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Fu quando i pezzi iniziarono a coincidere , che tutto cominciò a sgretolarsi.

*

Peter si strinse la pergamena al petto. Sul cuore, che batteva contro le coste come un tamburo.
Anche quella notte, punti precisi si erano radunati nei corridoi scuri.
Li aveva seguiti con lo sguardo finché gli ultimi tizzoni nel caminetto non avevano smesso di brillare, poi, certo che ormai i suoi amici stessero dormendo, era uscito.
I suoi passi rimbombarono fra le strette pareti, annunciandone la presenza con musica ritmica; non servì molto perché altri cominciassero a rispondere, nuove voci in una canzone titubante.
Quando il drappello gli fu di fronte, all'estremo opposto del corridoio, Peter fu quasi sicuro di vedere il candore dei denti baluginare dietro ai loro ghigni.
Non lo sapeva, perché gli fosse andato incontro, anche stanotte. Forse era ancora per l'eco della risata che suonava nella sua testa, e non gli lasciava tregua.
Forse, o forse no.
Perché forse, si era sentito in qualche modo attratto, da tutto questo. Era il topo che, avvistato il formaggio, vi si precipitava pur sapendo che la trappola sarebbe scattata, sotto il suo misero peso.
Ora che quelle persone si stagliavano nel buio, alte e oscure nelle loro vesti tetre, figlie delle tenebre, la sicurezza della Mappa sul suo cuore vacillò. Le loro facce, i loro sorrisi deformati, erano la sembianza mostruosa di un malvisto sadismo.
Cosa aveva voluto fare, recandosi ancora lì, nel cuore della notte, solo? Mettere in mostra la propria audacia?
Pessima idea, perché i brividi della paura stavano risalendo la sua schiena con spietatezza. I suoi piedi mossero inconsciamente un passo all'indietro.
-"Peter Minus."-
Il suo nome suonò come un tuono. Non come il suo cuore, un tamburo che cantava nella sua cassa toracica. La voce che lo aveva chiamato, tuttavia, possedeva un tono a lui conosciuto. Era un rombo profondo, ma piatto e freddo. Era la voce di chi si era fatto una corazza.
Severus Piton fece un passo avanti, il viso che emergeva dalle tenebre, bagnato dalla fioca luce di una torcia. Le ombre rendevano i suoi lineamenti ancor più marcati, se possibile; le pupille erano un tutt'uno con le iridi corvine.
Severus Piton metteva i brividi con la stessa intensità con cui emanava imponenza. Austero, così avvolto nei manti cupi, Peter pensò che non potesse essere lo stesso ragazzo che, i sui amici, si concedevano di infastidire.
Le sue labbra erano serrate in una dritta linea di disgusto.
Peter osservò le carte in tavola, e ponderò l'opzione di voltarsi e, semplicemente, andarsene. Chiudere una porta, in segno di netto rifiuto. I suoi muscoli, allora, perché gli negavano i movimenti? Si sentiva bloccato, in un'apnea logorante.
La bolla di sapone in cui il mondo si era bloccato scoppiò bruscamente quando un'altra persona si fece avanti: portava il cappuccio calato sulla fronte, gli occhi adombrati. I capelli, però, sembravano spighe dorate, e i ciuffi che fuggivano al tessuto risplendevano sotto i tenui riflessi delle torce. Il cuore di Peter fece un balzo: solo una persona del loro anno aveva l'oro nei capelli. Lo ricordava, perché spesso aveva pensato che quei ciuffi angelici, che parevano fatti di sole, creassero un connubio terrificante con la smorfia folle che ornava perennemente i lineamenti spigolosi di Avery.
Un interruttore scattò dentro di lui. Tempo addietro -forse qualche mese?- James gli aveva raccontato di aver visto due ragazzi in un corridoio, mentre raccoglieva appunti per la Mappa. Avvolti in vesti color pece, aveva colto solo qualche capello dorato sotto al cappuccio alzato.
Avery era furbo. Tutti i Serpeverde lo erano.
Peter poteva essere un po' tonto, alle volte, ma non stupido, no: per questo fu certo, con tale realizzazione sulle spalle, che la trappola era appena scattata. Il topo era morto, stringendo ancora una briciola di formaggio fra gli artigli minuti. Fine dei giochi.
Nessuno sarebbe stato così sconsiderato da farsi vedere di giorno, in un luogo piuttosto frequentato, bardato nelle ovvie vesti dei Mangiamorte -fatta eccezione per la maschera. Era stato tutto programmato, certo. Stavano cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. Stesso motivo delle ronde notturne.
Quel che lampeggiò nella sua mente, però, fu una domanda: chi?
Le sue dita serrarono la presa sulla carta stropicciata nel momento in cui Avery, Piton e i compari si abbassarono il cappuccio. Ricadde sulle loro spalle vuoto, peso, col suono attutito della stoffa.
La voce premeva nella gola, un groppo incagliato. Una sola parola, schietta, diretta, lottò per farsi sentire. Quando disse: -"Chi?"- la sua voce tremula riuscì ad acquisire una solitaria nota di determinazione.
Piton non si scompose. Gli occhi neri rimasero saldi su di lui. Sopra alla risata agghiacciante e insana del biondo, la voce monocorde di Piton giunse diretta al ragazzo.
-"Tu. Uno dei tuoi stupidi amichetti. Chiunque."-
Come il moro fosse riuscito a rispondere alla sua domanda, tanto striminzita e netta, Peter non lo seppe. Ne rimase in qualche modo affascinato, oltre il panico strisciante che attanagliava il suo cuore nella morsa delle sue infide dita.
-"Chiunque?"-
C'era una voce, nella sua testa, che gli parlava con debolezza. Era flebile, ma gli suggeriva con decisione di voltarsi e correre, correre, correre lontano. Un'altra parte di lui, però, desiderava con ardente brama di scoprire. La curiosità è una brutta bestia, Peter lo sapeva, ma non potè resistere alla sua spinta.
Avery buttò la testa all'indietro, e dalle sue labbra livide scaturì un suono che a lungo, nei momenti di quiete apparente, lo aveva tormentato. Ricordò di aver pensato che, in quella risata roca e insana, vi fosse racchiuso un invito: "Vedrai". Tutto gli era chiaro, ora. C'era davvero un'aspettativa che lui aveva soddisfatto. Rabbrividì, la pelle d'oca sotto le maniche del maglione.
A rispondere, stavolta, fu un'altra sagoma sommersa dal buio. Peter ne riconobbe la voce: Evan Rosier si annunciò con un colpo di tosse, parlando poi con un tono sicuro, fiero.
-"Il nostro Signore ha fatto una specifica richiesta, tempo addietro"- Rosier si tolse un pelucchio dalle vesti, con calma -" Ha detto: 'voglio un alleato che mi frutti fortuna.' Ora, capirai, Minus, che della fortuna l'Oscuro Signore non ha bisogno. Quel che cerca"- stavolta, nella sua breve interruzione, incatenò gli occhi ai suoi -"Sono le informazioni."-
Avery rise di nuovo. -"Canta canta, uccellino!"- la sua voce era distorta dal rimbombo.
-"Io non sono una spia. Avete sbagliato persona."-
Ora muoio, pensò Peter. Mi ammazzano. Il respiro si fece eccessivo, veloce, e copiose gocce di sudore nervoso cominciarono a scendere fredde sulla sua pelle.
-"I tuoi genitori sono morti, Minus, non ti sei mai chiesto il perché?"-
Lo aveva fatto. Tante, troppe volte, ma porsi quesiti che non riceveranno mai risposta ti consuma. Non si può combattere contro i mulini a vento, e opporsi ad una malattia è possibile solo fino ad un certo punto. È ingiusto, è brutale, ma inevitabile.
Era stata una malattia, sì, a strappare la vita ai suoi amati; l'espressione del moro sembrava però volere altra risposta. Peter scelse il silenzio.
-"Scommetto che sono appassiti come miseri petali."- Rosier aveva parlato con tono infido ma certo, e fu in questo modo che continuò.
-"Un male, anche se ignoto e potente, ti logora: non ti prosciuga. Le maledizioni invece, Minus, ne sono capaci. Trinciano un'anima, la massacrano finché essa, sfinita, non si dà per vinta."-
Era davvero questa, la sensazione del cuore che si ferma? Una fitta dolorosa, crudele? Le lacrime che salgono agli occhi simili ad ardenti gocce di lava? Peter percepì le unghie scavare un solco nei palmi delle proprie mani, ma non le sentì davvero.
-"L'Oscuro Signore sa riconoscere una potente magia. E sa attuarne, anche."-
Rosier si fece avanti fra i due compagni, ed afferrò Peter per il colletto del magione.
-"Aiutaci, Minus, e i tuoi genitori torneranno in vita. Fallo."- lo scosse e, nel suo dolore, il ragazzo si sentì come una bambola che, impotente, viene agitata. Rosier lo spinse con forza: -"Fallo!"- gridò, e la sua voce perse la compostezza che aveva vantato.
Peter perse la presa sulla Mappa, che cadde a terra. Il pezzo di pergamena stropicciato passò inosservato ai Serpeverde, che lo ignorarono, come si fa con i rifiuti capitati casualmente fra i piedi.
Giacque lì, sul pavimento, spiegazzata, e con lei anche la forza e la vicinanza dei suoi amici.
Le ginocchia di Peter cedettero. La sua volontà, le sue certezze, si frantumarono col suono di mille schegge di vetro.
Tutto fu abbattuto, e lui restò al suolo, bagnato dalle lacrime e dal dolore, come un involucro vuoto e lacero.

*

Siamo veramente agli sgoccioli. Se tutto va come pensato (e qui pongo un "forse"), dovrebbe finire con altri due capitoli. Accipicchia, così poco...
Intanto le visualizzazioni crescono e i vostri commenti sono bellissimi. Vi adoro.
Laura

P.s. mi è stato appena fatto notare da @lashippatriceseriale che non si capisce un granché quel che succede a Peter, e quindi scrivo qua quello che ho risposto a lei: non è morto (in effetti si capisce un po' male). In pratica, tutte le sue certezze sono cadute, e con esse anche lui. Peter è fragile, e già da qualche tempo si sentiva "traballante", insicuro. Le parole di Rosier ora l'hanno fatto cedere. Sono i primi passi che lo guidano al "Lato Oscuro".
Spero di essermi spiegata, se ci sono altre domande chiedete pure 💕

Only Us In The World ~ MaraudersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora