Capitolo 13 |Il fanatico che scatenò la guerra

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Guardò il suo riflesso allo specchio. I raggi dell'alba illuminavano pigramente il volto della ragazza. La camicetta di velluto accarezzava dolcemente i fianchi di Kassandra. Le maniche le sfioravano le punte delle dita e i jeans che indossava erano troppo lunghi, dopotutto, i vestiti non erano neanche i suoi. Sbuffò ed emise un suono simile a un ringhio.

Si alzò le maniche della camicia fino ai gomiti e con rabbia e insofferenza arrotolò varie volte alle caviglie il pantalone. Sentiva già la sensazione di prurito, causata dal caldo, che avrebbe provato in chiesa: seduta sulla panca appiccicata a persone sconosciute, accaldate e sudaticce.

Odiava andare in chiesa, non era mai stata una vera religiosa. Perché confidare in quegli uomini ritenuti intermediari di Dio, quando, essendo pur sempre uomini, sono i primi a sbagliare? Si è sempre sentita giudicata da queste persone spesso incapaci di mettersi d'accordo fra di loro. Chi sostiene sia giusta una cosa, chi afferma sia invece sbagliata. Chi sono loro per decidere cosa sia corretto e cosa no? Non sono esseri divini o onniscienti. Sono solamente uomini. E poi non aveva mai avuto quel bisogno di riporre la sua fiducia e le sue speranze in preghiere rivolte a entità probabilmente inesistenti. Perché dovevano imporglielo? La fede non dovrebbe essere un obbligo.

Vedeva Synnovea che portava spesso una mano sulla piccola croce che teneva al collo, come se traesse forza da quel piccolo ciondolo in oro bianco. Anche Klarisa era molto vicina a Dio e alla sua parola: seguiva alla lettera i dieci comandamenti, ogni sera leggeva un capitolo del vangelo, da brava cristiana.

Synnovea le aveva detto che Klarisa era diventata una cattolica molto vicina a Dio, Maria, Gesù e i Santi da quando era morto Miguel, il padre di Synnovea, quindi il proprio zio. Kassandra ebbe una fitta al cuore. Sembrava che le costole si stessero chiudendo su sé stesse comprimendo il cuore e i polmoni. Mio zio. Mio zio è morto. Continuava a ripetersi quelle parole nella mente. Si mise una mano al petto e si sedette per terra.

Cercò di fare respiri profondi. Le avevano dovuto mentire anche sulla sua morte. Le avevano detto fosse stato un pazzo squilibrato a farlo, ma non avevano specificato fosse stato un vampiro.

Si sdraiò per terra. I capelli le ricadevano selvaggi sul petto e sulle spalle, e le ciocche sul parquet le incorniciavano il capo come una corona. Guardò il soffitto color panna e fece cadere le braccia ai suoi lati facendo crepitare il legno.

Pensò a come avessero sofferto Synnovea e Klarisa per la perdita di Miguel. La cugina era ancora piccola quando morì, chissà se aveva ricordi di lui.

Osservò quei piccolissimi granelli di polvere che danzavano sotto i lievi raggi del sole ancora assonnato. Alzò una mano e cercò di afferrarli. Si divertiva vedere quel pulviscolo che si allontanava dalla sua mano con una velocità strabiliante. Pensò a come quei granellini sgusciavano via dalle sue dita come se avessero paura di lei e sorrise.

La porta della stanza si aprì -Kassandra, cosa cavolo stai facendo lì per terra? Dovremmo andarcene! Mettiti gli stivali che ti ho dato! Muoviti!- Synnovea si mise dietro Kassandra la osservava dall'altro mentre la piccola croce scintillava come se le stesse facendo ripetutamente l'occhiolino.

Kassandra si mise a ridere -Cuginetta! Le tue tette sono così grosse che da questa posizione non riesco a vederti la faccia!-

Synnovea si abbassò e guardò quella ragazza così esplicita.

-Mi sa che sia l'invidia a farti parlare! E poi non ti basta la tua terza? E poi... non chiamarle "tette", è fastidioso e rozzo!-

Kassandra la sfidò. Aprì le braccia, prese una grande boccata d'aria e cominciò a gridare -TETTE. TETTE. TETTE. TETTE. TET...- la bionda le tappò la bocca con la mano, ma con un'espressione di puro disgusto la dovette ritrarre subito quando sentì un qualcosa di caldo e umido (molto umido) sul suo palmo.

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