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Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra.

Aiuto mia madre a sparecchiare dopo cena, le passo uno ad uno i piatti e li posa nel lavandino dove li laverà. Mio padre si alza dal divano e mette la giacca, scende per buttare la spazzatura.

Non sono qui con la testa. Faccio movimenti meccanici e ho lo sguardo assente. Mi sento strana ultimamente. Ho una morsa al petto e non capisco se è un vuoto che vuole risucchiarmi. Mi sento incredibilmente sola.
Mio padre mi ha proibito tutto, e questo ha creato un muro insormontabile tra me e lui. Non è mio padre, è solo il mio tutore, il mio educatore alla perfetta vita da cristiano. Vede il disappunto nei miei occhi, che ancora c'è anche se silenzioso. In passato abbiamo avuto pesanti litigi in cui io non volevo andare in chiesa e per lui era come bestemmiare. Più mi ribellavo più cose mi toglieva. Finché non sono più potuta uscire di casa. Mi ha distrutta pensando di fare il mio bene e adesso sono così, perennemente triste. Mi sento sconfitta, ed è così. Quando ho toccato il fondo ho capito che al peggio non c'è fine, e ho smesso di ribellarmi. Ho dato inizio alla mia conversione cominciando ad obbedire ciecamente sperando di riottenere un briciolo di libertà.

Le cose sono rimaste identiche. Sono punita a vita.

Squilla un cellulare nell'altra stanza. Mia madre è impegnata a lavare i piatti, così vado a prenderlo io. È il suo cellulare. Guardo lo schermo e mi stranizzo di non trovare il numero di qualche zia o amica di mia madre, non ho idea di chi sia. Non rispondo, lo porto a lei. Io il cellulare non ce l'ho. Mi è stato tolto un mese fa e non l'ho più riavuto.

Linda risponde incerta senza sapere chi è. Dice "pronto" come fosse una domanda. Poi la sua espressione cambia, aggrotta la fronte. Mi guarda. Annuisce due volte, poi mi porge il telefono. Io la guardo scioccata; mio padre ha proibito che parlassi al telefono con qualcuno che non fossero i miei genitori, e non so come visto che il cellulare manco ce l'ho, oppure i parenti.

Mia madre mi guarda dubbiosa, crucciata. Dico pronto che quasi mi trema la voce.

«Alex, sono Francesco»

«Francesco!» sbotto, manco mi fosse apparsa la Madonna. Mi chiedo come sia possibile che mia madre mi stia facendo parlare con lui. Se mio padre lo sa siamo morte tutte e due.

«Come stai?»

Resto in silenzio. Non posso parlare davanti mia madre altrimenti si insospettisce e le devo raccontare tutto.

«Bene, tu? È tanto che non ci sentiamo» dico calma, quasi solare. Mia madre mi fissa. In realtà sono sconvolta. Uno, dal fatto di star parlando al telefono, e due, con Francesco.

«Nicole ti deve parlare ed è importante, era vitale che ti chiamassi. Pensi che potremmo vederci?»

«Oh, mi dispiace che stai male. Nicole invece, tutto ok?»

In effetti sento la sua voce di sottofondo. Urla a Francesco di darle il telefono, e che a chiamarmi è stato un pazzo.

«È un no? Facciamo che mercoledì ci vediamo alla vecchia salagiochi. Scusa se ti ho chiamata, ma dovevi saperlo. Dovete vedervi al più presto.»

«Sono contenta sia tutto a posto. È stato bello sentirti»

«Ale scusami...avevo detto a Francesco di non chiamarti che era rischioso, ma effettivamente devo parlarti urgentemente» dice Nicole, che ha scippato il telefono dalle mani del fratello.

«Grazie Fra, ti» non riesco a finire. La porta di casa si apre e mio padre mi vede con il telefono in mano. Io e mia madre sbianchiamo. Si avvicina a me a grandi passi e mi toglie il cellulare dalle mani, guardando il numero di telefono.

«Non potete chiamare mia figlia, ero stato chiaro» tuona. Immagino Nicole che se la fa sotto e passa il telefono al fratello. Io sono mortificata e impaurita, non so cosa mi aspetta. Non so in che altro potrebbe punirmi se l'ha fatto già in tutti i modi e mi ha tolto tutto.

«Non mi interessa, Alexandra è morta per voi, hai capito? Se le parlerete ancora ci saranno grosse conseguenze.» non aspetta la risposta, mio padre chiude la chiamata. Inspira profondamente. Io e mia madre siamo ammutolite. Linda non verrà toccata con un dito, riceverà solo una bella ramanzina. Io no.

«Vai nella tua stanza, Alexandra. Va' e restaci fino a domani.» si sta trattenendo dal darmi una sberla.

Mi si riempiono gli occhi di lacrime. «Ma io...»

«Va' ho detto!» tuona mio padre, quasi tremano le pareti. Le mie mani tremano sicuro.

Corro nella mia stanza e chiudo la porta piano alle mie spalle. Appoggio la schiena alla porta e scivolo per terra, mi copro il viso con le mani. Scoppio a piangere e singhiozzo. Tremo dalla testa ai piedi. Per nervosismo, per paura, per disperazione.

I miei stanno discutendo, mio padre alza i toni. Gli sento dire che Linda non si doveva permettere di farmi parlare con Francesco, che la mia non è solo una punizione ma una giusta decisione se vogliono la mia anima salva. Era stato chiaro che con quelle persone non dovevo più averci niente a che fare. Mia madre gli riferisce la mia conversazione, la sua voce è fievole. Antonio è convinto che stavo fingendo. Che in realtà ci siamo detti dove incontrarci. Gli viene il dubbio che fino ad adesso io li abbia sempre visti e sento i suoi passi pesanti avvicinarsi alla mia stanza.

«Antonio!» urla mia madre «Lento all'ira! Lascia stare tua figlia, non la toccare!»

Mio padre arriva dietro la soglia della mia porta. Si blocca. Io singhiozzo senza ritegno. Lui batte la mano sulla porta così forte che mi sposto di pochi centimetri. Inspira e ritorna indietro.

Quello che ha pensato è vero. Sapevo che mi avrebbe scoperta. Adesso non ho scampo.

Scivolo ancora, sono rannicchiata per terra in posizione fetale e le lacrime scendono a dirotto. La mia vita è rovinata dalle persone che dovrebbero volermi bene più di tutte, e io non riesco a farlo mia volta.

Non ascolto più la discussione dei miei, sento solo il suono del mio pianto, qualcuno che gratta dietro la porta. Il gatto entra lento e si siede lontano da me. Mi guarda piangere impassibile. Con una freddezza nello sguardo che non riconosco, che mi ricorda quanto sono sola.
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Mi addormento stremata. Smetto piano di tremare e il mio respiro si fa regolare. Cado nel sonno, disturbato solo dai brividi di freddo.

All'inizio dormo serena e nell'inconscio dimentico tutto, ma a un certo punto sento che cambia qualcosa. È come se avessi aperto gli occhi, ma vedo solo buio pesto. Sto sognando. Ci sono io, immersa nell'oscurità. Voglio svegliarmi ma voglio anche che continui il sogno, perchè ho quella strana sensazione di non essere sola. E come se sentissi un altro respiro oltre il mio. Come se addosso avessi uno sguardo che mi fissa ossessionato. La sensazione cresce, diventa insopportabile. Ho le gambe nel sogno.

Comincio a correre, non so dove vado. Corro all'impazzata e mi sento inseguita, ho paura. I miei passi non hanno suono, ho la sensazione di stare ferma e di raggiungere solo il buio. La mia forsennata corsa viene interrotta quando scivolo su qualcosa. Non provo dolore cadendo. Afferro l'oggetto che mi ha fatto scivolare e nonostante sia tutto nero attorno a me, come un immenso vuoto, riesco a vedere chiaramente cos'è. È un accendino. Ho una sigaretta in mano. Adesso sono stranamente tranquilla, nessuno mi sta inseguendo. Mi sento stordita ed è come se questo vuoto mi inghiottisse, come se mi facesse da campana. Paradossalmente, ora mi sento protetta. Porto la sigaretta alle labbra, accendo l'accendino. La fiamma illumina la sigaretta tra le mie labbra e un paio di occhi di fronte ai miei, rossi come il sangue e che ardono come il fuoco.

Apro gli occhi e scatto a sedere con il fiatone. Mi guardo attorno e porto una mano al petto. Sono nella mia stanza, seduta per terra.
Vicino a me c'è Macchia, che mi fissa. La guardo anche io negli occhi grigi che hanno il riflesso della luce, e mi ricordano quelli rossi che ho appena sognato. Piango di nuovo, caccio la gatta dalla stanza.

Mi alzo da terra e mi butto sul letto affondando la testa nel cuscino. Sto diventando pazza oppure il demonio mi perseguita.

Non ce la faccio a stare sola. So che è tutto il mio sfogo, ma perchè fare sogni così brutti per liberare l'inconscio? Mi fanno stare ancora più male. Il pianto si calma piano mentre abbraccio il cuscino e guardo la finestra, la tendina celeste che si muove piano. La sveglia dice che sono le cinque e mezza del mattino. Tra poco sorgerà il sole, è quello che aspetto.

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