Capitolo 6

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Kyle

Spesso mi sono chiesto quanto un essere umano sia in grado di sopportare la sofferenza. Io per prima ho sofferto quando avevo avuto l'incidente e avevo perso tutti, quando il medico mi aveva detto che avrei vissuto forse per il resto della mia vita in una sedia a rotelle, o quando mi ero reso conto che la mia indipendenza e autonomia stavano a zero ormai. Avevo sofferto ma una madre che perde il proprio figlio quanto soffre?
Io avrei risposto che potrebbe morire per un dolore del genere. Vedere Jennifer ridotta in quello stato mi aveva squarciato il cuore in maniera molto più dolorosa rispetto a quando mi aveva lasciato.
Un "noo" urlato nel corridoio di quell'ospedale con una voce carica di disperazione e sofferenza si era alzato all'improvviso. Mi ero sentito impotente, per la prima volta non avrei potuto fare assolutamente niente per far in modo che Jen stesse meglio. Si era accasciata nuovamente ma stavolta era buttata in terra, era rossa in viso, le lacrime cadevano sul pavimento e il respiro le mancava sempre più spesso a causa dei singhiozzi. Era uno strazio vederla così, non riuscivo a stare di fronte a lei mentre si contorceva dal dolore.
Con le lacrime agli occhi, ero uscito dal reparto. "Kyle dove vai?" mi ero girato di scatto, ritrovandomi la figura di Kim con Tommy che dormiva beatamente tra le sue braccia. "Non ci riesco Kim, io non posso stare a guardarla mentre muore dentro" lei aveva scosso la testa in segno di diniego. "In questo momento sei l'unico che potrebbe aiutarla a superare lo shock." "no Kim io non posso". Kimberly si stava arrabbiando lo capivo dalla sua espressione. "Ma insomma, mi ha rotto le scatole con questa storia di Jennifer, dici di esserne innamorato e che ti manca da morire e quando hai la possibilità di aiutarla che fai, scappi? Sei un codardo! E adesso ti saluto!!"  Mi aveva lasciato li, in mezzo al corridoio come un deficiente. Con la coda tra le gambe ero tornato nel mio reparto e mi ero steso sopra il mio letto.  Avrei voluto riposare, fare finta che non fosse successo nulla. D'altronde un marito Jennifer lo aveva e pure la bambina non era mia figlia; però allora perché mi sentivo come se fosse mia? Perché soffrivo dentro proprio come Jennifer? E sopratutto perché ero scappato come un codardo di fronte a una situazione simile? Semplice, perché io scappavo sempre. Avevo e continuavo ad avere sempre paura del futuro e di ciò che mi riservava. Vivevo alla giornata, mi ero abituato per anni a vivere così e ormai a quarant'anni suonati, non riuscivo più a guardare al futuro con un risvolto positivo.
Mi giravo continuamente nel letto senza riuscire a chiudere occhio, dentro la mia testa, il no urlato da Jennifer rimbombava a tratti più forte e a tratti più debole ma bastava questo per non farmi chiudere occhio. Erano le cinque del mattino quando mi ero deciso finalmente a salire nuovamente a vedere Jennifer e le sue condizioni ma quello che avevo visto aveva squarciato ulteriormente il mio cuore..

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