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Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome.

Tutte le voci innalzano all'unisono una preghiera verso l'Altissimo. Tutti i loro cuori credono a ogni parola che stanno recitando, dietro cui è nascosta una tacita richiesta o un ringraziamento.

Il flusso delle voci si interrompe, adesso ne regna solo una che parla per tutti. La gente con la mano sul cuore, con lo sguardo concentrato, coi bei vestiti. Tutti uniti da un solo credo in cui ripongono loro stessi e la loro vita nella più completa fiducia e abbandono a ciò che dice il loro Dio, nessuna titubanza e nessun dubbio.

Conoscono la verità, adesso sanno e hanno la possibilità di godersi la vita nell'aldilà, è una cosa bellissima.

Io non so neanche cosa ho detto, cinque minuti fa.

Segno della croce al Santissimo e la flotta di gente esce fuori a fiumi, accalcata all'entrata del grande portone e con il cervello già a casa a gustarsi il lauto pranzo che li aspetta.
Mio padre mi segue da dietro e mi poggia una mano sulla spalla sorridendomi. Mi mormora un "brava" e io ricambio il sorriso anche se di forza.

Non ci trovo un senso. A tutto questo, al culto per qualcosa che non conosco e che devo venerare lo stesso perchè è giusto. Non so come fanno ad avere la certezza della verità.  Credo in Dio. Devo solo farne esperienza.

Invece sono in mezzo a tutte quelle persone che credono veramente e sanno, e mi rendo come il resto degli ipocriti.

Però mio padre mi dice brava. Mia madre mi sorride insistentemente, a un certo punto sono costretta a evitare il suo sguardo. Non sarebbe questa la situazione se stamattina fossi rimasta a casa a dormire o, come lo chiamo io, esercitare il mio libero arbitrio.

È una tiepida mattina di inizio settembre. Il sole ci delizia accarezzandoci la pelle. Scendendo i gradini la gonna a pieghe va su e giù e un leggero venticello mi sfiora le gambe e il viso; chiudo gli occhi per gustarmi la sensazione.

Guardo le immagini scorrere al finestrino e penso che sono silenziosa. È frustrante non poter decidere per sè e pensare nel modo che ti viene imposto, mi fa sentire schiacciata. Come se non potessi respirare. Una volta aperti gli occhi non puoi più richiuderli e neanche illuderti di non aver visto niente.

Mio padre svolta a sinistra per il Viale dei Fiori, dove si trova casa nostra. Abitiamo lì da sempre, così come i genitori di mio padre. È un complesso con due palazzi ognuno con dieci appartamenti e ci conosciamo tutti da una vita. Tutti o quasi mi hanno vista nascere lì e nessuno ha mai pensato di andare via. Queste case sono grandi e belle, ma i palazzi anche se in parte ristrutturati hanno più di quarant'anni e non si venderebbero.

Quando arrivo a casa mi accoglie il miagolio della mia gatta che fa le fusa e si struscia sulle mie gambe. Per essere un gatto è molto affettuosa, forse perchè non ha avuto la madre e non sa cosa sia l'affetto di un suo simile. Ma lei conosce solo il mio e non sa desiderarne altro.

La prendo in braccio e accarezzo il suo manto nero e lucido, morbido contro la mia pelle. Vado in camera mia e aspetto mi chiamino per il pranzo, dove dovrò recitare la preghiera solenne prima di toccare il cibo.

Chiudo la porta e faccio scivolare la gonna dalle mie gambe e cadere per terra sotto lo sguardo di Macchia. È un nome patetico ma è così che si chiamano i gatti quando si hanno dieci anni.

Mi butto a peso morto sul letto. È arrivato il momento di analizzare i miei sentimenti. In questo momento mi sento vuota, mi manca qualcosa. Ho fame di provare emozioni.
Voglio parlare liberamente di tutto senza sentirmi giudicata o avere puntato il dito contro, e voglio correre fino allo sfinimento senza sapere dove vado. Non voglio tabù.

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