Urlo e agito le braccia, un uccello ha appeso gli artigli ai miei capelli e gracchiando mi strattona violento, gemo di dolore mentre strillo come una forsennata e cerco di non cadere giù. Le persone corrono verso di me, cercano di scacciare il gabbiano impazzito che molla la presa e io crollo giù. Piango, mi sono spaventata. Quella creatura non aveva motivo per attaccarmi ma si è accanita su di me senza pietà, allo scopo di scaraventarmi in mare e farmi sua preda.
Sono seduta per terra e cerco di calmare le lacrime, ma non riesco ad alzarmi perchè tremo. Il cuore mi batte in petto come un tamburo, Nicole e Giulia mi abbracciano, Enea chiede cosa è successo. Rispondo che non lo so, che, mi pare ovvio, non ho fatto niente.
Scuoto la testa e faccio respiri profondi. Tutti attorno a me sono agitati e non riesco a scacciare la paura.
Francesco si avvicina impassibile e si abbassa, mi prende dalle braccia, mi fa alzare in piedi. Lo abbraccio impulsivamente. Non mi respinge, strofina la mano sulla mia schiena in segno di conforto.
Quando mi stacco da lui sono più tranquilla, tiro su con il naso e mi liscio i capelli.
Nicole mi abbraccia di nuovo, si è spaventata anche lei, e Melania mi guarda scioccata, mi accarezza la testa.
«Ti portiamo a casa» dice Nicole.
«No, non ce n'è bisogno.» controbatto ma ho il cuore stremato.
«Non fare storie.»
«Non potete venire Nico, e poi il posto nel motore non c'è.»
«Va be', Fra ti porta quasi a casa e l'ultimo tratto di strada lo fai a piedi.»
«Ma la bici?»
Nicole non mi fa guidare la bici, e la ringrazio perché mi tremano le gambe. Salgo sul motore con Francesco e lei porta la mia bici, camminiamo lenti fianco a fianco. A casa mia dovrò cavarmela sola, dovrò fare finta di niente e parlare di quanto simpatici ma petulanti sono gli anziani. Intanto mi appoggio alla schiena di Francesco, per oggi non mi evita, gli è rimasto un briciolo di sensibilità.
Facciamo la salita del ritorno e mentre le ruote calpestano le foglie arancioni e secche del viale alberato non mi spiego quello che mi è successo. Mi sono spaventata e l'evento è stato casuale, non c'era motivo. Gli animali sono imprevedibili ed è il giorno storto di quello stronzo gabbiano.
Il casco pesante nella mia testa mi ricorda di quando andavo a scuola in motorino con Melania tutte le mattine, così anche l'aria fresca e la mia felpa blu. I colori delle foglie sono delle mille sfumature dell'arancione e del verde sbiadito, volano lente e cadono dagli alberi. Un tramonto spento annuncia la sera e si intravedono delle stelle a est. Sento solo il rumore dello scoppiettio del motore. In quindici minuti siamo a metà del Viale dei Fiori, e io scendo dal motorino. Saluto i fratelli assicurando che è tutto a posto e che, sta volta, in un modo o nell'altro mi farò sentire. Una cabina telefonica o un telefono prestato si trovano sempre.
Cammino accanto la bicicletta trasportandola con me. Devo distendere in nervi ed essere disinvolta, una camminata mi farà bene. Calpesto le foglie secche e guardo il cielo mentre cammino. Fisso le stelle una ad una, quelle che si vedono nonostante le luci dei lampioni. Sono le sette ed è tardi, dirò che un anziano oggi richiedeva più tempo. Sono costretta a dire le bugie anche se a me mentire non piace.
Mi blocco voltandomi dietro di me. Una strana sensazione mi pervade di nuovo, mi sento osservata. Ho i nervi a fior di pelle mentre scruto la strada quasi deserta. Fisso gli alberi, aspettandomi di trovare qualcuno dietro, ma non c'è niente. Ci sono solo le foglie smosse dal vento. Ricomincio a camminare velocizzando il passo e cercando di togliermi di dosso il peso di uno sguardo che non esiste. Sono ancora spaventata, è per questo che ho le paranoie. Arrivata al cancello di casa mi sento stranamente sollevata. Salendo saluto mia madre e spiego il motivo del mio ritardo, lei mi dice che papà tornerà tra poco e mio fratello è fuori come al solito. Certo, è venerdì sera e si esce.
Mia madre mi chiede se non ho pettinato i capelli prima di uscire, le rispondo che ero in bicicletta e c'era vento, si sono spettinati tutti.
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Essence
FantasyLui fissa i miei occhi serio come la morte. «Alexandra» dice, le pupille basse su di me «Animus possidendi et corpus possessionis». Lo guardo confusa. «Di nuovo, non mi hai risposto» Lui si allontana. «L'ho fatto.» «Io non voglio vederti più. Neanc...