3. Vendetta (Capitolo revisionato)

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È già mattina, mentre, aperti gli occhi, lo spettacolo che ho dinanzi è lo stesso di sempre.
Sistemo il letto, apro la finestra della mia stanza, scelgo cosa indossare, e in pochi minuti, data la mia semplicità e i miei gusti poco sfarzosi, sono già pronta per andare a lavoro, quindi scendo le scale, e, aperta la porta di casa, mi dirigo verso la CCG.
"Mirai, non dispiacerti troppo. Sono cose che capitano, purtroppo."-mi saluta mio padre, ma le sue parole sono così fredde, quasi vuote, che, come al solito, lo sento lontano, assente: cerca di incoraggiarmi, ma lui è troppo debole, per darmi forza. Ed ha sofferto troppo, per fare del bene, e smettere di pensare a ciò che lo rende felice, per fare contenti gli altri.
È ancora molto presto, ma non ho fatto colazione. Non ne ho voglia. In realtà, non avevo nemmeno intenzione di alzarmi dal letto, questa mattina, eppure sono qui, pronta per affrontare un nuovo giorno di lavoro.
Cammino a passo svelto, eppure non ho fretta. Sono stanca, e confusa, eppure ho le idee chiare, e so perfettamente cosa è successo. Avrei tante cose da dire, avrei anche voglia di piangere, eppure non parlo, e non piango, ma taccio. Continuo a tacere, e a vivere, nonostante sia morta, già da un po' di tempo.
Raggiunta la mia meta, anche nella CCG, oggi, sembra regnare la calma e il silenzio e, al contrario dei giorni precedenti, nessuno ha fretta di raggiungere un posto. Nessuno è agitato, nessuno ride, o litiga con qualcun altro.  Semplicemente, tutti continuano a tacere, dando vita, così, ad un silenzio tombale, che mi inquieta, e mi tranquillizza, al tempo stesso.
Un giorno fa, non mi sarebbe passata nemmeno per la mente l'idea di morire. Anzi, consideravo la morte un qualcosa di lontano, di irraggiungibile, come se non mi riguardasse, come se non la meritassi.
Scommetto che neanche Misa aveva fatto i conti con una realtà che, invece, riguarda tutti noi, e che, prima o poi, è costretta ad avvolgerci, e a portarci via con sé, ad intrappolarci, ad impedirci di continuare a vivere. Eppure, perfino chi è rimasto in vita, evitando così il pericolo della morte, smette di vivere, e diventa schiavo del dolore. Quando qualcuno muore, infatti, anche chi è vivo soffre, ma senza morire per davvero, straziato dalla solitudine. Ripensando a ciò che è accaduto, a stento, riesco a trattenere le lacrime. Ma io l'ho promesso: ho giurato a me stessa che non avrei mai pianto; per niente e per nessuno, quindi non piangerò. Ho giurato di non soffrire, quindi farò finta di essere felice.
Non andrò al funerale di Misa, perché, anche se lo facessi, andrebbe a finire sempre allo stesso modo. Col tempo, infatti, dimenticherei, ugualmente, il sorriso della mia amica, la sua voce, e i tratti del suo volto. In fondo, ciò è inevitabile, proprio perché non c'è nessuna colpa, nel dimenticare. Anzi, dimenticare chi è morto è la cosa più giusta che una persona viva possa fare, per continuare a essere tale. Se non si impara a dimenticare, dunque, prima o poi si è costretti a lasciarsi andare alla solitudine. E la solitudine ti avvilisce, ti schiaccia, ti distrugge, ti porta a morire, e a te non rimane che abbandonarti alla tristezza e ai sensi di colpa, quando, invece, non ha importanza abbattersi. Non ha senso, perché, alla morte, non esiste rimedio concreto. Soprattutto, perché nessuno, morendo, lascia un vuoto, che il tempo è incapace di colmare.

               •••••••

Un paio di giorni fa, ho conosciuto la ragazza che prenderà il posto di Misa, il cui corpo, privo di vita, è stato ritrovato da un agente di polizia, in una piccola stradina qui vicino. Sul cadavere della mia amica, era possibile scorgere evidenti segni di morsi, lasciati, molto probabilmente, da un ghoul, che si è anche preoccupato di strappare diverse parti del corpo di Misa, e di sfruttare la sua carne, per continuare a vivere, in un mondo dove il più forte si serve della persona debole, si nutre di quel briciolo di coraggio che ella possiede, per diventare sempre più pericoloso, a dispetto degli altri.
Sono passati soltanto pochi giorni, da quando sono diventata un'investigatrice a tutti gli effetti, ma molti dei miei compagni dell'accademia hanno già deciso di ritirarsi. Altri, invece, seppure lo desiderassero per davvero, non hanno fatto in tempo ad abbandonare il combattimento, perché rimasti uccisi in battaglia: razza di gente inutile; codardi, incapaci!
Misa, io proteggendoti in diverse occasioni, non ho fatto altro che renderti ancora più vulnerabile, di quanto già non fossi. Io, salvandoti dal pericolo, non ti ho resa più forte, ti ho soltanto condotto alla morte, più velocemente. Sono stata una stupida, sin dall'inizio. Tu, infatti, non eri capace nemmeno di proteggere te stessa, figuriamoci se saresti stata in grado di correre in aiuto dei tuoi compagni, di lavorare in squadra, di mostrarti forte, davanti a quei mostri. Tu, che eri così debole e inutile.
"Mirai!"-mi sento chiamare, avvolta nei miei pensieri, mentre la voce della mia nuova collega mi riporta alla realtà, impedendomi di continuare a parlare con me stessa.
"Buongiorno Minami!"-saluto, sorridendo, la giovane con corti capelli corvino, che mi si è avvicinata, correndo.
"Il signor Amon ci ha fatte chiamare, devi venire subito!"
E, dopo aver ripreso fiato, stremata dalla corsa, Minami ripercorre il lungo corridoio, dal quale è arrivata.
"Sto arrivando!"-urlo, affinché l'investigatrice possa sentirmi, mentre la seguo da lontano.
Basta pensare a ciò che è stato: il lavoro mi chiama e, quando si è vivi, e in guerra, non si ha tempo di guarire i feriti. Il compito dei soldati è quello di continuare a combattere e di pensare soltanto a se stessi; quando si è in guerra, ognuno deve badare a proteggere i propri ideali e valori, per vincere.
Misa, perdonami, ma non ho colpe per ciò che ti è successo. Il fatto è che io avrei dovuto dirtelo. Avrei dovuto dirti che, nella vita, non c'è tempo per gli altri. Che io non ho tempo per gli altri.

               •••••••

"Non mi prendi! Non mi prendi!"
"Spingimi più forte! Di più!"
"Mamma, quel bambino mi ha fatto male!"
"Tesoro, non è niente."
Quella sera, il parco era strapieno di gente.
Mi ero fermata per riposare, ma quando ero già pronta per ripartire, e riprendere a giocare, con gli altri bambini, vidi mio padre che si avvicinava. Corsi da lui e lo salutai, sorridendo, ma egli aveva una faccia stanca, triste e preoccupata, che mi impedì di dire qualsiasi cosa, di sorridere ancora. Mio padre mi prese per mano, e mi disse che era giunta l'ora di tornare a casa, sebbene, in realtà, nonostante il sole stesse tramontando, ancora, sulla terra, non era calata la notte. Camminammo per un po', fino a quando non raggiungemmo casa nostra.
Mi tremarono le gambe, per tutto il tragitto: avevo uno strano presentimento. Guardando in alto, mi accorsi che, in quel momento, il cielo era completamente buio, mentre tante stelle splendevano luminose: era calata l'oscurità. L'oscurità, che è morte, aveva avvolto ogni cosa. E anche me.
Quando aprimmo la porta di casa, mi aspettai di rivedere la mamma. Ma non fu così. Non rividi più mia madre. Era estate, e la persi, accorgendomi di amare, molto di più, l'autunno. Era notte, e dovetti dire addio alla donna più importante della mia vita, rendendomi conto di preferire al buio, la luce, e alla morte, la vita.
E, per questo, scelsi di continuare a vivere.

Ogni sera, apro la porta di casa e incomincio a parlare, mi rivolgo alla mia mamma, nonostante io sappia che, alle mie parole, nessuno mai risponderà. È da tanti anni che non sento la sua voce: l'ho dimenticata; ho dimenticato il profumo di una persona speciale, la sua risata, ma non perdonerò mai. E continuerò a soffrire in silenzio, a vivere, in attesa di una piacevole vendetta.

Mi sono innamorata di te [In revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora