Chapter 8.

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Sciolse l'abbraccio e mi diede un leggero bacio sulla guancia.
-Ma che cosa ti è venuto in mente?- dissi, continuando a sorridergli a causa di mia madre.
-Non sapevo cos'altro fare.- sorrideva anche lui. 
Sorridevamo come due idioti quando, in realtà, avrei voluto strangolarlo con le mie mani. Mi voltai verso mia madre, in modo che capisse di essere stata scoperta. Come immaginavo, richiuse la tenda e andò via. Finalmente potevo cancellarmi quell'espressione odiosa dal viso.
-Non ti permettere mai più di fare una cosa del genere, intesi?- dissi quasi in collera.
Ma che gli era venuto in mente? Aveva forse perso la testa? Io non ero una tipa da baci e abbracci. Sì, avevo incominciato io quella pantomima, ma non avrei mai voluto un contatto fisico così privato. Wade mi guardava come se mi fossero spuntate due teste. Pensai a quanto matta gli potessi sembrare in quel momento. Non mi importò granché, tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che non avrebbe dovuto farlo. 
-D'accordo, se avessi saputo che ti avrebbe dato così fastidio, non lo avrei mai fatto.- disse.
Non feci in tempo a rispondergli che andò via. 

Entrai in casa e, come previsto, mia madre era pronta per farmi l'interrogatorio. Mi chiese il nome, il cognome, chi fossero i suoi genitori, se li avevo già conosciuti e, al mio no, se me li avrebbe fatti conoscere. Ne avevo avuto già abbastanza di quella giornata, così lasciai il suo interrogatorio a metà e me ne andai in camera. Parlai con Grace per un po'. Mi disse che, dopo essermene andata, avevano pensato che avremmo dovuto starcene tranquilli per un po'. Io fui d'accordo, con tutto quello che c'era nella tana, la polizia avrebbe di sicuro indagato sul traffico di droga di Steven. Appena me ne ricordai, andai a guardare le ultime notizie. Non c'era nulla di nuovo o inaspettato; ciò che la polizia credeva era che, il complice di Steven, aveva ripulito l'appartamento poco prima del loro arrivo. Per la prima volta, pensai che quel verme fosse servito a qualcosa. Ci aveva insegnato molte cose sulla legge, quindi in quella situazione avevamo fatto la cosa giusta.
Dal momento che non avevo nulla da fare, mi concentrai nuovamente sul compito di scrittura creativa. Avrei dovuto scrivere che mi vedevo in carcere, a scontare una pena più lunga degli anni che mi erano rimasti; chissà che faccia avrebbero fatto tutti. Mentre pensavo a cosa scrivere, suonò il cellulare. Era un messaggio di Wade.
"Mi dispiace per oggi, come posso farmi perdonare?"
Proprio non ne voleva sapere di lasciarmi in pace. Sasha era così noiosa, da portarlo ad intrattenersi con una matta?
"Lasciandomi in pace!" risposi, mettendo il silenzioso. 
Mi addormentai poco dopo, con la speranza che la mia vita potesse tornare alla normalità quanto prima.

Il resto della settimana passò tranquillamente, non spacciammo né parlammo di tutta la faccenda. La polizia aveva trovato delle impronte sul corpo, ma avevano smesso di rilasciare dichiarazioni alla stampa, quindi non ne seppi di più. Non sentii né vidi Wade, il che mi fece sentire strana. Mi ero abituata ad avere qualcuno di diverso nella mia vita. Rachel era presa dall'ennesimo evento scolastico, così non ci vedemmo molto durante quei giorni. 
Era arrivato sabato e mi svegliò una chiamata sul cellulare. 
-Pronto.- feci senza nemmeno guardare chi fosse. 
-Scott, la tua voce da appena sveglia è più sopportabile.- fece qualcuno dall'altro lato del ricevitore.
Guardai lo schermo e lessi il nome di Vinnie Webster.
-Che cosa vuoi, Webster.- dissi schiarendomi la voce. 
Mi disse che la sera avrebbero fatto una festa in casa sua e che gli serviva qualcosa per "animarla".
-D'accordo, ma vieni a casa mia. Non mi sono divertita l'ultima volta, quindi questa volta decido io dove e quando. Ci vediamo questo pomeriggio alle cinque.- riattaccai, senza dargli il tempo di rispondermi. Negli ultimi dieci giorni avevo avuto a che fare già troppe volte con la polizia, non avrei ripetuto l'esperienza.

Presi l'auto ed andai nel quartiere francese per prendere la roba.
-Carter apri!- dissi mentre con una mano bussavo e con l'altra torturavo il campanello.
-Non avresti potuto darmi il tempo di vestirmi?- disse aprendo la porta.
Ero stata così insistente da farmi aprire in boxer. Scoppiai a ridere.
-Sì certo, ridi pure. Cosa vuoi?- fece buttandosi sul divano. 
Gli raccontai della chiamata di Vinnie, di quanto mi servisse e poi parlammo di cosa ci fosse rimasto.
-Come troviamo i fornitori di Steven? Mentre ripulivamo la tana ho visto un taccuino, ho detto a Grace di prenderlo perché avevo le mani occupate, non so se l'ha fatto.- 
Avevano trattato superficialmente una cosa così importante? Chiamammo Grace e le chiedemmo di raggiungerci. Nel frattempo, io preparai il caffè e Carter andò a vestirsi.
Grace arrivò dopo venti minuti, come se avesse fatto una corsa campestre.
-Che succede di così urgente da farmi precipitare qui?- disse tra un sospiro e l'altro.
-Quando abbiamo ripulito la tana, hai preso il taccuino nero di Steven?- le chiesi con impazienza. Sembrò pensarci un po', come se non si ricordasse di cosa le stessi parlando. Continuava ad attorcigliarsi una ciocca di capelli biondi intorno all'indice. Avrei voluto schiaffeggiarla e, se non si fosse data una mossa a parlare, lo avrei sicuramente fatto.
-Parli di questo?- estrasse un taccuino nero dalla borsa -Lo porto con me da quel giorno.- l'avrei uccisa, avevo deciso.
-Tu sei fuori di testa. Piuttosto che fare la commedia, avresti potuto dirlo subito e basta. E con subito non intendo oggi, intendo in quella bettola dove ci ha portati Carter.- quasi urlai.
-Non era così male.- disse Carter, forse per allentare la tensione. Lo fulminai con lo sguardo e poi presi il taccuino dalle mani di Grace. Incominciai a sfogliarlo senza riuscire a capirci nulla.
-Ma cos'è sto schifo? Non si capisce niente. Chi dovrebbe essere "Fuffy"? Un cane?- sospirai -Vogliamo parlare dei numeri? Non hanno alcun senso. Non ho mai visto nessuno di questi prefissi.- lanciai il taccuino per aria, si stava rivelando più dura di quanto pensassi. Carter raccolse l'agenda in silenzio e si mise a sfogliarla. Ad un certo punto prese un foglio ed una penna e si mise a scrivere qualcosa. Non appena ebbe finito chiamò Vance che era già per strada. Presi un sorso dal mio caffè, mentre osservavo Grace torturarsi le mani.
-Smettila Grace, tra poco ti uscirà del sangue. Non importa se non lo hai detto prima. Non ci è servito per tutta la settimana ed, in più, è totalmente inutile.- Mi dispiaceva averla aggredita, sembrava sempre così innocente con quella cascata di capelli biondi e quegli occhioni verdi. 
-D'accordo la smetto. Ma non ero agitata per quello, non soltanto almeno. Ci è rimasto poco di ciò che aveva comprato Steven. Abbiamo i suoi soldi, è vero, ma non possiamo comprare nulla se non troviamo chi gli vendeva la droga.- sbuffò. Quello era un problema davvero grave. Dove avrei trovato altri fornitori affidabili? Nel frattempo arrivò Vance con il pranzo. Mi accorsi di avere fame soltanto dopo aver visto quei panini. Mentre mangiavamo, continuavamo a guardare tutti quei nomi e quei numeri senza senso. Vidi Carter impegnato in qualcosa.
-Cosa fai?- chiesi, osservando la sua espressione concentrata.
-Ho capito il metodo usato da Steven.- disse, senza distogliere lo sguardo dal foglio.
Eravamo impazienti di capire, così lo fissammo senza dire nulla. 
-Grace è "Porcellana", ho riconosciuto il suo numero.- ci indicò il taccuino.
-Porcellana? Sul serio?- disse Grace imbronciandosi. Non potei fare a meno di ridere.
-Quinn, tu sei "La Matta"- aveva perfettamente senso -Io sono "L'Orfano", direi che non poteva scegliere nome migliore.- fece una pausa -Mentre Vance, lasciatemi dire che è quello che preferisco, tu sei "Il Viziato".- Vance si limitò a sbuffare, senza dire nulla. 
Ci spiegò che metteva i prefissi in posti diversi del numero a persone alterne, mentre il resto restava in successione. Pensai che fosse furbo, nelle mani di qualcun altro non avrebbe avuto alcuna utilità. Ma come avremmo scoperto i suoi fornitori? 
-Tutto molto divertente, ma come troviamo chi fa al caso nostro?- disse Grace, come se mi avesse letto nel pensiero. Passammo il resto del pranzo a leggere i nomi senza senso che riempivano quel taccuino.
-Aspettate, questo "Shanghai" non mi è nuovo.- fece Carter all'improvviso.
-Era davvero così razzista oppure è un codice?- feci infastidita.
-Non è importante, adesso. Una volta, mentre pensava che dormissi, l'ho sentito parlare al telefono. Chiamava qualcuno "Shanghai" e parlavano di soldi. Decifro il numero e lo chiami.- si rivolse a me.
Ero stata io ad uccidere Steven, io avevo preso il suo posto. Ma perché avrei dovuto chiamarlo? Non obiettai, non volevo che mi credessero inaffidabile. Carter prese una scatola e ne tirò fuori un prepagato. Digitai il numero e premetti il tasto verde. Dopo tre squilli rispose qualcuno.
-Pronto.- disse una voce maschile.
-È così imbarazzante.- dissi a bassa voce guardando tutti -Salve, chiamo per conto di Steven. Cioè, chiamo al posto di Steven.- 
-Chi le ha dato questo numero?- disse l'uomo. La sua voce era minacciosa, mi metteva i brividi.
-L'ho trovato nel taccuino di Steven. Come sicuramente saprà, qualcuno lo ha fatto fuori, quindi noi abbiamo bisogno dei suoi contatti. Lavoravamo per lui.-
-Ah, tu devi essere la matta.- detto da lui non fu così divertente.
-Già, sono io.- feci poco convinta.
Intanto, il mio cellulare vibrava sul tavolino del salotto. Vance mi mostrò il display e lessi il nome di Vinnie Webster.
-Rispondigli ed accordatevi, come vedi sono impegnata.- gli dissi, coprendo il microfono del prepagato.
Vance andò nella cucina e rispose a Webster, io intanto mi accordai con quell'uomo su dove ci saremmo incontrati. Mi diede un indirizzo non molto lontano dal quartiere francese, ci sarei andata non appena chiusa la telefonata. Perché quell'urgenza? Mi sembrò molto strano. 
-Sia chiaro che non ci andrai da sola.- mi disse Carter quando chiusi la chiamata.
-Credi che sia stupida? Non avevo intenzione di andarci da sola.- 
Buttai il prepagato, era così che ci aveva insegnato a fare Steven. Una chiamata soltanto, poi il telefono è inutilizzabile. 
Vance mi disse che si era messo d'accordo con Vinnie, che sarebbe venuto a casa mia all'orario pattuito per ritirare la merce. Mi preparò una borsa con la roba che avrei dato a Webster e la sistemò nell'armadio all'entrata. Sarei passata a prenderla dopo l'incontro. Io e Carter saremmo andati all'appuntamento, mentre Grace e Vance sarebbero rimasti al ritrovo ad aspettarci. Ci fu una disputa per questo, Vance era convinto che dovessimo andare tutti insieme. Pensai che fosse meglio andare in due, quell'uomo pensava che mi sarei presentata da sola. Dopotutto era un fornitore di droga, non sapevo quanto fosse indulgente. 

Prendemmo la mia auto e guidai fino al punto di incontro. Di fronte a noi c'era una porta rossa con una finestra in cima. Non potei chiamare quell'uomo, sia io che Carter non ci eravamo portati il telefono, né avevamo un prepagato con noi. Era più sicuro così.
Bussai due volte ed aspettai. Mi aprii un uomo sulla trentina con un completo addosso.
-Salve.- dissi piegandomi in avanti -Abbiamo parlato al telefono poco fa.-
-Non con me. Da questa parte.- disse spostandosi per farci entrare.
-Cos'era quello?- mi chiese Carter, riferendosi al mio saluto.
-Non lo so, non sapevo cosa fare. E poi, non fanno così in Cina?- dissi agitata.
-se non sai cosa fare, allora non fare nulla. E comunque non lo so come ci si saluta in Cina.- fu la sua risposta.
Eravamo all'interno di un appartamento che somigliava a quello di Vance. Arredamento essenziale, quasi impersonale. Avrei giurato che non ci vivesse nessuno, se non fosse stato per delle foto. Ci fermammo in un salotto abbastanza spazioso poi, senza dire niente, quell'uomo ci lasciò lì e se ne andò. Incominciai a guardarmi intorno, appese alle mura c'erano le foto di una bellissima donna, probabilmente cinese.
-Quella che guardi, è mia moglie Mei.- disse un uomo che non avevo sentito arrivare. Era più vecchio dell'altro, avrà avuto una quarantina d'anni. Ci fece cenno di sederci e poi, si sedette dopo di noi.
-Io sono Cheng, ma per voi sarò il signor Guo.- disse, aspettando che anche noi ci presentassimo.
-Io sono Quinn, mentre lui è Carter. Piacere di conoscerla.- dissi con calma.
Sembrava una brava persona, ma ne dubitai fortemente. Anche Steven sarebbe sembrato una brava persona, con un completo addosso e dopo essersi fatto una doccia. 
-Cosa volete da me? Pensate che mi metta a trattare con dei ragazzini?- disse accigliandosi. 
Pensai che avrei dovuto aspettarmelo, avevamo diciassette anni, non sembravamo affidabili.
-Abbiamo lavorato con Steven per quasi tre anni, ci diceva di averci insegnato tutto quello che potevamo imparare.- 
-Questo è da vedere. Steven era un mio cliente, ma non era una persona di cui potersi fidare. Non mi sorprende che qualcuno gli abbia chiuso la bocca.- sogghignò -Però conoscevo i suoi insegnamenti, quindi voglio darvi una possibilità.- sorrise.
Sperai che finisse così, che ci saremmo accordati sulla quantità e il prezzo di quello che ci avrebbe venduto.
-La ringrazio.- mi fermai -Come intendiamo organizzarci?- dissi come se facessi quello da tutta la vita.
-Vedo che sei tu al comando, dal momento che il ragazzo non parla. Non ho detto nulla sul fatto che saresti dovuta venire da sola, ma non credere che me ne sia dimenticato.- fece severo.
"Accidenti"
-Lo so, mi scusi.- fu quello che riuscii a dire.
-Ad ogni modo, se pensi che vi venda semplicemente la merce, ti sbagli di grosso. Per il momento lavorerete per me. Vi metterò alla prova. Non vi darò nessuno dei miei clienti, mi limiterò a darvi ciò che vi serve. Se sarete in grado di vendere senza problemi, allora vi tratterò come degli adulti.- disse facendo un sorrisino di scherno.
Non potevo essermi liberata di un rifiuto umano per farmi carico di un altro. Per fortuna, ci disse che avremmo avuto a che fare con lui soltanto al termine delle scadenze. Così, ci saremmo visti poche volte.
-Vedo che non avete telefoni con voi, ciò è un punto a vostro favore. Vi fornirò un telefono che dovrete accendere solo due giorni prima della scadenza e per tre ore. Vi darò merce che dovrete smaltire in dieci giorni per cui, l'ottavo giorno, accenderete il telefono. L'apparecchio resterà acceso dalle cinque alle otto del pomeriggio dopodiché lo spegnerete, anche se non ho chiamato. Tutto chiaro?-
Sia io che Carter annuimmo. Il signor Guo fece cenno a quello che, suppongo, fosse il suo braccio destro. L'uomo mi consegnò un cellulare spento e si allontanò, senza dire nulla.
Ci disse di accendere il telefono dopo due giorni poi, ci congedò.
-Amico, questo sembra un fottuto casino.- aprii lo sportello della mia auto ed entrai.
-Già.- fece Carter, entrando a sua volta.
Misi in moto e ci dirigemmo dagli altri.

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