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Accesi il telefono e guardai lo schermo in cerca di nuove notifiche ma niente.
Ero sola sotto la pioggia che picchiettava sopra il cappuccio e mio padre si era sicuramente dimenticato un'altra volta di venirmi a prendere. Lo faceva sempre. Ieri ero stata costretta a chiamare un taxi, mentre il giorno prima avevo dovuto percorrere tutta la strada, da casa mia a scuola, a piedi. Mi ero stufata di lui! Pensava sempre al suo lavoro e passava tutta la giornata in ufficio non tenendo conto della mia esistenza. Ormai il suo unico scopo nella vita era quello di far colpo sul suo datore di lavoro e di sprecare le sue giornate in una cupa stanzetta, dotata di un computer e di fogli su fogli.

Capii che era inutile perdere il tempo a pensare, nonostante io lo facessi spesso, e mi incamminai verso la strada di casa. La pioggia in quel momento era l'unica a farmi compagnia e durante il tragitto mi misi a contare le gocce che, sfiorando la mia pelle delicata, atterravano sul suolo bagnato. Entrata in casa strofinai per bene le scarpe sullo zerbino, sapendo quanto mia mamma teneva all'ordine. Questa settimana sarei dovuta stare sola, dato che mia mamma era in viaggio per lavoro e sarebbe tornata solo questa domenica. Aprii il frigorifero in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Non trovai niente.
Quel brav' uomo di mio padre si era dimenticato, anche, di fare la spesa. Aveva sempre la testa da un'altra parte. Decisi,dunque, di guardare se nella dispensa era rimasto qualcosa da addentare. Per mia fortuna c'era ancora il mio adorato pacchetto di oreo: in questi ultimi giorni era diventato il mio pasto dopo la scuola. Quella sera avrei dovuto parlare con mio padre. Non potevo resistere per una settimana intera,vivendo come una barbona. Passai il pomeriggio immersa nella lettura. Era il mio passatempo preferito. I libri erano un po' come una seconda vita: ogni volta che rimaneva del tempo libero, dagli impegni abituali,  mi ritrovavo rannicchiata sulla mia poltroncina accanto al davanzale e iniziavo a sfogliare qualche pagina. Il mio genere preferito erano i romanzi e le storie d'amore, che però mi allontanavano dalla realtà. A mio parere, l'amore non esiste. Purtroppo non esiste nessun castello, nessuna principessa e il principe azzurro ancor meno. Sentii la porta di casa aprirsi ,dal piano di sotto, che interruppe i miei tristi pensieri. Mio padre era tornato da lavoro. Non scesi per salutarlo e, come potevo immaginarmi, neanche lui si accorse che ero a casa. Non ci considerammo fino all'ora di cena e io, che per pranzo mi ero limitata a mangiare un pacchetto di oreo, morivo dalla voglia di sapere cosa aveva cucinato il mio papà . George era sempre stato un padre assente nella mia vita, ma non si poteva dire niente contro la sua cucina: preparava antipasti deliziosi, primi piatti alla Carlo Cracco, secondi squisiti, e dolci di ogni genere, dalla semplice torta alle mele alle squisitezze più raffinate, come il millefoglie.

Sentii la porta aprirsi nuovamente e un attimo dopo la voce di mio padre domandare irritata e sospettosa - Charlie dove diavolo sei stato fino ad adesso?? Sono le otto e non mi hai neanche avvertito che uscivi-.
Il mio udito non andò oltre, non mi permise di continuare la conversazione poiché questa si interruppe con le grida preoccupate di mio padre - Emma! Scendi! Tuo fratello ci deve parlare-. Scesi le scale, trascinando i passi, sperando che i gradini non finissero più. Ero arrabbiata con mio padre, ma allo stesso tempo preoccupata. Perché Charlie ci doveva parlare? L'ansia saliva e uccideva la calma.

Arrivata al piano terra mi attendeva un atmosfera cupa, angosciante. Il mio volto si adattò alla situazione e per un attimo ebbi un brutto presentimento. Sapevo già che era successo qualcosa, ma non mi capacitavo di cosa.
Subito notai l'espressione rabbuiata di mio fratello che tamburellava nervosamente le dita sul tavolo. Il mio sguardo si spostò su mio padre che guardava la finestra e le gocce posarsi su quest'ultima. Era tutto silenzioso. La pioggia cadeva regolare e provocava un rumore alquanto fastidioso che accompagnava il silenzio nella stanza buia. Mi sedetti con cura sulla sedia di legno che spostandosi spezzò il silenzio della cucina. Charlie alzò la faccia e il suo sguardo incrociò il mio, stanco e ansioso. Scostò i capelli bagnati che gli erano finiti sopra gli occhi e con fatica cominciò a parlare- Emma...papà..ciò che devo dirvi riguarda la mamma...- mio padre trasalì- la mamma! Cerca di spiegarti bene Charlie,dobbiamo cenare e sono già le otto e un quarto-
Vidi una lacrima attraversare la guancia rosata di mio fratello e terminare il suo percorso sul deserto tavolo di legno.

- Mamma è in ospedale. È in coma.-
Charlie continuò con uno sguardo fulmineo verso George- Ecco! Sono stato abbastanza diretto papà?!- si alzò di sopravvento e con rabbia calciò la sedia di legno che cadde rompendosi sul pavimento. Puntò per un ultima volta gli occhi su di me e si allontanò rabbioso dalla stanza. Il silenzio si faceva, piano piano, più assordante di prima.

Eravamo solo io e mio padre. Il telefono squillò e per evitare situazioni imbarazzanti salii in camera mia con la scusa di dover rispondere. Mentre mi dirigevo verso il piano superiore, dubbi attraversarono la mia mente, non capivo come fosse potuta succedere tale vicenda. Mia mamma era sempre stata una bravissima donna, piena di ambizioni e sempre presente per la sua famiglia. Adesso mi sentivo persa. Lei era come un punto di riferimento per me, quella parte del mio cuore dedicata a lei, si spense. Arrivai in camera e, dopo una lunga telefonata con Tessa, mi tuffai nel letto lasciando volare via tutti i miei pensieri e tutta la sofferenza che provavo in quel momento. Cercai di addormentarmi, ma sapevo già che sarebbe stato quasi impossibile. Pensai alla mamma, al fatto che non era qui con me ad asciugare le lacrime che si facevano strada sul mio volto.. Mi mancava. Mi mancava di già, sentivo un vuoto dentro.

Caterina. Era questo il nome di mia madre. Una donna forte e ribelle si potrebbe dire. George la conobbe in un viaggio in Europa, quando era ancora un ragazzo aperto, intraprendente e curioso del mondo in cui viveva. La mamma si trovava all'isola dell'Elba, situata nel mar Tirreno, parte dell'Italia, una delle mete più spettacolari. E per coincidenza si incontrarono una mattina d'Agosto sulla spiaggia, tra le urla dei più piccoli e le voci entusiaste dei ragazzi. "Tua madre era la più bella di tutta l'isola" diceva mio padre. Parlarono la lingua di mio padre e tuttora la mamma parla l'inglese come fosse la sua lingua natale. La diversità è una forte corrente di fiumi differenti che si incontrano e sfociano in un mare più grande, immenso. La mia famiglia era parte di questa corrente e mio padre fece sempre il possibile per farle sentire cittadina americana, non solo su fogli, ma anche spiritualmente.

Per l'indomani mi promisi di andare a trovarla  in ospedale. Avevo paura di scoppiare in lacrime, ma tutta la sofferenza che provavo la tenevo dentro.

Durante la notte sentii mio fratello gridare dalla stanzetta accanto e io incuriosita decisi di andare a vedere cosa fosse successo.

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