Capitolo 11

53 6 1
                                    

SAMANTHA'S POV

È sabato.
Ripeto. È sabato.
Manca un giorno. Un giorno e poi tutto sarà finito. O almeno così spero.
Ieri pomeriggio sono andata insieme a Jada dalla polizia.
Siamo andate solo io e lei. Ci siamo inventate una scusa, e grazie a Cloe siamo riuscite a tenere sott'occhio tutti coloro che pensiamo facciano parte di quelli che hanno chiesto il riscatto.
Giovedì mattina, invece, abbiamo individuato chi sono i ragazzi che hanno aiutato Adam a portarci nella casa abbandonata.
"Quindi signorina, vorremmo sapere perché deve ritirare una somma così alta di denaro." Mi chiede gentilmente il banchiere seduto di fronte a me.
Non so cosa rispondere.
"Samantha, va' pure, parlo io con il signore." Risponde mia madre, facendomi cenno di andare.
Ovviamente, ho riferito tutto anche ai miei genitori. Mio padre era rimasto composto sulla sedia ed impassibile, come il suo solito; mentre mia madre, al contrario, aveva corso per tutta la casa urlando come una pazza isterica. Non le davo torto, anche se il suo comportamento non è che mi avesse aiutata granché.
Mi trovo fuori dalla banca a prendere una boccata d'aria fresca.
Un ragazzo alto biondo cattura la mia attenzione.
Sta suonando qualcosa sul lato opposto della strada. Attraverso velocemente, ritrovandomi così a pochi metri da lui.
Suona la batteria ed è davvero bravo. Apro il portafoglio ed estraggo così una banconota da un dollaro.
Purtroppo non ho portato molti soldi con me, e mi ritrovo a sorridere tristemente al ragazzo, che mi guarda come se fossi un angelo.
Rimango ancora qualche minuto ad ascoltarlo, fin quando smette di suonare.
"Suoni davvero benissimo." Dico un po' timidamente.
"Oh beh grazie mille." Risponde altrattanto cordialmente. Sto per andarmene, visto che è una situazione troppo imbarazzante per me, ma il ragazzo mi ferma con le sue parole.
"Come ti chiami?"
"Samantha. Tu?"
"Io mi chiamo-"
"Samantha! Vieni dobbiamo andare!" Urla mia mamma al di fuori della banca.
"Mi dispiace ma devo andare. Ci vediamo presto." Dico mentre già sto raggiungendo mia madre.
"Lo spero!" Risponde lui, quando ormai ho girato l'angolo della via.
Lungo il tragitto siamo rimaste entrambe in silenzio.
Ho sentito più volte mia mamma tirare su col naso, segno che stava per piangere.
Siamo nervose, ma come biasimarci.
Quando arrivo a casa mi meraviglio di trovare mio padre insieme a Zoe in cucina.
Solitamente lavora sette giorni su sette, perciò non è così normale trovarlo a casa il sabato pomeriggio.
"Papà, che cosa ci fai qui?"
"Vieni nel mio ufficio." Dice salendo le scale, con il suo solito sguardo gelido.
Da come parla sembra quasi che io sia una sua impegnata, e che lui sia sul punto di licenziarmi.
Entriamo nel suo ufficio, situato a fianco della camera da letto dei miei genitori.
"Dimmi tutto." Dico con nonchalance.
"Volevo parlarti di quello che succederà domani." Dice con tono distaccato, come se stesse parlando veramente di un affare lavorativo.
"Ok, parliamone." Sono offesa? Certo che si. Sono ferita? Ovviamente. Sono abituata? Senza ombra di dubbio.
Non ho mai sopportato questo lato di mio padre. In realtà, non ho mai sopportato lui.
Quando ero piccola non stava mai a casa, non si preoccupava mai dei figli. Persino mia mamma ogni tanto si comportava come se non avessimo realmente un padre.
Una volta siamo partiti in vacanza solo io, Matt e mia mamma, perché mio padre aveva messo per l'ennesima volta al primo posto il lavoro.
Fu proprio durante quelle due settimane che mia madre scoprì di essere incinta di Zoe. Ma, ovviamente, lui non aveva assistito neanche a quella gioia della nostra famiglia.
Matthew ha sempre fatto da capo famiglia, e ha sempre fatto da padre, a me e Zoe, quando ne avevamo bisogno.
Ora che ci penso, a lui, non devo proprio nulla.
"Domani dovrai stare attenta. Ho paura che queste persone possano fare qualcosa di pazzo o meschino. Dunque, mantieni la calma, e so che tu ci riesci bene, e soprattutto non andare oltre al tuo compito. Non essere curiosa, non fare domande. Fa' ciò che loro ti chiedono senza fiatare, non come succede quando Stephanie ti richiama e tu non ascolti." Sono senza parole. Non dico che abbia detto cose errate, ma sicuramente questo non è certo un discorso che ci si aspetta dal proprio padre in una situazione del genere.
"Oh beh certo, perché tu sei in casa quando la mamma mi richiama? Mi parli come se mi conoscessi ma la verità è che tu non sai proprio niente! Né di me, né di Matt, né di Zoe e né della mamma! Tu ormai sei come un estraneo, ma tanto lo sei sempre stato!"
"Non ti permetto di parlarmi così. Io sono tuo padre, e come tale pretendo rispetto da parte tua."
"Certo certo, tu sei mio padre. E quando io avevo bisogno di te dov'eri? A lavoro ovviamente, perché il dovere prima di tutto. Mi spiace, ma se non fosse stato per Matthew in questi anni, non so cosa sarebbe successo a noi tre." Ormai ci siamo alzati tutti e due dalla sedia, e lo vedo avanzare verso di me.
"Io ho fatto tutto per voi. Anni e anni di sacrifici solo per non farvi mancare niente. Ho rinunciato persino alle domeniche a casa, solo per poterti dare tutto ciò di cui avevi bisogno!" La situazione è degenerata. Mia mamma entra senza bussare, insieme a Matt, rimanendo però in silenzio. Ma io voglio parlare. Questa è l'occasione per far capire a mio padre tutto quello che abbiamo passato a causa sua.
"Io volevo te, il tuo affetto, una tua carezza. Non volevo un giocattolino che probabilmente avrei perso nell'arco di li a poco! Ma tu non ne volevi sapere, perché a te non è mai importato niente di noi, niente! A te importa sol-" il mio sfogo viene interrotto dalla sua mano sul mio viso. Sento le lacrime che stanno per scendere, ma cerco di trattenermi. Matthew si avvicina pericolosamente a mio padre, ma fortunatamente c'è mia mamma a trattenerlo.
Lo guardo con freddezza e disgusto, tanto che lo vedo arretrare di qualche passo, come se il mio sguardo gli avesse fatto male, proprio come lui ne ha fatto a me.
"Dylan Jones, bel lavoro. Domani mi comporteró proprio come vuole lei, ma mi lasci dire un'ultima cosa. Guardi che strano il destino, ha lavorato anni, come dice lei, per guadagnare soldi per noi, ed ora mi ritrovo a doverli spendere tutti perché se no rischio la vita. Tanti sacrifici, per cosa alla fine?" Vedo mio padre confuso, ed immagino non capisca dove voglio arrivare.
"Non capisci che i soldi possono andarsene da un momento, ma anche le persone. E a te che cosa rimane? Certo, ti rimangono centomila dollari in più sul conto, ma ti rimane una persona in meno nel cuore. Dovrà contare pur qualcosa no? Ti chiedo solo di pensa alle mie parole, domani mattina mentre vai a lavoro." Concludo, uscendo poi dall'ufficio.
Prendo la mia felpa appesa sull'attaccapanni ed esco di casa.
Non mi ero accorta facesse così freddo, per questo inizio a battere denti, facendomi anche male.
Non so perché, ma incomincio a correre verso un meta non precisa.
D'un tratto mi accorgo di vedere tutto appannato. Le lacrime non fanno a meno di uscire, e per la seconda volta in un giorno mi ritrovo a piangere.
Tiro un urlo di frustrazione e aumento la velocità. Riesco a distinguere una figura davanti a me, ma la ignoro continuando a correre. Fin quando due braccia forti mi prendono dai fianchi. Inizio ad urlare, pensando sia uno degli uomini che mi ha ricattata, ma mi fermo quando riconosco il suono della sua voce.
"Ehi Sammy, tranquilla. Ci sono qua io."
"Oddio Ryan. Io non ci riesco." Per quanto volessi fermarmi di piangere, non appena ho appoggiato il viso sul suo petto sono scoppiata in un pianto disperato.
"Vieni con me."
Dopo circa cinque minuti di camminata ci ritroviamo in un piccolo parchetto.
Continuo a tremare, ma Ryan sembra accorgersene porgendomi la sua giacca di pelle nera. Non mi piace molto questo stile, ma sicuramente non ho intenzione di badare a questo adesso.
"Grazie."
"Di nulla. Ti va di parlarne?" Faccio segno di no con la testa. Per quanto ci siamo spinti oltre ad una semplice amicizia, non mi va di raccontargli le cose personali.
"Sammy hai bisogno di sfogarti. A meno che il tuo ragazzo non ti abbia-"
"Ryan qualche giorno fa stavo per baciarti dietro un supermercato. Ti sembra che possa avere un ragazzo?" Dico un po' alterata. Ma lui non ci fa caso.
"Sicura di non voler parlare?" Chiede un po' più pacatamente.
"Ho litigato con mio padre." Non so perché abbia voglia di raccontargli quello che è successo, ma fin da subito non mi è sembrato un tipo che va a dire in giro le cose degli altri. Forse anche perché alla fine non ha poi così tanti amici.
"È stata una litigata molto pesante?"
"Viste le condizioni in cui mi hai trovata non ti sembra?" Non risponde, ma si limita a girare il viso verso il parco davanti a noi.
"Scusami. Comunque si, è stata molto pesante. Non avevamo mai litigato così e lui non mi aveva mai alzato le mani, quindi."
"Ti ha picchiata?" Chiede Ryan in allerta.
"Si, ma non come pensi tu. Mi ha solo tirato uno schiaffo e non l'aveva mai fatto prima." Rispondo sovrappensiero.
"Sammy non c'è un modo peggiore o migliore di picchiare. Non si deve fare. Punto."
"Forse me lo sono meritato."
"Ne dubito. Sei sempre così pacata e tranquilla." Dice facendo una piccola risata.
"Magari stasera non lo sono stata poi così tanto." Dico in tono quasi divertito, mentre alzo il viso verso di lui.
"Non penso sia una male perdere il controllo ogni tanto." Risponde guardandomi altrattanto divertito.
Pian piano lo vedo avvicinarsi a me, e capendo le sue intenzioni, giro di scatto il viso da un'altra parte.
"Scusa, pensavo che-"
"No Ryan è colpa mia. In realtà penso che fra me e te sia successo tutto troppo in fretta. Insomma... io non so nulla di te, tu non sai nulla di me, ciò nonostante ci ritroviamo a comportarci come una coppietta nata da poco."
Seguono attimi di silenzio da parte di entrambi, direi un silenzio quasi imbarazzante.
"Allora conosciamoci." Dice, poi, ovvio.
"In che senso?"
"Esci con me. Quando vuoi tu, tanto sono libero quasi tutti i giorni, tranne quando..." Lo vedo bloccarsi di colpo, ma non capisco a cosa stia pensando.
"Cazzo le prove! Mi sono completamente dimenticato! Sammy dobbiamo correre subito a casa tua." Non ho il tempo di rispondere che Ryan mi ha già preso per mano.
"Comunque mi piace il nomignolo." Urlo anche se sono già senza fiato.
"Quale nomignolo?"
"Sammy. Mi ricorda quando ero piccola."
Corriamo ancora per centinaia di metri, poi finalmente ci ritroviamo davanti a casa mia e ci fermiamo qualche istante a riprendere fiato.
"Allora... quando... potresti..." Non riesce neanche a parlare, ma intuisco quello che mi vuole dire.
"Martedì... alle 16.."
"No ... abbiamo le prove."
"Quando non avete le prove?"
"Il mercoledì."
"Bene, e mercoledì sia."

---------------
Che dite??💛
Nuovo personaggio: Evan.
Alla prossima 💜
Alias90 💙

We Are Friends(#Watty2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora