- Buongiorno - mi disse la dottoressa prima di passarmi la colazione. Ero nel laboratorio: stare lì dentro era la mia unica possibilità di vedere il sole attraverso il lucernario. E a quel che vedevo quel giorno risplendeva e sottili raggi illuminavano l'ambiente.
Sarebbe stato bellissimo se non avessi provato quel dolore.
La dottoressa non faceva che ripetermi che non era colpa mia e più lei lo diceva più mi convincevo del contrario.
- Non mangi? - disse poi, interrompendo i miei pensieri.
- Non ho fame - affermai.
Lei mi guardò scettica. - Se continui così ti ricollegano alla flebo -.
Non lo diceva in tono minaccioso, eppure sapevo che tutto sommato lo era.
Ingoiai controvoglia i tre biscotti e bevvi un succo di frutta; dopodiché mi rivolsi alla dottoressa Joyce.
- Che devo fare oggi? - Lei assunse un'espressione seria: aveva i capelli biondi raccolti in una coda eccezion fatta per le due ciocche davanti.
Le guance erano rosate e le pelle pallida.
Non che mi stupissi: stando lì sotto tutto il giorno eravamo tutti pallidi
- Telecinesi - disse poi.
- Ottimo - dissi con una sottile nota di ironia.
Dopodiché la seguii nella stanza degli esperimenti. Era stato aggiunto un tavolo e una sedia.
La dottoressa mi fece senno di sedermi poi poggiò sul tavolo una pallina di gomma; la avevo già usata ma l'esperimento era finito con un infermiere ferito.
- Di nuovo la pallina? - chiesi pur sapendo la risposta.
- Fino a quando non ci riesci -.
Le rivolsi uno sguardo truce. Lei fece spallucce.
- Non faccio io le regole - si scusò.
Dopodiché apri la porta metallica e si andò a sedere nella zona di osservazione.
- Alza la pallina – ordinò.
Mi concentrai.
'Alzati alzati alzati'
Non si alzava.
Guardai con aria dispiaciuta la parete sapendo che la dottoressa mi stava osservando.
- Ritenta -.
E io ritentai
E ritentai.
Dopo numerosi tentativi la pallina si alzò.
- Bene! - esclamò la voce.
- Ora muovila in cerchio -.
La parte difficile era alzarla. Ci misi poco a farle fare due giri intorno alla mia testa.
- Ottimo! - esclamò di nuovo.
- Ora colpisci la parete -.
E così colpii la parete con tutta la forza che avevo.
- Molto bene -Stavolta non era la voce della dottoressa Joyce.
- Buon giorno dottor Luster - dissi con disprezzo.
- Riponi la pallina sul tavolo H112 -
E così feci, riportandola delicatamente al punto di partenza.
I dottori uscirono dalla porta.
- Credo tu sia pronta per i proiettili - affermò il dottore.
' Proiettili?!'
- Proiettili?! - ripeté la dottoressa, come leggendomi nel pensiero.
- Esatto proiettili -.
- È troppo giovane! È solo una ragazzina! - stava sbraitando.
'Volevano farmi sparare?'
- Ho già ucciso per lei non lo farò di nuovo! - urlai furente.
Poi d'un tratto li vidi spaventati e non ne capivo la ragione.
- Poggia subito quella pallina! – gridò.
Lo stavo facendo di nuovo: perdere il controllo.
"H112 posa la pallina - ripeté calma la dottoressa.
Non riuscivo. Aveva cominciato a girare poi senza controllo cominciò a rimbalzare per tutta la stanza.
- Sedatela - gridava in tono autoritario.
- No posso fermarla - cercai di spiegare.
La pallina intanto aveva aumentato la velocità.
Nella stanza erano entrati due infermieri con una gigantesca siringa per farmi una iniezione.
- No - Il primo venne colpito dalla pallina alla testa e cadde a terra.
- Statemi lontano! - cercavo di avvisarli.
Il secondo infermiere, per quel che mi era concesso vedere, mi aveva quasi raggiunta.
E così venne scaraventato al muro e sentii lo scricchiolio della sua schiena.
Dopodiché caddi a terra urlando.
La pallina mi cadde accanto e un terzo infermiere mi iniettò nel collo il sedativo.
- Eccellente - esclamò il dottor Luster e poi non sentii più niente.******
Era passata una settimana. Stavo andando a fare la doccia ai bagni della mia sezione.
A quell' ora di solito non c'era nessun altro: erano tutti riuniti nelle sale comuni.
A socializzare.
Da quando ero lì non ero riuscita a farmi nemmeno un'amica.
C'era stata Cristina, ma lei era molti gradi sotto di me.
Io ero una H lei una veggente di livello base.
Non mi era concesso passare il mio tempo con i gradi inferiori; il dottor Luster riteneva che mi avrebbe rallentato.
Perciò la nostra amicizia era finita quando avevo compiuto 10 anni.
Più o meno quando le mie doti aumentarono.
Avevo raggiunto i bagni; mi spogliai e velocemente entrai in doccia.
Come sospettavo non c'era nessuno, il che era un punto a mio favore.
Del mio livello c'erano solo altre 5 ragazze ma, anche sommate, le loro abilità non erano nulla in confronto alle mie.
Passai il successivo quarto d'ora a pensare a quanto sarebbe stato bello avere amici nella struttura.
Ma poi mi ricordai che neanche prima di finire li dentro ero socievole. Anzi, a ripensarci mi prendevano in giro per la lunghezza dei miei capelli che erano 'troppo da maschio' e per la mia incapacità a socializzare.
In fondo già allora sapevo di essere diversa.
- Ma dai, non ci credo! -
Una voce: qualcuno era entrato nel bagno.
- Ti giuro!
Più di uno.
- Quindi tu mi stai dicendo che H112 ha ucciso un uomo -.
Parlavano di me.
Non potevo uscire dalla doccia perché avrebbero capito che stavo ascoltando.
Ma non ero del tutto sicura di voler continuare ad ascoltare il loro discorso. Eppure qualcosa mi diceva che non avevo scelta.
- Dicono che lo abbia sollevato e sbattuto a terra con talmente tanta forza da ucciderlo -.
Falso: non era morto, solo rimasto paralizzato dalla vita in giù dopo che lo avevo sbattuto contro la parete.
- Certo che quella è proprio strana - cercavo di ricordarmi i nomi delle due ragazze.
Dovevano essere Wren e Anna: quelle due erano inseparabili
La prima era arrivata il mese scorso; si diceva avesse bruciato un intero palazzo ma senza morti.
La seconda era li da diversi anni come me, ma aveva solo premonizioni.
Pochi mesi prima aveva predetto un attentato terroristico ed era salita agli H.
- Più che strana direi! –sghignazzava.
- Pensa che l'altro giorno l'ho salutata e lei mi ha detto di starle lontana, fidati di me quella è matta da legare-.
Questo in qualche modo mi feriva, non perché mi importasse di Wren. Solo non mi piaceva sentirmi dare della matta.
- Ora dove sarà? - chiese Anna con la sua vocina da svampita. Le visioni le avevano dato alla testa.
- Da qualche parte a leggere lo stesso libro - affermò con tono scherzoso.
Dopodiché si salutarono. Wren entrò nella doccia accanto alla mia e Anna se ne andò ridacchiando tra sé e sé.
Ne approfittai per uscire.
Mi avvolsi nell'asciugamano e corsi più in fretta che potevo verso la mia camera. Dopodiché mi richiusi la porta alle spalle e mi buttai sul letto.
Solo allora potei concedermi di piangere.Mi ritrovai con la consapevolezza di essere sola ed un cuscino bagnato di lacrime.
Avere amici forse mi avrebbe aiutato a sentirmi una qualunque adolescente. Ma tutto sommato io non ero una normale adolescente.
Lì mi conoscevano tutti. Io per loro ero un mostro.
E forse lo ero.
Nel frattempo intorno a me aveva cominciato a spostarsi la polvere. Come una piccola nuvoletta.
La controllavo e me la passavo tra le dita; mi distraeva quel susseguirsi di movimenti lenti.
Ma dentro provavo un immenso dolore: c'era qualcosa di terribilmente sbagliato in me.
Pensai che se non fossi nata con quella maledizione non avrei dovuto vivere là sotto, segregata da medici e infermieri.
Avrei avuto una famiglia con cui trascorrere le domeniche e magari anche un animale domestico; avrei potuto passare il mio tempo giocando con i miei amici anziché chiusa in un laboratorio. Avrei potuto avere amici simpatici che mi avrebbero fatto sentire speciale; anche se, in fondo, avrei pensato di non esserlo.
Ma avevo potuto scegliere?
No.
Non avevo deciso io come nascere e come vivere la mia vita e questa che subivo ora non era altro che sopravvivenza.
Ma io che potevo farci se tutte quelle cose belle non mi sarebbero mai capitate?
Perché, poi, lo sapevo che compiuti i miei sedici anni sarei stata arruolata nell' esercito come tutti coloro che possedevano doti telecinetiche.
Pensavo alle vite che avrei salvato. Ma chissà quante, invece, ne avrei tolte.
Tante. Troppe.
E ora volevano farmi anche sparare. Probabilmente in via del tutto eccezionale mi avrebbero mandato in anticipo. E tutto per colpa di questo stupido potere che io neanche volevo.
La polvere, intanto, aveva cominciato a girare più forte e in maniera disordinata.
Chiusi gli occhi e lasciai che tutta la paura l'odio e la solitudine diventassero energia.
E così le luci cominciarono a sfarfallare emettendo suoni striduli e ronzanti.
Poi d'un tratto un rumore di vetri rotti: la finestra era distrutta in tanti piccoli pezzetti che ora giravano con la polvere.
Poi fu il turno delle luci che si sgretolarono.
Il tutto accompagnato dal mio urlo
Mi tappai le orecchie ma ormai era tardi: non avevo più il controllo di ciò che facevo.
Probabilmente stavano venendo a sedarmi e l'idea non faceva che aumentare il turbinio di schegge di vetro.
Poi mi concentrai.
Cosa volevo? Che i vetri cadessero a terra
- H112! - mi diceva qualcuno. Ma avevo gli occhi chiusi e non potei vedere chi fosse.
- Puoi controllarlo – diceva - lo so che puoi farlo -. Qualcosa nella sua voce non sembrava minaccioso ma anzi comprensivo.
E così piano piano mi calmai e con me anche la tempesta di vetri.
Poi aprii gli occhi e fui sorpresa nello scoprire che la persona che mi aveva calmato altri non era che l'infermiere della settimana precedente. Allora non mi era sembrata una persona dai bei modi: anzi con me era stato particolarmente aggressivo. Possibile che una persona potesse cambiare così tanto?
Aveva gli stessi capelli biondi cenere tirati indietro e la stessa mascella squadrata
- Puoi stapparti le orecchie. È finita - disse dolcemente.
Io acconsentii e mi guardai attorno. La stanza era un disastro.
Il letto era pieno di vetri; l'armadio era aperto e una distesa di vestiti riempiva la stanza.
La finestra, che affacciava sul cortile sotterraneo, ora era completamente distrutta.
Le lampadine esplose e in alcuni punti la carta da parati era completamente strappata.Mi scortarono verso un'altra camera ma non ritennero il caso di farmi un'altra iniezione. Almeno su quel punto mi trovavo d'accordo.
La nuova camera non aveva finestre ed era notevolmente più piccola rispetto alla mia.
Ma forse, convenni , nelle condizioni in cui l'avevo lasciata non sarebbe stata più la mia camera per un po'. Si cimentarono nel fasciarmi le ferite che mi avevano causato le schegge; dopodiché essendo tardi mi limitai ad andare a dormire.
Pur sapendo in cuor mio di non essere al mio posto.Fan art by Cuore_di_sogni
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Soggetto H112
Paranormal"Aver paura non è un problema. Fino a quando la tua più grande paura sei tu". Chiusa in una stanza, H112 vive sospesa tra presente e passato, tra incubo e realtá. Ma come è finita lí dentro? Perché tutti la trattano con timore e deferenz...