Chapter 7.

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-E adesso?- chiese Grace, mentre Carter girava a vuoto per la città.
-Adesso bisogna trovare un posto in cui lasciare la roba finché sarà possibile.- osservai gli altri -Io non ho nessun posto in cui poterci appoggiare. Le altre case di proprietà della mia famiglia, sono sparse nel mondo o comunque troppo lontane da New Orleans.- 
-C'è un appartamento nel quartiere francese, i miei lo hanno comprato per me.- rifletté ad alta voce Vance.
Andammo a casa di Vance, in modo che potesse prendere le chiavi di quell'appartamento, facemmo una copia, le riportammo a casa, poi andammo nel quartiere francese. La casa si trovava proprio lì perché, la madre di Vance, era da sempre affascinata dalle leggende legate a quel posto. Era un appartamento arredato molto bene, ma impersonale. I mobili e il resto facevano trasparire uno stile moderno, al contrario dell'esterno che era piuttosto antico. Sistemammo tutte le cose che avevamo preso dalla tana, nascondendole per bene.
-Amico, puoi restare a vivere qui se vuoi. Questa casa è vuota, soltanto io ho le chiavi.- disse Vance a Carter.
In tutto quel casino, non avevo pensato a questo. Da quando avevo scoperto che Carter viveva in macchina, Steven in un atto di magnanimità, lo aveva lasciato vivere nella tana. Adesso, avendo perso quel posto, Carter sarebbe tornato a vivere in macchina.
-Non voglio la tua pietà Vance.- sapeva essere davvero orgoglioso delle volte.
-Non è pietà idiota, serve qualcuno che tenga sott'occhio la roba. Dirò ai miei che vivi qui, fosse per loro ti adotterebbero vista la tua abilità nell'interpretare il bravo ragazzo. Non ci saranno problemi.- chiuse il discorso Vance.
Carter odiava essere aiutato, credo si sentisse debole nel permetterlo. Ma sapeva che poteva fidarsi di noi altri, così non ribatté. 
-Vi riaccompagno, abitate lontano da qui.- fece Carter.
-Non vieni con noi?- disse Vance quando non entrai nell'auto.
-No, voglio fare due passi.- feci io. 

Abitavo abbastanza lontana dal quartiere francese, ma mi piaceva camminare. Quando ero più piccola facevo passeggiate lunghissime, fu così che incontrai Steven. 
Incominciai a camminare verso casa e, durante il tragitto, mi fermai nel bar in cui andavamo sempre io e Rachel prima che iniziassi a spacciare. Presi un cappuccino a portar via e lo bevvi durante il resto del tragitto. 
All'improvviso una macchina si fermò affianco a me.

-Ti serve un passaggio?- chiese il conducente.
-Ancora che cerchi di farmi da autista, Mitchell?- dissi ridendo.
-Sei antipatica e fastidiosa, sali.- aveva una faccia infastidita.
-Non salgo in macchina con te. Se avessi voluto tornare a casa in macchina, sarei andata con Carter.- continuai a camminare.
Pensai che avesse capito, dal momento che mise in moto e andò avanti. Si parcheggiò, scese, e incominciò a camminare con me. Si mise a ridere per la mia faccia sarcastica, era davvero ridicolo.
-Ma che..-
-Devo parlarti.- fece con poca convinzione.
-Sentiamo.- mi fermai, mi voltai verso di lui, e incrociai le braccia al petto in attesa.
-Ehm sì, allora..- si mise a pensare a qualcosa da dire, probabilmente.
-Sei così poco credibile Wade.- sbuffai e ripresi a camminare, allontanandomi da lui.
-No sul serio, stammi a sentire. Hai letto l'articolo di oggi? Quello su Steven intendo. Dovete immediatamente liberare il vostro ritrovo; anche se credo che la polizia sia già lì ora.- aveva il tono di chi aveva appena trovato qualcosa da dire.
-Arrivi tardi, fosse per te saremmo tutti al fresco. E comunque, che te ne fai del mio numero allora? Non potevi dirmelo prima? Se non fossi andata a controllare le ultime notizie su internet, sarei sul serio al fresco.- ero un po' arrabbiata.
-Mi dispiace, ero all'università, solo mezz'ora fa ho potuto usare il telefono.- era sinceramente dispiaciuto.
Lo ignorai e continuai a camminare, calò il solito silenzio. Passai volontariamente dalla strada in cui si trovava la tana, per vedere se la polizia fosse ancora lì per il sopralluogo. Ovviamente gli sbirri erano lì, a mettere a soqquadro quella che era stata una seconda casa per noi. Andai avanti, mi sentivo come se mi avessero violata ed era strano. Quel luogo era il ritrovo dei miei ricordi, di quelli peggiori. La stanza che avevo pulito, era stata teatro delle violenze più atroci che avessi potuto mai vedere e subire nella mia vita. Quindi, perché ero così dispiaciuta? Perché avevo voglia di fermarli e urlare di lasciare tutto dov'era?
"Non troveranno nulla."
All'improvviso, come se avesse sbattuto contro un muro invisibile, Wade si bloccò con lo sguardo pietrificato e terrorizzato.
-Cosa ti succede, donzella?- lo presi in giro.
-Sul cadavere ci sono le mie dannatissime impronte, non voglio finire nei guai a causa tua. Alla fine non ho fatto niente, non ho ucciso nessuno, non ho spacciato, non c'entro! Capisci?- stava urlando e io volevo solo tappargli quella dannata boccaccia. Ogni volta che ero con lui, rischiavo di essere scoperta e non andava affatto bene.
-Non urlare!- ero io ad urlare ed ero furiosa, ma poi dissi a bassa voce -Non ti ho chiesto io di aiutarmi a disfarmi del corpo. Non sono stata io a chiederti di impicciarti negli affari miei, quindi ora stai zitto. E comunque, sei sicuramente incensurato, quindi le tue impronte non sono nel database. Adesso togliti quell'espressione terrorizzata dal volto, stai attirando l'attenzione dei passanti.- finii.
Non disse niente, evidentemente ci era rimasto male, oppure non avrebbe voluto dire quello che aveva detto; non mi importava. Mi fermai all'improvviso nel parco in cui mi portava mio padre quando ero bambina, con i giochi e le panchine. Mi sedetti su una di quelle panchine e mi accesi una sigaretta, nel frattempo guardavo i bambini che giocavano. Wade si sedette vicino a me, ma non parlammo. Restammo in silenzio fino a che non se ne fu andato anche l'ultimo bambino.
-Cosa ci facciamo qui?- chiese all'improvviso.
Inizialmente non risposi, non ne avevo voglia. Mi rendeva triste essere lì, mi faceva venire in mente la mia infanzia. Ogni volta che restavo da sola con la tata per giorni, mio padre mi ci portava per farsi perdonare. Erano i giorni più belli per me, mi sentivo quasi una bambina normale. Voglio dire, mia madre e mio padre non ci sono stati molto per me, quindi quello era come un momento sacro da custodire gelosamente.
-Ci venivo con mio padre quando ero bambina.- mi alzai ed andai verso l'altalena.
Incominciai a dondolare dapprima piano, poi più veloce. Pensai a mio padre ancora una volta, a quando mi spingeva. Diceva sempre che dondolare era quasi come volare e io ridevo, ridevo tanto. Wade mi osservava, poi si sedette all'altalena vicino alla mia e fece quello che facevo io. Lo osservai mentre dondolava, sembrava un uomo con la sindrome di Peter Pan. Tra l'altro, stranamente, non sapeva nemmeno andare sull'altalena. Mi misi a ridere di gusto e continuai a dondolare. Ridevo davvero, tanto. Ridevo come quando ero bambina e, per un momento, mi sembrò di essere al di sopra di tutti i problemi. Wade rise di sé stesso, era davvero fuori posto, però poi prese la mano ed era piuttosto bravo. 

-Come mai non sei capace di dondolarti su un'altalena?- dissi mentre ridevo.
-I miei sono imprenditori, quando ero bambino non c'erano davvero mai. La mia tata era alquanto severa, a stento mi faceva giocare in giardino.- divenne serio. 
-Sai, posso capirti. Nemmeno i miei c'erano mai. Mio padre era impegnato ad espandere la sua catena di alberghi, quindi era sempre fuori città; mentre mia madre era presa tutto il tempo da qualche causa o da qualche evento mondano; l'ufficio, il tribunale e il club sono tutt'ora la sua casa. Quelle poche volte che mio padre era a casa, mi portava qui.- 
-Mi sembri diversa.- mi sorrise -Sembri così spontanea e, per la prima volta, non hai usato il tuo tono arrogante nell'ultima ora.- 
-Tu dici?- incominciai a dondolare più piano, fino a fermarmi.
-Perché pensi che io sia incensurato?- mi chiese quasi offeso.
Non potei fare a meno di ridere, me lo aveva chiesto sul serio?
-Smettila di ridere, sono serio.- era ancora più offeso.
-Non ti devi offendere, è un complimento.- tornai seria -Tu sei il classico tipo perfetto in tutto, colui da cui non ci si aspetterebbe mai nulla di male. Te lo si legge in faccia che non faresti del male nemmeno ad una mosca.- lo guardai attentamente, la sua espressione offesa era stata sostituita da una malinconica.
-Eppure ho occultato un corpo.- disse amaramente.
-Ma ti stavo minacciando con una pistola, anche se scarica.- 
-Cosa? Era scarica? Mi stai dicendo che avrei potuto chiamare la polizia? Mi stai dicendo che mi sono fatto fregare come un idiota? Sapevo che ci fosse qualcosa di strano in quel momento, avrei potuto denunciarti.-
-Già, ma non l'hai fatto.- dissi alzandomi, sembrando più infastidita di quanto volessi.

Borbottò qualcosa, probabilmente sul fatto che avrebbe dovuto stare zitto e che fossi fastidiosa, ma lo ignorai.
Arrivammo a casa mia e mi accompagnò fino al portone. 
-C'è tua madre che ci guarda dalla finestra.- disse, cercando di non ridere.
-Quella donna è più invadente di te, se è possibile.- feci spazientita.
-Eccolo di nuovo.- disse rassegnato.
Sapevo di cosa stesse parlando, parlava del mio tono arrogante. Non potevo farci niente, era parte di me da quando ne avevo memoria. Così, mi limitai a non rispondere e ad alzare le spalle.
-Cosa facciamo?- mi chiese.
-Con cosa?- chiesi disorientata.
-Tua madre. Ci fissa, mi fa sentire in imbarazzo.- non capii se la situazione lo divertisse o lo imbarazzasse sul serio.
-Seguimi.- gli dissi, quasi sul punto di ridere.
Gli sorrisi come la migliore delle attrici e lo abbracciai a lungo. Non volevo compiacere mia madre, non volevo che fosse contenta di vedermi fare ciò che voleva di più. Ciò che mi avrebbe compiaciuta, sarebbe stato sfuggire al suo interrogatorio, lasciandola con un pugno di mosche.
Poi Wade fece qualcosa; qualcosa che non avrebbe dovuto fare.

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