la figlia del grande dittatore

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Girai l'ultima pagina del libro, una volta terminata anche questa lo chiusi e sospirai.
Odiavo quando i libri avevano quel finale in sospeso che ti lasciava l'acqua alla gola e dovevi per forza leggere il volume  seguente oppure saresti morto di curiosità.

Mi guardai attorno, ero nell'immensa biblioteca della mia casa da ormai tutta la mattina. L'ora di pranzo era arrivata e lo capii solo dalla cameriera che venne a chiamarmi.

-buongiorno- annunciai sedendomi a tavola. Mio padre mi sorrise e cercai di immaginarmi cosa avesse fatto quel giorno, ovviamente non mi azzardai a chiederlo perché mi avrebbe solo risposto con "è top Secret, cara" però chiesi come gli fosse andata la giornata.

-in modo meraviglioso, l'ultima ribellione è stata sedata ed ora la pace regna- da come lui parlava della nostra nazione io mi immaginavo semplicemente un paese in pace come nei libri che amavo leggere dove dei saggi sovrani erano amati dal popolo e la serenità era presente in ogni persona.

-padre, oggi nella biblioteca ho cercato un libro che volevo ma non l'ho trovato. Posso chiederti di procurarmelo?- l'uomo mi sorridette e chiamò un cameriere
-non ti prometto niente ma lo farò cercare- mi disse e io gli riferii il nome del libro.

Nella nostra società misteriosamente erano scomparsi tutti i libri della nazione e i pochi rimasti erano nella nostra immensa biblioteca che era grande quasi quanto un campo da calcio.
Purtroppo non tutti i libri furono stati salvati in tempo e spesso mi ritrovavo con Serie o Saghe non terminate e lasciate solo a metà.

-però nel frattempo puoi cominciare a leggere qualcos'altro. Ti fa bene- mio padre teneva molto all'instruzione, specialmente alla mia.
Mi spingeva a leggere tanti libri e a studiare con assiduità.
Obbedivo perché nonostante odiassi studiare materie come storia, amavo leggere.

A fine pranzo tornai in biblioteca per prendere un libro che avevo adocchiato qualche giorno prima e poi andai in camera per leggere sul letto.

Come segnalibro usavo una foto della mia famiglia, c'ero io con i miei occhioni neri e i capelli corti scuri, la copia più piccola della donna accanto a me, mia madre; poi c'era mio padre, un uomo sui cinquanta, alto, robusto, con quella pancetta caratteristica degli uomini della sua età, sul viso lungo c'era un nasone in netto contrasto con i suoi occhi piccoli a causa della miopia.
Quella foto era stata fatta due anni prima, un mese prima della morte di mia madre uccisa brutalmente mentre teneva un discorso sulla pace.
Avevo quattordici anni e non ero abbastanza cresciuta per sopportare la sua perdita.

-Amintha, tesoro, vieni un attimo nel mio studio, dobbiamo parlare- di solito mio padre mi faceva chiamare dai camerieri quindi intuii subito ci fosse qualcosa che non andava.

-siediti- lo studio antico di mio padre si affacciava sulla ricca città di Juan, la capitale. Una grande vetrata lasciava passare la luce necessaria per illuminare tutto alla perfezione.

-voglio parlarti un poco della nazione-cominciò con un sorriso sornione
-è stata costruita, formata dai nostri avi con basi solide e ben funzionanti. Sono trecento anni che tutto questo è in mano nostra. Voglio che tu ora sappia quale è il nostro segreto. Tutti i libri che sono scomparsi, in verità, sono stati bruciati per dare la possibilità solo alla nostra famiglia di prenderne possesso. Abbiamo limitato, negato, l'educazione. Questo per dare la possibilità a tutti di essere felici- aspettò qualche secondo per vedere qualche mia reazione però rimasi ferma, in silenzio mentre nella mia testa prendeva forma il suo ridicolo discorso.

-papà, non voglio mancarti di rispetto ma questa cosa mi sembra alquanto stupida- mi morsi la lingua per essere stata così diretta, mio padre fece uno dei quei sorrisi consapevoli prima di riprendere a parlare.

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