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Il ragazzo uscì dalla doccia, asciugò l'acqua che colava sulle sue spalle, tamponò i capelli fradici. Avvolse l'asciugamano attorno alla vita e, con passi delicati, si posizionò davanti allo specchio. Passò una mano sul vetro opaco, facendosi spazio fra la condensa e il vapore; studiò l'immagine che gli veniva riproposta. Dietro le ditate lasciate sulla superficie umida, due occhi verdi, come le foglie depositate al suolo, emergevano in un volto deturpato dalle cicatrici.
Ce ne era una che tagliava il volto a metà, segnando le guance e il naso con un solco bianco. Un'altra, più piccola, tagliava il sopracciglio sinistro e spariva fra le ciocche di capelli castani. Altre, minori, ricamavano la sua pelle senza ordine logico.
Passò le dita sui segni marcati, come una carezza timida, esplorando il volto che tanto gli pareva estraneo.
Poi la mano scese sul collo, e sul petto, dove si strinse all'altezza del cuore. Graffi, linee parallele e croci imprecise, si stendevano sul suo torace, lo stomaco, all'altezza dell'ombelico. Teneva il pugno in quel punto non perché ci fossero i precordi, centro delle sue emozioni e fulcro dei suoi sentimenti: bensì, lui la percepiva, lì, la bestia che fremeva sotto gli strati di carne e le vene pulsanti. Abbatteva i propri artigli sulle costole e premeva verso lo sterno, in una richiesta insopportabilmente costante di libertà. E gli parlava, oh se gli parlava! Gli sussurrava parole suadenti, tentazioni razionali e bisbigli illogici. La bestia era una seduttrice, un' incantatrice che ipnotizza e piega alla propria volontà. Le sue parole erano morbide come seta, echeggiavano nelle sue orecchie come un grido in una radura, lo ammaliavano e torturavano al contempo.
Negli anni, aveva imparato a resisterle. Così raccontava, agli altri come a se stesso, ma ben sapeva, in realtà, che modo di resisterle non esisteva. Potevi solo ignorarla ma, appena abbassavi la guardia, bastava quel poco di distrazione per cedere alla tentazione.
Durante la luna piena, non era più un mormorio seduttore: era un ringhio, un frastuono gridato nella sua testa, e cadere sotto esso era più facile di quanto avrebbe voluto ammettere. Così, desisteva senza quasi accorgersene.
Era una cosa con cui imparò a fare i patti. L'unica pecca, in ciò, era che nei patti non ebbe mai voce, ma dovette solamente sottostare a qualcosa già firmato da mani altrui.
Remus odiava ciò, e detestava anche più non poter far niente per cambiare la situazione.
Il ragazzo si guardava allo specchio, e vedeva un estraneo. Un corpo che, in quanto governato da altri, non gli apparteneva. Remus aveva la pelle pallida, e sentiva di essere proprietà della luna. Come se essa lo avesse plasmato dal suo argenteo candore, ed ora si facesse beffe di lui.
Remus si guardava riflesso allo specchio, e vedeva un'opera d'arte: sulla sua pelle, un pittore aveva tracciato segni e linee, aveva giocato senza criterio. Era un quadro astratto, e non tutti sapevano interpretarlo al modo giusto, poiché una maniera corretta non esisteva.
Il vapore stava nuovamente appannando lo specchio, ponendo un leggero velo su quel volto malinconico, gli occhi mesti.
La prima luna piena ad Hogwarts fu orribile, oltre l'immaginabile. Tornò a frequentare le lezioni solo dopo tre giorni: le ferite, particolarmente presenti, erano state solo una scusa per prolungare la sua permanenza in infermeria. Quando la trasformazione avveniva a casa sua, con la propria famiglia che lo amava e proteggeva, non si rendeva conto di ciò che invece, quella volta, gli sorse così spontaneo: lui era diverso dagli altri, macchiato da una sorte insperabile.
Per la prima volta, fu consapevole di essere diverso.
La situazione migliorò col tempo, grazie ai provvedimenti presi dal preside. Tornava ancora con troppe ferite, però, e sapeva che era perché nessuno poteva aiutarlo a controllarsi.
Tutto cambiò al terzo anno, quando la mattina, invece che trovarsi da solo in mezzo alle viole, notò che altri tre corpi lo affiancavano.
Remus non ricordava niente di ciò che accadeva durante la trasformazione, ma quasi ogni volta si svegliava, e trovava i suoi amici accanto a lui. Le ferite erano meno, quando si osservava allo specchio.
Aveva una sorta di rito: ogni luna piena, al tramonto, Remus correva nei prati di Hogwarts e, solo, si sdraiava tra i fiori. Quando si svegliava, nel sottobosco, altri corpi dormivano sul giaciglio delle viole.
Remus passò ancora una volta la mano sullo specchio. Si guardò il viso, e sorrise: sì, era un'opera d'arte.

Le giornate di Remus Lupin scorrevano secondo abitudini e rituali. La mattina si alzava dal letto, pronto a dimostrare a se stesso, per un'altra lunga giornata, di poter resistere. Era un ragazzo piuttosto taciturno, e la gente ne attribuiva spesso un motivo errato: timidezza. Ma Remus non sentiva come propria questa caratteristica, e sorrideva nel pensarci. La vera ragione, che non raccontava spesso ad altri, era che Remus osservava. Guardava il mondo procedere nella sua vita, e studiava caratteristiche e gesti altrui. Non che fosse un impiccione: semplicemente, amava pensare di capire le persone. E, nel suo parere, non esisteva modo migliore per comprendere una mente umana se non quello della conoscenza dell'individuo. Amava sorridere di abitudini maldestre e di caratteri complessi.
Adorava vedere come i caratteri fossero capaci di evolversi, e le amicizie di cambiare. Si riteneva un occhio oggettivo, esterno. Quasi come uno spettatore che, comodo, si gusta uno spettacolo teatrale e, comparandosi ai personaggi, cercandosi nei loro modi, riflette sui diversi atti.
Remus osservava il mondo, per questo fu il primo a notare che le cose stavano cambiando.

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Ringrazio ancora chi vota e commenta (invito a commentare in molti, accetto anche critiche costruttive!).
Ho pubblicato ieri un capitolo (lo trovate come il primo nell'elenco dei capitoli, col nome "I.N.I.Z.I.O.")
Fateci un salto, è spiegato tutto lì!
Un bacio,
Laura

Only Us In The World ~ MaraudersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora