Prologo

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12 febbraio, 1959 alternativo

La nebbia continuava ad intensificarsi.
Paul la percepiva come fredda e priva d'attrattiva, come le guance pallide di sua madre, in quel momento probabilmente sperduta in un bar ad ubriacarsi di parole come libertà, fraternità ed umiltà.
La casa del ragazzo era tutt'ora deserta. Paul era certo di udire perfino quel silenzio atroce proveniente dall'interno dell'abitazione.
Avrebbe potuto fumare all'interno, ma quelle stesse mura che lo avevano accolto come un figlio adesso lo opprimevano.
Non ne conosceva il motivo.
Paul tirò una'altra boccata di fumo per poi gettare la sigaretta ed osservarne il contatto immediato con la gelida neve bianca.
L'acqua spegneva il fuoco.
Così gli aveva insegnato sua madre.
Se davvero fosse stato così, per quale motivo non era mai riuscito a farle passare le sue crisi? Come mai non era riuscito a spegnere il fuoco dentro di lei?
Forse perché non era del tutto sicuro di poter eguagliare la semplicità e la purezza dell'acqua.
Forse non era poi così puro.
Per anni aveva portato con sé tale senso di colpa, anche se oramai poteva dire di aver imparato a non pensarci troppo.
Il ragazzo si passò una mano tra i folti capelli, si strinse nel giubbotto di lana e si avviò rapidamente verso il vialetto della sua casa.
Asciugò le scarpe sullo zerbino e varcò la soglia. Non fece in tempo a togliersi la sciarpa, che il telefono iniziò a suonare.
Tre squilli secchi e concisi. Chi poteva chiamarlo a quell'ora di notte?
Immaginò che potesse essere successo qualcosa a sua madre, e il pensiero della donna ferita o in preda ad una crisi di panico lo attraversò, facendolo rabbrividire dal terrore.
Alzò subito la cornetta, per poi sentire una voce familiare che ripeteva il suo nome.
«Paul, porca di una puttana, è un'ora che provo a chiamarti. Che accidenti di fine avevi fatto?»
Era proprio lui, il caro buon Eddie. Ignorante fino allo sfinimento, un pezzo di volgarità.
Il migliore amico che avesse mai avuto.
«Ed, sono quasi le undici e mezza. Dovresti essere a dormire, domani c'è il compito in classe di matematica.»
«Sta' zitto, porca merda. Cosa vuoi che me ne importi? Devi ascoltarmi.»
«Stavo per andare a dormire, sono esausto.»
«Perché? Sei talmente stanco da non potermi concedere qualche minuto? È successo qualcosa di particolare? Tuo padre ha forse fatto ritorno al nucleo familiare?»
«Niente di tutto ciò.»
«Cosa c'è che non va, allora? Tua madre ha dato di nuovo di matto?»
La finezza di quel ragazzo era a dir poco impressionante, pensò Paul tra sé e sé.
«È in centro, a qualche manifestazione femminista.» ribatté il ragazzo, seccato. Le domande invadenti lo infastidivano, anche se oramai era abituato ai modi di fare dell'amico. Certe volte si ritrovava a pensare che Eddie fosse una specie di alieno incappato per sbaglio nella sua vita.
«Bene, allora puoi starmi a sentire. Ho sognato una tizia.»
«Tutto qui? Una tizia che ti guardava dal bordo del letto facendo allusioni alle tue dimensioni sessuali?»
«Paul, non sparare cazzate. Dio, come sono agitato. Non è una che mi sono fatto, te lo assicuro. Non l'avevo mai vista prima, era una bambina.»
«E cosa faceva?»
«Mi chiedeva aiuto. Non so bene per cosa, non lo ricordo, ma era inquietante. Mi ha chiamato per nome e cognome, mi conosceva.»
Paul rimase in silenzio per qualche istante, lasciandosi travolgere dall'atmosfera buia e quieta della sua abitazione.
«Cazzo, amico, parla! Sto per vomitare.»
«Cosa vuoi che ti dica? L'hai sognata tu, è frutto del tuo subconscio, chiaramente conosceva il tuo nome. Ed, hai avuto la febbre alta e probabilmente hai avuto un incubo, può capitare.»
«Ti dirò la verità, non sono neanche sicuro di aver sognato. Era così reale.»
Il ragazzo riusciva a sentire il respiro affannoso del suo compagno dall'altra parte della cornetta.
«Era terrorizzata.» continuò poi «Piangeva, si dimenava, come fosse stata posseduta. È stato orribile, credimi. Poi ha iniziato a decomporsi ed è scomparsa. Io l'ho vista, Paul, l'ho vista. Si è attaccata alla mia gamba implorandomi aiuto. Stava fisicamente soffrendo.»
Paul continuò ad ascoltare le parole dell'amico terrorizzato, che raccontava di questa giovane dai folti capelli biondi e dagli occhi spalancati per lo spavento.
Dopo aver pianto, dopo essersi disperato al ricordo di quel sogno così vivido, chiuse la conversazione senza neanche salutarlo.
Paul rimase immobile per qualche secondo senza sapere bene cosa pensare. Dopodiché, rimise a posto la cornetta e si preparò per andare a dormire.
Esitò un istante, lanciando un'aria preoccupata alla porta di casa. Venne percosso da un brivido di freddo e si affrettò a serrare la porta e tutte le finestre senza riuscire a capirne il perché.


Lolita non l'ha mai fattoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora