7

146 8 0
                                    


7 gennaio, 1959 autentico

In seguito a quegli avvenimenti, Liesel aveva camminato a lungo nel bosco alla ricerca di un luogo dove potersi rifugiare. Non essendo abituata a vivere in un'epoca che non le apparteneva, era ben conscia di star andando incontro ad una serie di difficoltà, comprendendo dunque di dover accettare tale situazione nella speranza di poter trovare presto un modo per far rientro nel duemilasedici.
Vagando in mezzo all'erba, circondata da alberi alti e spessi, trovò una vecchia baracca malridotta, con assi pericolanti e chiodi sporgenti. Entrò di soppiatto, temendo di poter trovare qualche vagabondo che la aggredisse.
Fortunatamente, era desolata. Le finestre non avevano vetro e la porta era scassinata, ma almeno non vi era traccia di vita umana.
Al centro della stanza vi erano un tappeto impolverato, una cucina probabilmente non funzionante e un piccolo bagno intasato. La ragazza si era dunque convinta di non poter trovare nulla di meglio e, di conseguenza, si arrangiò all'idea di dover passare le successive settimane in quel luogo.
I sistemi di sicurezza in città erano praticamente inesistenti, come scoprì il giorno seguente.
Non c'erano allarmi che suonavano se qualcuno usciva da un negozio portando con sé qualcosa di non pagato. Era sufficiente agire con cautela, nascondere le cose sotto i vestiti e sperare che il cassiere non ti vedesse.
Essendo Liesel una ragazza ben sveglia, non ci mise molto a capire di poter divenire, con esperienza, una buona ladra.
Di giorno si occupava del cibo. Rubava dolci, biscotti e per lo più cose preconfezionate che non necessitavano di cottura.
Ogni notte invece si infiltrava nelle botteghe di vestiti per racimolare qualcosa di adatto all'epoca.
Vagò a lungo alla ricerca di un negozio fornito di un'apertura secondaria, una porta scassinata o un vetro rotto.
Finalmente lo trovò.
In quattro notti riuscì a recuperare un vestito verde con il collo alto, una gonna rosa, una camicia scura, una sottoveste, delle calze trasparenti e due o tre paia di scarpe. Più che sufficienti per sopravvivere qualche settimana.
Si lavava nell'acqua del fiume che scorreva non lontano dalla sua sistemazione, aiutandosi con il sapone recuperato in un negozio. Era riuscita a comprarlo con i pochi centesimi che aveva trovato abbandonati nell'erba. Una volta al giorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, si svestiva e, nonostante il freddo, faceva il bagno il più rapidamente possibile.
Tutto questo la rendeva più che vulnerabile, ma anche indipendente. Aveva sempre provveduto a sé stessa da sola, visto che la madre non si era mai occupata di lei come doveva; ma vivere senza nulla significava, chiaramente, qualcos'altro.
Sentiva di poter far leva sulle sue sole forze, perché se era arrivata fin lì senza impazzire o morire di fame era solo ed unicamente merito suo.
Non aveva bisogno di nessun'altro.
Passava le giornate passeggiando per il paese, scoprendo ogni giorno un angolo sconosciuto. Giornalai, profumerie, luoghi che nel duemilasedici non esistevano. Vuoi perché avevano fallito, o semplicemente perché il trambusto dell'epoca moderna non le aveva mai permesso di visitarli.
Adorava sedersi al parco ed osservare le persone camminare, parlare ed interagire fra loro usando un lessico tanto strano quanto antiquariato. Liesel avrebbe potuto trascorrere ore intere ad ascoltare gente tanto diversa da quella che era abituata a vedere ogni giorno.
La mattina si alzava, si lavava e vestiva, faceva colazione e poi usciva. Passeggiava, chiacchierava con chiunque le passasse davanti, andava in biblioteca a leggere libri. Per fortuna erano accessibili a tutti e non aveva bisogno di rubarli.
La sera mangiava qualcosa, attendeva che l'intera città si addormentasse per poi intrufolarsi nei negozi a rubare il necessario per tre o quattro giorni. Una volta tornata nella baracca, si accomodava sul vecchio tappeto e riposava diverse ore.
Certamente non si sentiva rilassata, né tantomeno in pace con sé stessa. L'idea di non sapere come tornare a casa rappresentava un peso difficile da sopportare.
Si trovava in un mondo differente dal proprio.
Era eccitante, spaventoso.
La mattina del sette gennaio Liesel entrò in un supermercato che accoglieva poche persone, nella speranza di procurarsi qualcosa per cena. Negli ultimi giorni era riuscita a consumare tutte le scorte di cibo, restando dunque a bocca asciutta e senza nient'altro da mettere sotto i denti.
Con estrema facilità, adocchiò una confezione di pane bianco riposta accanto ad un pacco di biscotti al cioccolato.
Non fece in tempo ad allungare una mano per prenderli, che una voce familiare iniziò a chiamarla per nome.
Liesel si girò di scatto, per poi ritrovarsi di fronte al ragazzo incontrato al bar il giorno del suo arrivo in città. Quella mattina indossava un maglione scuro e dei pantaloni molto chiari che risaltavano particolarmente il colore dei suoi occhi. Aveva inoltre i capelli in disordine, che tentava invano di sistemare mano a mano che si avvicinava alla ragazza.
Le rivolse un saluto, buttando un occhio sulle cose che la ragazza aveva intenzione di rubare.
«Volevi questi?» le domandò, indicando i biscotti «Ti avverto che la marca non è delle migliori.»
Liesel lo fissò per alcuni secondi, per poi accennare un sorriso.
«Hai ragione, non hanno un'aria molto invitante. Credo proprio che resteranno sullo scaffale.»
«Lieto di sentirtelo dire. Ti chiami Liesel, dico bene?»
«Esatto.»
«Io sono Paul. Ci siamo presentati l'altro giorno al bar, se ricordi.»
La ragazza pensò a quanto il ragazzo fosse diverso in assenza degli amici.
«Scusami, non avevo intenzione di importunarti.» si scusò il giovane, leggendole nel pensiero «Mi rendo conto di essere molto più grande di te.»
«Quanti anni hai?» domandò Liesel fingendo disinvoltura, osservando i prezzi della carne.
«Diciassette, compiuti il mese scorso. Tu quanti ne hai?»
«Tredici.»
Paul si bloccò per qualche istante, fissandola con aria pensierosa. Liesel si domandò cosa gli stesse passando per la testa, impaziente di conoscere il verdetto del ragazzo.
«Sei molto giovane, lo so.» iniziò finalmente a dire «Ma vorrei ugualmente farti una proposta indecente. Mia cugina ha organizzato una festa a casa sua, stasera, e mi farebbe davvero piacere che si fossi anche tu. Se ti va, ovviamente.»
Liesel si ritrovò sul punto di rifiutare. Non aveva mai preso parte ad un evento con persone tanto più grandi di lei, ed il sapere di dover iniziare in un'epoca così antica la rendeva ancora più inquieta.
Era perfettamente al corrente di come si comportassero le ragazze della sua età alle feste, nel 2016. Gli anni '50, per lei, non erano altro che un'ulteriore orribile incognita.
«Non lo so. Cosa si fa a questo tipo di feste?»
«Ci si diverte, ecco tutto. Saremo in pochi, dieci al massimo.»
Paul sorrise ed abbassò lo sguardo. La stava invitando a far parte del suo gruppo, si era posto con gentilezza ed era anche molto, molto carino. Non avendo nulla di meglio da fare, non le rimase che accettare con entusiasmo l'invito.
«Lasciami il tuo indirizzo, mi farò trovare sotto casa di tua cugina perfettamente in orario.»
Ancora abituata ai cellulari, Liesel si stupì nel vedere il ragazzo tirare fuori una penna dalla tasca e prenderle la mano, per scrivere indirizzo ed orario proprio sul suo braccio.
«Mi raccomando, puntuale.» le disse, baciandola sulla guancia «Io sarò lì.»
Detto ciò, si allontanò dalla corsia con la medesima velocità con cui era arrivato, lasciando Liesel a metà fra l'entusiasmo e la preoccupazione.

Lolita non l'ha mai fattoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora