Incontri straordinari

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Sono sempre stato un grande appassionato delle uscite in bicicletta, sulle colline e nelle radure vicine a Bologna: mi permettono di staccare dalla vita, prendere un momento per me e incontrare persone straordinarie.
Una di queste era il signor Cocchi, incontrato l'estate del 2016 mentre viaggiavo sulle rive del Savena.
Era una giornata perfetta per andare in bici: il vento soffiava leggero e creava una sinfonia di fruscii e rumori nella foresta, il grano era già alto nei campi, ma verde, pieno di vita, come tutta la foresta intorno a me; alcuni animali si affacciavano incuriositi dalla mia bicicletta e io mi fermavo e gli facevo una foto, quando riuscivo; mi ero fermato un attimo su un ponte a contemplare il paesaggio mozzafiato di Bologna e i piccoli turbinii e giochi di colore dell'acqua, quando vidi una piccola casa circondata da un grande giardino; in mezzo ad esso c'era un uomo alto e magro, con un cappellino e una camicia a quadri, che mi salutava con la mano; io salutai timidamente e lui mi fece segno di avvicinarmi.
Presi la bici e entrai dal cancello ben curato che una volta sarebbe servito per i trattori. Vedendolo più da vicino mi accorsi che il suo viso era cosparso di rughe e che le sue mani erano ruvide e dure, di qualcuno che ha lavorato tutta la vita al suo campo; mi disse di chiamarsi Mirco e che mi aveva chiamato perché mi aveva visto senza forze; in effetti era ormai mezzogiorno e io iniziavo un po' ad affannarmi. Mi offrì un po' di miele che gustai goccia per goccia: aveva un sapore particolare, si sentivano tutti i profumi della primavera, una sorta di marmellata di fiori, tanto era gustoso.
Mi raccontò che una volta lì c'erano migliaia di api e che tutto risplendeva di mille colori, purtroppo la costruzione di una strada a poche decine di metri dagli alveari le aveva fatte allontanare. Mi chiese se avevo un po' di tempo, io gli risposi di si e iniziò a camminare nella foresta, seguito a ruota da me; la vegetazione era spettacolare, gli alberi formavano un tetto verde che lasciava passare solo pochi raggi di sole e sotto a esso la vita selvaggia regnava suprema: piccoli scoiattoli volteggiavano sulle nostre teste rapidissimi saltando tra un ramo e l'altro, i funghi alle basi degli alberi erano di un rosso intenso ed era come se la foresta respirasse attorno a noi; in quel momento mi sentii quasi disgustato dalla città: quel rumore continuo, la fretta e la paranoia della vita quotidiana sembrava un ricordo lontano, mi sentivo tuttuno con la terra.
Dopo una ventina di minuti arrivammo in una radura con un grande albero in mezzo; l'erba formava un tappeto verde soffice e il cielo sembrava più blu del solito; ci dirigemmo verso un angolo della radura dove crescevano mille fiori diversi: dai tulipani alle orchidee, dai papaveri alle viole, tutti i colori erano rappresentati.
Mirco si avvicinò e iniziò a piantare qualche seme, scavando piccole buche e infilandoci un semino all'interno. Mi disse che questi semi sarebbero cresciuti durante l'inverno e che fra un anno sarebbero sbocciati anche loro.
In quel momento non capii perché me lo fece vedere, ma ringraziai comunque e ritornai verso casa.
Sulla strada del ritorno mi dovetti fermare più volte, a corto d'ossigeno: le macchine e l'asfalto lo prendevano tutto e io dovevo limitarmi alle briciole.
Non tornai da Mirco per cinque anni, dato che andai a studiare medicina in Francia. Quando tornai spolverai la mia bici e cercai di ricordarmi la strada che avevo fatto quel giorno.
Dopo un po' di tentativi ritrovai il terreno su cui una volta si ergeva la casa del mio amico, ma ci trovai delle villette a schiera, la città era arrivata anche li, nel bel mezzo della campagna. Presi la bici e camminai sul sentiero ormai ben marcato nella foresta; arrivato nella radura quasi persi il mio fiato: quasi tutta la radura era ricoperta da fiori, un campo sterminato che risplendeva alla luce del sole con tutti i colori dell'iride; notai che in un angolino c'era una piccola capanna, bussai e Mirco aprì la porta, sorridendomi; mi spiegò che durante la mia assenza aveva venduto la sua proprietà per potersi dedicare ai suoi fiori, piantandoli a mano uno ad uno, con pazienza infinita.
Tutto contento mi disse che doveva farmi vedere una cosa; andammo verso l'albero centrale e, con mia grande sorpresa, al suo interno un grande alveare brulicava di vita e di attività: sembrava una piccola città in miniatura, dove tutti erano indaffarati nelle loro faccende: chi accudiva i giovani, chi volava a prendere il nettare... questa visione mi fece piacere un po' di più la città.
Mirco andò un attimo nella sua casa e uscì poco dopo con un vasetto di miele e me lo offrì; ne presi un cucchiaio abbondante e ritrovai tutti i sapori di cinque anni fa, come se nulla fosse cambiato. Non potei non dargli un abbraccio che lui ricambiò gentilmente.
Mirco morì pochi mesi dopo, mentre dormiva nella sua capanna; non avendo nessuno mi occupai io delle esequie e lo feci seppellire vicino al suo albero, nel suo piccolo paradiso terrestre.

Che ne dite? Va bene? Consigli per migliorare oppure suggerimenti per una prossima storia?

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