~Capitolo 8~

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Mi sento male; non so bene come spiegarlo.
Non ho mai capito le persone depresse, quelle che si auto-infliggono danno fisico.
Ma ora capisco: non é solo una cosa psicologica, un pensiero.
É una sensazione che ti blocca tutto dentro, mentre il dolore prende il sopravvento. Come la neve, che si trasforma piano piano, e da piccoli e soffici fiocchi, che si accastano uno sull' altro, si tramuta in un blocco pesante, spietato, che piega ogni cosa sotto il suo peso: senza badare a ciò che distrugge, inarrestabile.
Il dolore é proprio così, come la neve: subito lo si sottovaluta, si fa finta di niente perche tanto poi tutto si aggiusterà.
Ma poi, a poco a poco, dolore su dolore, diventa insopportabile, quasi troppo pesante per un qualsiasi essere umano lo trasporti, spezzandolo, riducendolo in mille pezzi impossibili da riattaccare.
Ma io non posso finire così, non posso: non posso per me, ma soprattutto non posso per Talia.
Devo trovare qualcosa da fare, per distrarmi, per allontanare il dolore quanto basta e continuare a vivere la mia vita.
Ci penso un po', fino a quando ho un' illuminazione: il lago delle canoe, simile a quello in cui mi divertivo tanto da piccolo, in montagna.
Esco dalla mia cabina di fretta, smanioso di provare di nuovo quella sensazione magnifica, quasi come un drogato in crisi di astinenza...
Ad un certo punto esco dalla trans in cui sono caduto, a causa di un corpo che sbatte violentememte contro di me.
"Cos...?"
Metto a fuoco, come a rallentatore, una ragazza castana che si sbilancia all' indietro, scivolando nel lago. Io d' istinto le afferro il braccio, facendomi trascinare nell' acqua.
Un senso di benessere si fa largo dentro di me, come una brezza fresca in un afoso giorno d' estate, facendomi desiderare di restare immerso per il resto dei miei giorni.
Basta però un contatto, una mano che sfiora la mia con un urgenza, per ricordarmi che non posso, non posso.
La ragazza che é scivolata con me si sta dibattendo, nel tentativo di nuotare fino in superficie, ma non riesce: le sue caviglie sono impigliate in un groviglio di alghe verdognole.
Mi precipito sul fondo, per cercare di districare quella prigione, ma non ci riesco: sono robuste, ed in più sembrano come animate di vita propria, per ogni groviglio che sciolgo se ne riforma un altro. Lancio un' occhiata alla ragazza e la riconosco: é la figlia di Atena dell' infermeria. Riconosco anche, però, che lei, a differenza mia, non può respirare sott' acqua e sta soffocando.
Cerco disperatamente un modo per controllare il mio potere ed allargare la mia bolla d' aria fino alla ragazza. Ma non ci riesco, non riesco a controllare i miei poteri...
La guardo disperato, mentre il suo volto sta prendendo una sfumatura pericolosamente bluastra.
No no no no no. NO.
Non posso lasciarla affogare, ma come faccio?!
E poi realizzo: se non posso allargare la bolla posso fare in modo di sfruttare quella già esistente.
Nuoto verso l' alto, cercando di raggiungere la ragazza che ha ormai smesso di lottare.
Mi piazzo dietro di lei, facendole appoggiare la testa nell' incavo della mia spalla, mentre spero che funzioni.
Dopo qualche secondo la sento inspirare rumorosamente e tossicchiare sputando l' acqua che ha imbevuto.
Vorrei rassicurarla, dirle qualcosa, ma mi rendo conto che prima di tutto d'eco cercare di liberarla dalla pianta che ormai si é avvinghiata attorno al suo ginocchio.
Lei deve capire, perché mi afferra la mano portandomela fino al suo fianco. Trovo il fodero di un pugnale, che estraggo.
Le lancio uno sguardo di intesa prima di allontanarmi lentamente da lei per raggiungere l' ammasso che le imprigiona le gambe.
Anche se con un po' di fatica, e facendo attenzione a non ferirla, la libero.
Appena può sbatte le gambe, nuotando verso l' alto, verso la luce del sole.

"Dovrei forse ringraziarti?"
La osservo, seduta sul letto dell' infermeria, i vestiti ed i capelli ancora umidi.
É bellissima...
"Beh, ti ho salvata da una prigione di alghe ed ho impedito che tu affogassi, un grazie non mi farebbe poi così schifo..."
Ridacchio piano. É così tenera mentre mi guarda con i suoi occhi grigi ed intelligenti, le sopracciglia aggrottate.
Fred...? Ti piace?
No, assolutamente no.
"Si ma guarda che non avrei avuto bisogno di essere liberata se tu non mi avessi buttata nel lago"
"Ehy! Non l' ho fatto apposta, ti ho anche già chiesto scusa..."
La sua espressione accigliata si tramuta in un sorriso.
É così...bella, quando sorride.
Ci guardiamo negli occhi, io seduto sulla sedia a fianco del suo letto.
Senza che me ne accorga, mi avvicino lentamente al suo viso, mentre il mio sguardo va dalle sue labbra ai suoi occhi.
"Allora grazie..."
É la sua voce a riportarmi alla realtà.
Cosa sto facendo?!
Prima che possa fare alcunché, lei elimina la distanza tra di noi, poggiando le sue labbra sulle mie.
Vado in panico. Cosa sta succedendo?
Con urgenza, poggio le mie mani sul suo petto allontanandola gentilmente.
"Io...no..."
Mi guarda confusa, leggermente imbarazzata.
Scuotendo la testa mi alzo dalla sedia, uscendo dall' infermeria, lasciando dentro la ragazza che mi ha fatto battere il cuore, la ragazza che probabilmente mi avrebbe aiutato ad uscire e liberarmi di questo dolore.
Lasciando dentro Margherita, la figlia di Atena pazza ed adorabile dell' infermeria.
Che cosa ho fatto?!


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Okay allora facciamo tutti un' applauso a questo tizio _matzeusson_ che ha cambiato nome e che mi ha dato tutte le idee per questo capitolo, ma  resta comunque un rompipalle.


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E niente blblblblbl ciao

Lo Zio Più Figo Dell'OlimpoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora