazione, la prima cosa a cui hai pensato è uno stupido cartone demenziale, allora sei tu quello che guarda ancora questo genere di cose.»
Mise in moto la macchina e sfrecciammo per le strade di Sidney.
«E comunque non c'è nulla di male nel guardare ogni tanto un cartone», rispose dopo un po' di tempo, quasi fosse infastidito che io abbia offeso quella spugna gialla.
«Ehi, hai iniziato tu a prenderti gioco di me...», gli feci notare, ma lui cambiò quasi subito argomento.
«Hai fame? Vuoi che ci fermiamo prima per mangiare un boccone?» chiede premurosamente.
«Non ancora, ma se tu hai fame facciamo un pit stop.» Nervosa come ero, il cibo era l'ultima cosa che avrei voluto vedere avanti ai miei occhi.
«Allora pranzeremo dopo. Ora voglio portarti prima in un posto.»
«Che io ovviamente non posso ancora conoscere», borbottai tra me e me.
«Sei curiosa, eh?»
«Beh, sai com'è, sono in una Lamborghini con uno sconosciuto, in una città che non conosco, senza il mio bodyguard...»
«Ci risiamo. Se vuoi ti porto indietro», disse accostando.
«No, scusa. È che sono un po' nervosa», affermai abbassando lo sguardo.
«Lo sai, vero?»
Sapere cosa? «Cosa?»
«Che non potrai vivere sempre con il tuo damerino. Prima o poi troverà un altro lavoro o metterà su famiglia. È ora che forse anche tu ti abitui alla sua assenza, non credi?»
Non ci avevo mai pensato ad una mia vita futura senza Adam. In parte David aveva ragione, ma ciò non toglie che comunque ero lì con un estraneo senza conoscere la mia meta e senza qualcuno che possa proteggermi da eventuali pericoli.
«Non voglio tornare in albergo. Andiamo», affermai poggiando una mia mano sulla sua. Non so precisamente il motivo per il quale volevo comunque fare questa "gita", forse volevo dare una prova a me stessa del fatto che potevo cavarmela anche da sola e dare uno schiaffo morale a David stesso.
«Sicura?» chiese in tono dolce. Era incredibile il suo modo repentino di cambiare umore. È alquanto lunatico.
«Certo!»
«D'accordo.»
Tornammo in strada e zigzagammo tra varie macchine. Il silenzio, che si era creato dopo quel breve scambio di opinioni, fu quasi subito interrotto dallo stesso David, il quale cominciò a pormi un innumerevole quantità di domande riguardo la mia vita privata.
Il tempo passò in fretta e in un batter d'occhio ci trovammo su un sentiero isolato. Non vi era nulla intorno a noi se non alberi. Per fortuna era giorno e la strada era ben illuminata. Non volevo nemmeno immaginare come sarebbe stato quel sentiero al calar del sole, il sol pensarci mi faceva venire la pelle d'oca.
«Dove siamo? Sempre se mi è concesso saperlo», chiesi ormai stanca.
«Siamo quasi arrivati.»
«Ma non hai risposto alla mia domanda», gli feci notare.
«Che importanza ha sapere dove siamo? Ormai siamo arrivati. Se io fossi un serial killer e avessi intenzione di ucciderti, comunque non avresti la possibilità di raccontare a qualcuno dove tu sia stata. Rassegnati. Lasciati andare e goditi la mia sorpresa.»
«D'accordo.»
Ci ritrovammo su uno piccola spiaggetta isolata, che forse solo pochi eletti conoscevano. È un angolo di paradiso, uno spettacolo della natura.
Parcheggiamo la macchina in un improvvisato posto auto. David venne subito ad aprirmi la portiera. Mi faceva sentire così importante, così donna.
«Tadan!»
«David, ma è fantastico!» esclamai con lo sguardo fisso sul mare. Le acque presentavano delle increspature, le onde erano abbastanza alte, ma il profumo, l'aria di mare, era eccezionale. Ho sempre amato il mare.
«Spero tu non abbia paura del mare agitato», disse con un ghigno.
«Hai intenzione di fare il bagno?» chiesi sorpresa.
«Non proprio. Vorrei fare surf.»
«Surf? Sei un surfista? Quante altre sorprese ci nascondi David?»
«Avrai tutto il tempo di scoprirle», affermò ammiccando.
«Bene. Mi siedo lì», dissi indicando una vecchia barca a remi, «così posso guardarti mentre affronti le onde.»
«Ah no, cara mia. Forse non hai capito, oggi surferai anche tu.» Cercai di obiettare ma, prima che potessi aprire bocca, David aggiunse: «tranquilla, ti insegno io. E non accetto un "No" come risposta.»
Non avevo mai fatto surf in vita mia. Il mare non mi spaventava affatto, anche perché sono un ottima nuotatrice, ma era la tavola in se che mi spaventa. Per non parlare del fatto che mi sarei dovuta immergere in acque estranee senza conoscere quale specie di "abitanti" la popolano. "E se ci sono degli squali?" Mi domandai.
«Credi davvero possa già entrare in acqua? Io non ho mai fatto surf.»
David rise di gusto. « Oggi non entrerai in acqua. Ti insegnerò qui sulla sabbia come ci si muove sulla tavola.»
Tirai un forte sospiro di sollievo.
«Non cantar vittoria. Se non sarà oggi, sarà domani.»
«Non credo! Dobbiamo studiare i nostri copioni, non possiamo mica perdere tempo così», chiarii subito.
