Capitolo 13 - Anxiety -

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Attorno a me c'è il caos più totale. I poliziotti che hanno fatto irruzione sono ben protetti, indossano la maschera, il caschetto, hanno diverse pistole a testa e sopra la comune divisa portano tutti i giubbotti antiproiettile. Sono almeno una decina in questo corridoio, fanno domande, vanno avanti e indietro, si assicurano che tutti siano al sicuro, protetti. Gli studenti sono in preda al panico, corrono da tutte la parti, tutti vogliono sapere, tutti vogliono vedere. Nessuno riesce a stare fermo. Nessuno eccetto me. Io sono immobile. Nessun muscolo del mio corpo si muove. Sono paralizzata in mezzo a questa ondata di persone.Nessuno fa caso a me in questo disordine, qualcuno passando mi viene addosso per sbaglio, mi maledicono sbraitando un "Che diavolo ci fai lì  a terra?" oppure mi chiedono scusa con voce sommossa. In ogni caso io non rispondo, è come se non li sentissi. Sono chiusa nella mia ideale bolla ovattata mentre cerco di isolarmi da tutto ciò che mi circonda. Sono immersa nel trambusto generale, una miriade di suoni che mi fa venire voglia di tapparmi le orecchie, tutti questi rumori sono insopportabili. Le sirene delle auto della polizia si mischiano a quelle dell'ambulanza, le voci sommesse di chi bisbiglia sussurrando nomi si uniscono alle urla e alle grida. I professori contano gli studenti, vogliono verificare che tutti siano presenti. Controllano chi manca e ogni volta che trovano qualcuno tirano un sospiro di sollievo. Tutti cercano qualcuno, un conoscente, un amico, il ragazzo, il professore. Io non cerco nessuno, perchè so esattamente chi manca. Ma so anche dove si trova ed è dritto davanti a me.

Appena sono uscita dalla classe e ho visto quel corpo inerte a terra non sono riuscita a fare altro se non rimane a guardare. La disperazione ha preso il controllo del mio corpo, mi sono accasciata a terra rimanendo con lo sguardo fisso in quel punto. Quel punto dove il sangue aveva macchiato il pavimento bianco e sempre perfettamente pulito e lucidato della West Seattle School. Quel punto dove i paramedici e i primi soccorsi hanno iniziato a radunarsi, componendo un cerchio sempre più ristretto e facendo sì che la mia visuale della scena si restringesse sempre di più, fino a non esserci più. Continuo a fissare quel punto nonostante non io veda praticamente nulla da dove sono. Le giacche rosse dei medici d'urgenza spiccano tra la folla di studenti e poliziotti vestiti in nero. Vedo una barella arrivare, anzi più barelle una dietro l'altra. Alzano il corpo con cautela, cercando di fare meno danni possibile. Sembra morto, completamente senza vita. Una mano si posa sulla mia spalla, mi stanno chiedendo di alzarmi, dicono che dovrei andare. Parlano, parlano ma io sono incapace di reagire. Una mano sulla spalla, di nuovo, ma questa volta mi scuote con più forza. "Emma, Emma forza dobbiamo andare!" Due figure alte e robuste che non riesco a distinguere mi sollevano di peso e mi costringono ad alzarmi, dicono che non posso più rimanere qui. Qualcuno mi sta porgendo il braccio per aiutarmi a reggermi in piedi, prendo la sua mano mentre cerco di mantenermi in equilibrio. Dei poliziotti mi si avvicinano, chiedono se sto bene e se ho bisogno di un medico. Scuoto leggermene la testa, no, io sto bene. "Emma dobbiamo andare in ospedale", la voce di Emily mi risuona nella testa. Non è il suo solito tono allegro. La sua voce è triste, spezzata dal pianto, nonostante stia cercando di farla sembrare ferma. Annuisco, totalmente assente con lo sguardo, che ancora è fisso sul punto da cui il corpo di Cole è appena stato portato via.

Un forte odore di disinfettante mi riempe le narici. Siamo nella sala d'aspetto, non molto distanti dalla zona traumi, ma non possiamo avere l'accesso, non siamo familiari. Emily mi abbraccia e mi stringe a sé, mi sussurra parole di conforto intervallate da "è tutta colpa mia, perdonami". Oh Emily, non hai nulla di cui scusarti. La colpa è solo ed unicamente di una persona. Tutto questo dolore è dovuto solo a lui. Connor. I miei pensieri però rimangono nella mia mente, non riesco a proferire parola. Non piango nemmeno. Mi sembra di aver spento le emozioni per non dare voce al dolore che mi scoppia nel petto. Davanti a me ci sono Jack, Logan e tutti gli altri del gruppo di Cole. Anche loro sono in un silenzio di tomba, non dicono una parola. Ogni tanto si scambiano qualche sguardo e talvolta guardano poi nella direzione mia e di Emily. Dall'altra parte della sala, altri ragazzi che frequentano la nostra scuola formano piccoli gruppetti e parlano a bassa voce. Riconosco due signore di mezza età, il volto sconvolto, devono essere le madri delle altre due ragazze ferite. Una di loro, che credo si chiami Abby, è stata ferita ad un braccio. L'altra, di cui non sono riuscita a senitre il nome, al torace. è molto più grave, i medici non hanno ancora detto nulla però. A quanto ho potuto sentire dai bisbigli dei loro amici e dalle parole di Emily, nessuna di loro conosceva Connor. Erano semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. Escono due medici dalla sale trauma 1. Parlano a voce bassa, ma recepisco alcune parole. Probabilmente Abby dovrà subire un'amputazione al braccio, la portano ora in sala operatoria. La madre si accascia sulla sedia e scoppia a piangere.

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