La fuga

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Emisi un urlo telepatico e subito la schiera si gettò a terra con le mani tra le orecchie.
Malcolm ne scagliò alcuni contro la parete.
- Corri!
Esclamò nuovamente, stavolta con tono più deciso.
Per uscire dalla base dovevamo raggiungere il tetto. Diretti alle scale, corremmo senza fermarci.
Nessun altro ci stava ostacolando.
Arrivati alla porta che deva sul tetto, ci accorgemmo che era chiusa: avevamo poco tempo.

Sentii i passi degli infermieri salire le scale; dovevamo allargare il lucchetto con la telecinesi, in modo tale da distruggerlo.
Ci provai; mi misi d'impegno. Sentivo l'energia dentro di me, ma non riuscivo a controllarla.
I passi si facevano sempre più vicini.
E poi di botto la porta si staccò dai cardini. Ricominciammo a correre.
- Bene. Bene. -
Davanti a noi si trovava il Dottor Luster che, con un sorriso arcigno, ci guardava vittorioso.
- Non sparate! Li voglio vivi, se possibile. -
Poi guardò il tetto vicino, dove era appostato un cecchino.
- Almeno lei mi serve viva. -
Sussultai.
Avevo trascinato io Malcolm in quella situazione; avevo dato per scontato che non ci avrebbero sparato. Almeno non a me. Io gli servivo viva.
- Mi dispiace - sussurrai a Malcolm.
Poi gli sfiorai la guancia con le mani e feci diversi passi verso il dottore.
Il vento mi scompigliava i capelli.
- Mey, no! - gridò Malcolm.

Ma ormai io non lo sentivo. Mi concentrai sul cecchino. Volevo fermarlo e c'era solo un modo per riuscirci.
L'adrenalina mi scorreva nelle vene.
Non potevo farcela. Eppure qualcosa mi spingeva a provarci di nuovo.
Non mi ci volle molto per stabilire un legame empatico. Non c'ero mai riuscita prima senza un oggetto.
Sapevo di avere un potenziale, ma non immaginavo di poter manipolare in questo modo le persone.
Ero sul tetto di fronte. In mano impugnavo l'arma fredda al tatto.
Di fronte a me, in lontananza, il Dottor Luster, Malcolm e una terza figura circondata da piccole polveri rotanti.
- Cosa stai facendo? -  esclamò preoccupato il dottore - Smettila subito!- era fuori di sé.
Dovevo farlo non avevo molto tempo. Presi l'arma e mirai.
Premetti sul grilletto, il cuore mi batteva all'impazzata. Il vento raffreddava il mio sudore.
Tremavo ma dovevo farlo.

E così parti il colpo.
Subito il dottore cadde a terra, in preda agli spasmi.
Dopodiché gettai l'arma dal tetto e tornai nel mio corpo.
Notai subito di non aver ucciso il dottore. Lo avevo solo colpito alla gamba.
Dopotutto era la prima volta che sparavo. Non potevo immaginare che lo avrei fatto ancora.
- Fermateli! -.
- Andiamo! - urlai a Malcolm.
Scendemmo velocemente le scale antincendio raggiungendo il parcheggio. A quell'ora c'erano solo una decina di macchine.
- Dobbiamo prenderne una – dichiarai decisa.
- Prima di venire qui prendevo lezioni – rise.
Ci avvicinammo ad una macchina nera dall'aria antica.
Era aperta: Malcolm collegò i fili e in poco tempo fummo pronti a partire.
- Fermi! - Altri infermieri cominciarono ad inseguirci.
- partiamo! – gridò.
Così mise in moto. Aveva gli occhi spiritati e un'espressione divertita.
Dietro di noi due macchine cominciarono l'inseguimento.
Stavamo attraversando una strada sterrata.
La machina traballava.
- Quante sono? - mi chiese dopo aver svoltato.
Mi voltai e notai, in una nuvola di fumo, due jeep scure con i vetri oscurati.
- Sono due; dobbiamo seminarle.
Fuori dal finestrino vedevo una vasta area desertica; l'avevo già vista quando ero arrivata, ma allora avevo solo sette anni. Ero così piccola e indifesa.
- Mey tutto ok? -
Non capii il motivo di quella domanda.
- Stai piangendo - aggiunse

E fu allora che mi resi conto di tutto. Io ero uscita dalla base.
C'era un intero mondo da vedere; una persona da aiutare.
Tenevo ancora stretto tra le mie mani il fascicolo e dentro, come sospettavo, c'erano le chiavi.
- Attenta!
La macchina sterzò velocemente.
La guida di Malcolm era tutto fuorché sicura.
Partì un colpo e il vetro sul retro si ruppe.
- Mey, fa qualcosa!
Malcolm era visibilmente preoccupato mentre io ero totalmente travolta dall'eccitazione, che quasi non mi rendevo conto della situazione.
Tentai di concentrarmi su una delle macchine. Passai al posto dietro. Dovevo spostare l'auto. Non potevo riuscirci. Non riuscivo nemmeno a muovere una pallina.
La dottoressa aveva pagato per questo.
Ed era colpa mia.
Troppe emozioni mi attanagliavano la mente: l' euforia di essere all'aria aperta. La paura di morire. Il senso di colpa.
L'energia dentro di me cresceva. Tra le mie dita scorreva come elettricità. La sentivo tirarmi le punte delle unghie.
Poi mi fermai. Presi fiato e mi focalizzai sulla prima macchina che con un movimento netto venne ribaltata.
Non riuscivo a credere ai miei occhi
Eppure era lì davanti a me. E si allontanava man mano.
Tentai di dire qualcosa, ma poi rimasi in silenzio.
- Mey, non credo hai miei occhi! Credi di riuscire a farlo di nuovo? -
- Io non ... -
Mi concentrai sulla seconda auto.
Tentai di ripercorrere mentalmente il procedimento della prima, ma non ci riuscii.
- Non riesco! - gridai a Malcolm.
- Trova qualcosa altro - Poi sospirò - So che puoi farcela! -
Aveva i capelli scuri, incollati alla fronte bagnata di sudore. Gli occhi erano puntati sulla strada
'Spostati. Spostati.'

Nulla. L'auto intanto si avvicinava e partivano colpi ad intervalli di pochi secondi.
Dall'area desertica eravamo passati ad una zona boscosa.
Per la strada erano ammucchiati tronchi di legno, che io scagliai addosso alla macchina con una forza tale da ammaccare il parabrezza. Ma non abbastanza da fermarli.
L'auto ci raggiunse e tentò di buttarci giù dalla carreggiata.

Emisi un urlo telepatico e li feci sbandare. Tentammo il sorpasso, ma ci stavano incollati.
Poi abbassarono il finestrino e un uomo mi puntò una pistola sul volto.
Spostai la mano dell'uomo con la telecinesi, ma il colpo partì lo stesso. E mi colpì.
Un dolore sordo mi attraversò il braccio. Tentai di fermare l'emorragia con la mano, ma il dolore era tale che mi sembrava di avere il braccio in fiamme.
- Mey!
Concentrai tutta la mia rabbia su quella macchina: la sollevai da terra e la scagliai fuori dalla carreggiata.
Non prima di aver impugnato la pistola, che ora tenevo stretta in mano.
Malcolm era quasi sul punto di lasciare il volante, ma poi non lo fece, ricordando di essere l'unico motivo per il quale la macchina si muoveva.
- Quanto è profonda? – chiese. Era preoccupatissimo e probabilmente spaventato, pensai.
- Sto bene ... – mentii - è superficiale.
Cominciavo a vedere tutto nero.
- Sei sicura?
- S...- Che stava succedendo?
Non vedevo più nulla. Non sentivo più nemmeno il dolore al braccio, in effetti.
E questo è tutto quello che ricordo.

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