«Si ma ogni tanto una pausa dal lavoro non ci farà mica licenziale?!»
«Preferirei impiegare il mio tempo libero in altri modi...»
«Per esempio?»
«Visitando la città.»
«Touché.»
Non volevo risultare antipatica, eppure ci stavo riuscendo benissimo.
«Scusami ma... dove sono le tavole? Dubito che la tua Lamborghini possa contenere delle tavole da surf», dissi ridendo.
«Perspicace! Comunque in fondo, dopo la scogliera, o meglio dietro, c'è un tizio, un vecchio amico, che noleggia tavole da surf. Aspettami qui, vado a prenderle.»
«Non hai bisogno di una mano?»
«Non ti preoccupare, torno subito.»
David cominciò a sfilare le sue scarpe, poi i suoi pantaloncini e infine la sua polo. Che fisico! Restai a bocca aperta per un po' e lo fissai sfilare verso la scogliera senza staccargli gli occhi di dosso.
David passò il pomeriggio a spigarmi pazientemente come alzarmi e come restare in equilibrio sulla tavola. Diciamo che ero abbastanza brava nonostante fossi una pivella, tanto che Mr muscolo mi riempì di complimenti. Diceva che ormai ero pronta ad entrare in acqua e a mettere in pratica tutto quello che mi aveva insegnato.
Stanchi ma soddisfatti ci sedemmo a terra osservando il mare e sorseggiando una birra ghiacciata.
Il sole stava ormai tramontando ed era ora di rientrare in albergo. Ci aspettava un intero copione da leggere e studiare.
Mi alzai per infilarmi i miei pantaloncini e presi le bottiglie di vetro ormai vuote per andarle a gettare negli appositi contenitori.
«Non penserai mica di andarcene ora?!»
«David è tardi. Dobbiamo ancora cenare e studiare...»
«Non possiamo ancora lasciare questo posto. Non prima di aver visto questo...», disse indicando il sole che tramontava nell'acqua.
«D'accordo! Ma dopo andiamo via.»
David annuì e mi tirò a se facendomi sedere tra le sue gambe avanti a se.
Guardammo in silenzio il tramonto. Il cielo si colorò di rosa, poi di rosso e infine varie sfumature di blu che sostituirono i colori antecedenti.
La temperatura era ormai calata e cominciai ad avere qualche brivido di freddo. La cosa non sfuggì a David che subito mi cedette la sua polo.
«Ora sarà meglio andare», affermò alzandosi, «non vorrei tu congelassi per colpa mia.»
«Se dovesse succedere sarebbe almeno per una buona causa. Credo sia stato il tramonto più emozionante che io abbia mai visto», confessai.
«Sono contento che ti sia piaciuto.»
Tornati in macchina afferrai il cellulare, che avevo lasciato lì, per controllare se mai qualcuno mi avesse cercato, ma questo era spento, forse scarico, da chissà quanto tempo.
David tornò in macchina con una felpa femminile, la quale mi porse. Sfilai la polo e gliela restituì. Indossai la felpa ed esclamai: «ne hai sempre una di riserva se mai le tue conquiste perdessero gli indumenti?!»
«Ma se mi vedi così superficiale, con quale criterio oggi hai accettato di uscire con me?» chiese offeso per la mia battuta.
«Scusa non volevo offenderti, non era mia intenzione, stavo solo... scherzando.»
«D'accordo.»
Il viaggio di ritorno fu alquanto silenzioso. Ci fermammo ad uno stand per mangiare degli ottimi kebab e poi tornammo in albergo. Ma fino ad allora David nemmeno mi rivolse la parola.
Arrivammo fuori la mia suite, stava finalmente per dirmi qualcosa quando improvvisamente uscì,dalla suite di fronte, Adam come una furia.
«Dove sei stata fino ad ora? Ti ho chiamato cinquantasei volte!» gridò agitato.
«Come vedi sto bene», risposi mantenendo la calma.
«Ti ho cercato per tutta la città...», continuò gridando.
«Ha detto che sta bene. Ora è qui, non c'è bisogno che...»
«Non si intrometta. Non le riguarda», lo avvertí Adam.
«Ora basta! Non sei il mio babysitter, Adam. So cavarmela anche da sola», sbottai nervosa.
«Cosa?»
«Hai sentito bene, damerino. Tornatene a letto», ordinò David.
«Bene!» Adam prese la giacca, chiuse la porta alle sue spalle e si avviò verso l'ascensore.
«Dove stai andando?»
«Non sono affari che ti riguardano, Nina.» Le porte si aprirono e Adam entrò all'interno dell'ascensore. Non riuscì a vedere quale pulsante ebbe premuto, consequenzialmente non ebbi idea di dove fosse diretto.
«Scusalo, è molto protettivo bei miei confronti», spiegai con calma a David.
«Non importa. Vedi che la nostra conversazione di oggi ha avuto i suoi frutti.»
«Ti va di entrare?»
«Magari domani. Ora è meglio riposare.» Mi diede un lento e dolce bacio sulla guancia e infine sussurrò: «Buonanotte, Nina.»
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Resterò al tuo fianco
Mystery / ThrillerNina Clarke, modella inglese, è una delle donne più affascinanti di Londra. Un giorno Justin Cook, suo manager, le informa che è stata appena scritturata come protagonista per un film di Zachary Brooks, famoso regista australiano. Sarà così costret...