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Apro la porticina e saluto educatamente, mi dirigo alla panca e mi inginocchio. Non prego, sfido quello sguardo dentro di me. Sento che non è il mio, ma è vivo e diverso. Questa sensazione è impossibile da metabolizzare, da identificare. So che mi spaventa ma mi fa sentire meno sola, che a momenti è più forte. Mio padre mi chiama e io mi alzo dall'inginocchiatoio. Mi avvicino a lui e Padre Guido, entrambi molto più alti di me.

«Padre, Alexandra è in un periodo difficile e mostrarle la retta via a tratti diventa arduo. Spero che con il suo aiuto possa capire finalmente quale strada deve intraprendere solo con la sua volontà»

«Ti aiuterò Antonio, certo, ma la ragazza non è più bambina e sono sicuro che riuscirà a capire da sola. Alexandra, tra poco comincerà il catechismo per i bambini che devono fare la comunione. Ti andrebbe di affiancare la catechista nella sua classe insieme ai bambini? Mi farebbe molto piacere»

La mia libertà di scelta al momento è pari a zero. «Certo, ci sarò»

Il prete mi sorride e mi porge la mano, la stringo. «Benissimo, ti farò sapere a breve l'organizzazione degli incontri.»

Annuisco sorridendo lievemente, mio padre mi guarda serio. Poi continua a parlare con il sacerdote e io smetto di ascoltare, sto fremendo. Mi guardo intorno, cerco di apparire tranquilla ma sono inquieta. È impossibile che io mi senta osservata. Siamo solo noi tre in tutta la chiesa. Non c'è nessun altro. La sensazione cresce, so di avere degli occhi addosso e mi sento soffocare, respiro profondamente e il cuore accelera veloce il suo battito. Mi congedo al sacerdote, esco velocemente fuori. Se rimango qua dentro rischio di morire per asfissia. Sento un peso sulle spalle, qualcuno che mi guarda. Quasi corro precipitandomi verso l'uscita come fosse la mia salvezza. Supero la soglia, respiro profondamente riempiendo i polmoni di aria fresca allargando le braccia. Il battito si calma piano, mi tranquillizzo. Una signora entra in chiesa e mi guarda stranita, lascia perdere in fretta.

Io non soffro di claustrofobia, mi dico. La chiesa è grande, anche quando, ma io non soffro e non ho mai sofferto di claustrofobia.

Penso che ho la mania di persecuzione, perchè non si spiega. È una cosa grave per sognarmi gli occhi pure la notte. Ma nessuno mi guarda, e se la cosa non smette non ho idea di cosa fare. Non mi erano mai successi episodi del genere.

Lo spiazzale della chiesa è completamente vuoto. Una fontanella di fronte a me piena di pesciolini rossi mi tranquillizza con il suono dello scroscio dell'acqua. Ci sono pochi alberi ma tanto prato e foglie colorate che possono illudere di essere lontani dalla città, se non senti i clacson e i motori che camminano a pochi passi da qui.

Cammino lenta attraverso il vialetto, annuso i limoni che crescono dall'albero accanto a me. Calpesto le foglie secche e passo sotto un arco di gelsomini. È un trionfo di profumi meravigliosi e il verde che mi circonda è la pace dei miei sensi. È il mio colore preferito. Mi siedo su un muretto e stringo le ginocchia al petto. Chiudo gli occhi, mi godo il momento di pace.

Sento un movimento, delle foglie che si muovono. Alzo la testa e mi osservo attorno. Mi alzo, perlustro lo spazio intorno a me. Di nuovo movimento tra le foglie. Memorizzo la direzione del suono, mi dirigo a grandi passi verso un grosso cespuglio mentre il cuore batte impazzito e mi rimbomba nelle orecchie. Guardo il cespuglio fitto. Si muove ancora. Ne salta fuori una piccola figura e io lancio un gridolino saltando indietro. È un gatto color miele e per metà bianco. Comincio a ridere. Sto leggermente impazzendo. Mi faccio suggestionare da tutto e ho i nervi troppo tesi. Ho quasi avuto un infarto per un gatto dentro al cespuglio.

Mi abbasso alla sua altezza e gli allungo la mano. Lui si struscia sul mio braccio, si prende tutte le carezze che può e poi mi guarda con i suoi occhioni gialli.

Penso a Macchia, la mia unica amica adesso. A come l'ho cacciata la notte presa dalla paura. Mi sento in colpa. Odio quando la gente riversa le sue emozioni negative su quelli che stanno attorno a loro, ed è quello che ho fatto con lei.

Il gatto smette di darmi attenzione, sembra attratto da altro. Smetto di accarezzarlo, lui è teso. Poi scappa.

Mio padre sta uscendo dalla chiesa parlando con Giorgio, sento le loro voci in lontananza. Penso ancora al gatto. Ho una contorta curiosità di sapere cosa lo ha attratto così.

Mi faccio vedere da mio padre e poi giro nella direzione che ha preso lui. Sento un miagolio continuo, ma è lontano. Sono circondata da alberi, non so dove cercare. Chiudo gli occhi e mi concentro sul suono del miagolio. Lo seguo lentamente, poi guardo dietro un abete. Un gatto grigio miagola insistente, si lamenta. Ai suoi piedi il gatto che ho accarezzato io, dal pelo miele e bianco. Mi avvicino sgomenta.

Il gatto è morto. I suoi occhioni gialli fissano il vuoto completamente privi di vita. Il suo corpo giace risucchiato dalla morte. Ho gli occhi lucidi, penso che un attimo fa era vispo ai miei piedi mentre riceveva le carezze.

Me ne vado svelta, non sopporto più la sua vista. Raggiungo mio padre, riesco a fare finta di niente. Sono sconvolta. Il suo corpo era accasciato ai piedi dell'albero, pulito, senza un goccio di sangue, con il suo simile che ne lamentava la morte. È scappato da me e poi è morto. Forse sapeva di star per morire ed è andato via. Magari è morto per avvelenamento.

Il cuore mi batte forte. So che in realtà, non posso sapere cosa è successo.

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