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Per il weekend decisi di tornare a casa, dalla mia famiglia.
La tentazione di passare un po' di tempo con chi mi aveva dato la vita fu più forte del mio buon proposito di resistere cinque anni nella totale autonomia.

- Emma scendi, o farai raffreddare la zuppa che ti ha cucinato mamma -.
Eccomi qua. Il mio letto, i miei poster imbarazzanti ricoperti da stampi di baci col rossetto, le mensole vuote ma che danno, pur sempre, l'idea di qualcosa di vecchio e vissuto, il mio Teddy, la mia camera, il mio rifugio, la mia sicurezza. Eccomi qua.

- Arrivoo - urlai , ma sapevo già che il mio desiderio era quello di rimanere qui, nella mia cameretta, e godermi ciò che avevo lasciato.

Quando arrivai a casa furono le braccione possenti di Charlie a trascinarmi dentro. Charlie era il mio eroe. Mamma mi guardava e piangeva, poi tornava su di me, mi osservava e scoppiava nuovamente in un pianto gioioso.
Mio padre si sforzò di rimanere freddo e indifferente, ma mi mancava anche questo suo lato ruvido.

- Ti piace? - chiese insospettita  Caterina guardandomi sorseggiare la zuppa.
- È buonissima mamma, davvero. - dissi e sperai in un suo sospiro, uno di quelli che mi rassicurava.

Sospirò e sorrise. Charlie non aprì bocca e George farfugliava qualche novità letta sul giornale nel pomeriggio.

Finita la cena tornai sommersa dai ricordi, dai pensieri.
Pensai a Justin e alla sua insensibile incoerenza. Quasi volevo tirargli uno schiaffo e non sapevo come mai, ma quel suo "nulla" mi distruggeva, più di un bambino che perde il suo aquilone; più di un rispettabile avvocato che perde la parola; più di un vecchio, seduto sulla poltrona, afflitto dal dolore e graffiato dall'età.
Pensai a mamma che piangeva, pensai a lei, alla sua zuppa, al fatto che era giù sul divano accoccolata a papà, era  qui, presente, con noi e la morte non ce la aveva rubata.
Pensai di tutto, ma più di tutto pensai a Charlie e al suo abbraccio malizioso, che non mi era parso più familiare.

Mi infilai sotto le coperte, disturbata dalle mie riflessioni e non mi accorsi della presenza di qualcuno nella stanza.

- occupata? - Charlie. La sua voce era piu cupa, diversa.
Una delle persone che desideravo rincontrare con tutta me stessa era lui.
- no no siediti pure - e col palmo della mano diedi due colpettini sopra le coperte, facendogli cenno di avvicinarsi.
Mi guardò e tremò, quegli occhi azzurri mi erano mancati davvero tanto.
- preferirei non venire li, accanto a te - non capii al volo il significato delle sue parole, ma ritenni necessario lasciarlo continuare.
- Emma, da quando sei arrivata in questa casa, beh, sono praticamente cresciuto con te, ma non ti ho mai vista come una sorella, ti guardavo e più ti guardavo pensavo a quanto fossi bella, lo penso ancora adesso per carità..beh..in più questa settimana senza  te mi ha fatto riflettere...-
volli interromperlo, lo feci. Avevo paura che quello di cui voleva parlarmi già lo avevo presente.
- Charlie..siamo fratelli- ribadii, alzando gli occhi al soffitto.
- È questo il punto. Non siamo fratelli. E io voglio il tuo profumo, voglio le tue labbra, il tuo corpo. Ti voglio ora.- lo guardai, quasi piansi, l'intenzione era quella.
Non poteva succedere.
- Emma, ti prego. - la mia testa impazziva, ero confusa, non ragionavo, e i suo bellissimi occhi mi distraevano piu di quanto avrebbero dovuto.
- Charlie, esci da camera mia. - dissi e mi alzai, sfiorai il suo corpo, il profumo di bosco, che tanto gradivo.
Andai verso la porta, la aprii.
- Esci - ripetei.
I miei erano usciti poco prima, eravamo soli in casa. E dopo la sua confessione, non mi sentivo a mio agio li, in quella casa che era diventata una prigione.
- Ti amo -.
Le pulsazioni aumentarono, Charlie lo percepii osservando il mio corpo instabile che barcollava appena appena.
Quelle parole attraversarono gli abissi piu profondi del mio cuore.
Una vibrazione incontenibile viaggiò al mio interno e non sentii piu niente...
Charlie si avvicinò alla porta come per andarsene.
I miei occhi incrociarono il suo sguardo e proprio nel momento in cui il suo interesse cadde sulle mie labbra violacee, capii che non potevo sfuggire dalle sue cattive intenzioni.
Mi prese i fianchi e strinse, come una preda che non può sfuggire al suo predatore. Ecco cosa sono, una preda.
Con le mani che stringevano forte la mia maglia e il suo viso sempre più vicino al mio, mi staccai dalla porta.
Sempre stretto a me, mi fece indietreggiare. Con una mano chiuse la porta, la sbattè , fece rumore. Era piuttosto agitato, lo si capiva dai suoi  movimenti.
Indietreggiai, cadsi sul letto.
Lui si abbassò e fece si che ogni parte del suo corpo restasse a un contatto un po' perverso col mio, pose le mani ai lati della testa. Eravamo sul mio letto, lui sopra di me, il suo respiro affannoso si cancellava col mio, un respiro poco quiete, agitato, rumoroso.
Provò a baciarmi. Le dita sfioravano le punte bionde dei mie capelli, Respirò sul mio viso, avvicinò le labbra e  chiuse gli occhi.
Sussurrò sulle mie labbra - quanto mi sei mancata -.
Gli tirai uno schiaffo, talmente forte che lo costrinsi a mollare la presa. Urlò per il dolore mentre io uscì di fretta dalla camera, respiravo a fatica, il cuore non si fermava un secondo e i miei occhi vedevano e sentivano tutto, qualsiasi passo.
Si avvicinò alla ringhiera delle scale, gli occhi inniettati di sangue, lo sguardo malvagio.
- Come mai non mi ami?- gridò.
- Voglio tutto di te piccola mia -.
Abbassai gli occhi. Una volta era Charlie che mi salvava da queste situazioni, ora lui era lì, e non aveva buone intenzioni.
- Cazzo! Baciami -sapevo solo di aver paura. Di aver paura di aver sottovalutato Charlie, di aver pensato che lui fosse quel qualcuno che non era.
Mi spinse contro la ringhiera, era doloroso. Tutto questo era dolore.
Mi prese per il polso e mi trascinò in camera sua, chiudendo la porta a chiave. Solitamente lo faceva con tutte le ragazze che frequentava e che raccumulava alle numerose feste. Ora sono io una di quelle.
Mi buttò sopra le coperte, lo fece con violenza. Il polso era rosso fuoco.
- Tu mi ami - disse. Piansi. Non mi trattenni, la mia forza e il mio coraggio si annullarono e restò solo il mio corpo, incapace di reagire.
Si sdraiò, mi prese e mi mise a cavalcioni su di lui, il corpo provava piacere, ma sapeva che tutto questo era sbagliato.
Mi sorrise, sembrava un sorriso dolce, ma che nascondeva i peccati piu oscuri.
Mise una mano tra i capelli e abbassò il mio viso, a pochi millimetri dal suo.
I suoi occhi si illuminarono, i miei lucidi, lacrimavano, senza sosta.
L'altra mano si orientava sotto la maglietta, e sentii un brivido attreversare la schiena.
- Siamo tornati! -
Mamma?

- Per favore, fa silenzio - disse togliendomi dalle sue gambe.

Si alzò, notai il suo corpo, nonostante la situazione, lasciai che i miei occhi fissassero la sua schiena spoglia e muscolosa , le sue braccia possenti.

Uscì dalla stanza e mi obbligò a restare ferma. Lo feci senza fiatare. Così mi ritrovai sola, nel letto di Charlie. Profumavo di lui.

Qualche minuto dopo tornò, con un viso avvolto da un probabile senso di colpa.
- Emma, hai paura?- disse.
La sua domanda mi sembrava abbastanza retorica, la risposta la sapeva già, e tutto quello che mi aveva fatto questa sera, si ripeteva sempre più velocemente nella mia testa.

Si avvicinò, a passi lenti, la porta restò sempre chiusa.

- Dove sono mamma e papà? - chiesi, per interrompere l'imbarazzo.

- Erano entrati, per chiedermi se badavo a te, vogliono passare la sera insieme, vanno al cinema -
Non ci potevo credere.
Non potevo  scappare in alcun modo da lui, che sembrava piuttosto divertito.

- Emma devo farlo, ti amo da troppo tempo, ti desidero così tanto - disse toccandomi la coscia, con le mani che lentamente si avvicinavano al linguine.
Subito pensai a Simon o a Justin, volli immaginare di non essere qui, volevo solo scomparire.

- Voglio solo farti stare bene - bisbigliò facendomi sdraiare.

- No! Simon..no - dissi di colpo.
Solo qualche secondo dopo mi accorsi di averlo chiamato col nome sbagliato. Sapevo che si sarebbe arrabbiato.

- Cosa hai detto???- sbraitò.
- Mi hai paragonato a quella bestia! Io non sono così, ti ho salvato da lui - urlò sempre più forte.

In fondo quello che stava succedendo era facilmente ricollegabile  alla sera con Simon, lui non stava dimostrando di essere meglio.

Ero, allo stesso modo, dispiaciuta, troppo, benché mi trovavo in questa sgradevole situazione, provai pena per lui.

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