Ovviamente, vinse lei. Ce l’avevo messa tutta per vincere quella partita, ma a mia discolpa potevo dire che Ana era un’avversaria davvero tosta. Così, poco dopo le ventidue, mi ritrovai seduta su un divanetto basso accanto a Massimo e guardavo scettica le varie coppie sulla pista da ballo. Devo dire che erano veramente bravi, chi più chi meno. Io comunque ero un pezzo di legno e non mi sarei mai concessa il lusso di provare per la prima volta a ballare davanti agli altri. Stavo cominciando a rimpiangere la mia mancata serata al wine bar, davanti a un bel bicchiere di vino. Non capivo cosa ci vedessero di male in un sabato sera tranquillo.
<<Ripetimi ancora perché siamo qui>> disse Massimo.
<<Perché mia sorella mi ha dato il tormento tutto il giorno>> risposi acida, continuando a guardare dritto davanti a me.
<<E ripetimi perché non ce ne possiamo andare.>>
<<Perché Ana rimane a dormire da Miguel e se Asia decide di non passare la notte con quel ragazzo con cui sta ballando, dobbiamo portarla a casa noi.>>
Facevamo quella conversazione a intervalli regolari di due minuti. Non mi sarei mai più fatta convincere da mia sorella a fare una cosa del genere. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua; tutti gli altri si divertivano, anche quelli che – come me e Massimo – erano semplicemente seduti a bere o mangiare qualcosa. Perciò il nostro malumore era ancora più evidente di fronte a tutta quell’allegria.
Provai a rilassarmi e appoggiai la testa sulla spalla di Massimo, che prontamente mi passò un braccio intorno alle spalle, tenendomi stretta a sé.
<<Possiamo comunque divertirci, amore>>sussurrò sul mio orecchio.
<<E in che modo?>> chiesi seducente. Forse quella serata stava per migliorare. O almeno, era quello che speravo. Massimo cominciò ad accarezzarmi una gamba, e bastò solo quello per mandarmi fuori di testa. