Anime deboli

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Camminare in quest'Inferno è davvero... un inferno. Banalità a parte, mentre percorro le strade della megalopoli che è adesso il mio regno, in pratica un riassunto della parte brutta dell'umanità, le anime dei miei dannati bruciano dentro di me mentre passo accanto ad uno di loro, sfioro per sbaglio la spalla di un altro, incrocio distrattamente lo sguardo di qualcuno che poi guarda altrove. Li sento, come fossero organi interni disobbedienti, parti di me che sarebbe meglio asportare ma senza le quali non potrei esistere. Nessuno di loro sa chi sono, nessuno al mio passaggio mi addita gridando: Hey, guarda il Diavolo! Però, bel giacchetto, Lucifero. No, nessun complimento per il mio fantastico giacchetto (vera pelle, se ve lo state chiedendo). Nessuna riconoscenza per il fatto che grazie a me le loro dannatissime esistenze eterne hanno un fottutissimo posto dove non diventare cenere. Eccola, ci ricasco. Questa è la mia Caduta. Lo so, ma è chiedere tanto vedere i propri meriti riconosciuti? Forse è chiedere troppo essere visti per quello che si è veramente? Le risposte le so. E so anche le conseguenze, perciò tiro su il colletto del mio fantastico giacchetto di vera pelle e vado avanti. Potrei dire che tutto sembra essere molto buio, ma sarebbe un giudizio affrettato. C'è della luce. Ha un colore ambrato, il rosso delle candele accese e l'amaranto delle lanterne. Non so da dove provenga, forse dai nuvoloni della dannazione che sostituiscono il Cielo. Le strade, i vicoli, i parchi, è tutto in penombra, tutto a lume di candela, chiaro, ma non abbastanza, definito, ma non abbastanza. Non posso farci niente se il mio Inferno mi rispecchia alla perfezione, la mela non cade mai troppo lontano dall'albero. E poi ci sono i suoni, che in prima battuta sembrano non esserci. Ma in verità qualcosa si muove, qualcuno sta parlando, da qualche parte un disco rock suona come se la musica avesse ancora un senso, i passi di qualcuno rimbombano da qualche parte, i respiri... i respiri. Anche se sono tutti morti, respirano tutti. Sì, penombra e brusio. Questo è quello che resta del mondo. Sempre meglio che nuvolette appiccicose di zucchero filato (quelle restano sui fianchi).

Vedo quello che Caio ha detto che avrei visto: bambini all'Inferno. Va bene, forse non sarò stato il primo della classe quando ero ancora accettato ai piani alti, ma questa lezione mi sembra abbastanza intuitiva. Cioè, mi fa strano persino metterli nella stessa frase, bambini e Inferno. Quelli che credo sia opportuno a questo punto definire amorevolmente piccoli diavoli, giocano in mezzo alla strada tirando calci a lattine di Diet Coke, vivisezionano carcasse di piccione lungo i marciapiedi, si minacciano tra di loro con coltellini svizzeri, imprecano e bestemmiano come i peggiori scaricatori di porto. Non è quello che fanno che mi scandalizza, figuriamoci, e non è nemmeno il fatto che lo facciano con quelle faccette da angelo e i riccioli dei capelli tanto perfetti da sembrare finti. Quello che fa crepitare l'Inferno dentro di me è il fatto che siano soli. Qui non esiste più nulla che assomigli al concetto di famiglia, di parentela, di... ci stavo cascando, eh. Stavo per dire amore. E va bene, forse è una trappola del Cielo. Forse è persino un'idea di Michele, o di quel -imprecazioni varie a piacimento- di Gabriele. Facessero pure il loro gioco, io farò il mio.

Ombre proiettate contro le pareti del vicolo che sto oltrepassando, qualcosa dentro di me va letteralmente in fiamme. Sento una vampata allo stomaco.

"Facciamo così ", esce fuori una voce femminile dal vicolo. "Voi mi lasciate in pace e io non vi uccido"

"Siamo già morti, bambola"

Mi affaccio, restando nella penombra. Tre uomini minacciano una ragazza con... pistole ad acqua? Ah, aspettate, uno dei tre ha anche una motosega! Due pistole ad acqua e una motosega. Dannazione, com'è caduto in basso questo posto.

"Vi uccido di più", dice la ragazza.

Mi chiedo che diamine abbia combinato nella sua vita per finire qui, perché nonostante le parole non sembra veramente in grado di fare male a qualcuno.

La motosega ruggisce a vuoto, con un pallido tentativo di minaccia alquanto ridicolo, che però sulla ragazza funziona. Non ci credo che lo sto facendo, ma lo sto facendo.

"C'è qualche problema?" 

La mia voce ha qualcosa di diverso dalle loro voci, se ne accorgono subito, ma non sanno dire di che si tratta. Sembra essere una voce che parla da millenni, e (sorpresa!) lo è.

"Tu chi diavolo sei?", chiede uno dei tre, quello con la motosega. Ah, la tentazione di svelarmi...

"Credimi, non vuoi saperlo"

Quello non sostiene il mio sguardo e si convince, non vuole saperlo per davvero. La motosega smette di girare a vuoto. I due con le pistole ad acqua hanno ancora un'aria piuttosto combattiva invece, il che li rende un po' ridicoli dal momento che hanno munizioni liquide. Non mi va di perdere tempo con loro, mi basta alzare una mano per scagliarli contro la parete, le loro anime sono deboli e incapaci di contrastarmi in alcun modo. Quello con la motosega se la dà a gambe, gli altri due lo seguono appena riescono a riutilizzarle, le gambe. La ragazza mi fissa con sorpresa.

"Ma come hai fatto?"

Le porgo la mano, e lei negli occhi scuri ha una potenza che non capisco. La sua anima è tutt'altro che debole.

"Sono il Diavolo", le dico. Non mi chiedete perché, non lo so.

"Come, scusa?" 

Insisto per la stretta di mano, sono uno all'antica, sapete. Alla fine cede.

"Lucifero", dico tanto per essere chiari.

"Lilin"

Mi guarda ancora un po' incredula.

"Io credevo che non esistessi", dice infine. Ecco, perfetto. Io voglio riconoscenza, e invece c'è ancora chi non crede che io esista.

"Spiacente di distruggere il tuo universo di credenze, esisto"

"Lucifero", dice pensandoci su. "Perciò sei tu che comandi da queste parti"

Annuisco, molto modestamente, lo giuro.

"Allora puoi spiegarmi perché sono finita qui, perché io non lo so davvero"

La guardo, mi guarda, sono turbato. È un po' come guardare Piramo e la sua più che ovvia innocenza.

"Vieni con me, Lilin. Scopriamo quanto sei cattiva."

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