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In macchina il primo a prendere la parola è mio padre. Forse perché vede che qualcosa in me non va, o forse non vede niente, lo fa perché vuole sapere.

«Cosa ti ha detto Padre Guido riguardo i sogni?»

Sospiro. Riesco a pensare solo al gatto. «Mi ha detto che devo pregare e che devo trovare la verità, di stare attenta. Che il diavolo mi tenta ma sono abbastanza forte.»

Lui annuisce. Certamente lo sa già. «Lunedì avrai il primo incontro di catechismo.»

Mi prendo di coraggio, avanzo una domanda. «Mi cambierai di classe?»

Qualche secondo di silenzio. «Sì.»

«E anche di scuola?»

«No. Ma se avrai rapporto di amicizia con quella gente io lo verrò a sapere, Alexandra. Sarà come se ci fossi. Proverai a fare amicizie all'interno della chiesa e in nessun altro posto, perché fuori da quel luogo sacro ci sono solo persone che assomigliano agli animali. Che se fregano di Dio e buttano via la loro vita. Che vivono solo per sé e per i propri piaceri. La mondanità appartiene al diavolo. Tu no.»

Non rispondo. Penso che mi tratta come una monaca di clausura, ma ovviamente non posso dirglielo.

«Hai capito?»

Vuole che dica di sì, che so cosa devo e soprattutto non devo fare. «Sì, ho capito.»

La nostra conversazione finisce lì. Lui mette in moto la macchina, guardo il finestrino con la testa appoggiata al vetro. Voltiamo l'angolo, ci passa veloce un motorino accanto. Era bianco, e chi lo guidava portava un casco color giallo limone che solo una persona può avere.

Penso velocemente. «Papà, fermati! Ho dimenticato una cosa in chiesa»

Mi guarda perplesso, ma si ferma sul serio. Non avevo niente con me.

«Mi è scivolato un anello. Possiamo andare a vedere se è lì?»

È pensieroso, non sa se credermi ma non ha motivo per non farlo. Fa retro marcia e ritorniamo in chiesa. Mi mantengo tranquilla, anche se in realtà fremo. Cammino a passo veloce, entro nel giardino. Mi guardo attorno, vedo una maglietta bianca da dietro un albero.

È Francesco. Quasi scoppio di gioia.

«Francesco!» lo chiamo sussurrando, lui si volta.
Porta una t-shirt bianca che è quasi trasparente e i jeans sdruciti che ha da quando aveva sedici anni. Mi saluta con un mezzo sorriso.
Io sorrido a trentadue denti, invece. Vedere una persona così familiare che non è mio padre o mia madre è davvero piacevole.

Mi scordo delle domande che vorrei fargli, sto lì a fissarlo come una stupida.

«Come stai? Dopo quello che è successo al molo, intendo.»

«Bene, diciamo»

Mi scruta, i suoi occhi azzurri sono incerti. «Forse non è per quello che stai così?»

«Sono tante cose. Mio padre mi cambierà di classe, la cosa non dovrebbe stupirmi.»

Lui alza le spalle. Lo conosce. Francesco anticipa la mia domanda. «Nicole è a lezioni di latino, tra poco ha gli esami di riparazione.»

Una foglia gli cade sulla spalla, lui la scuote e fa cadere la foglia per terra. È appoggiato al motorino, questo lo fa sembrare meno alto di quello che è e io mi sento meno bassa di quella che sono. Ha i capelli scuri come i miei, quasi neri. Neanche a dirlo, sono spettinati e guardandolo bene ha la faccia di uno che si è svegliato da poco. Penso che si gode gli ultimi giorni prima di andare all'università.

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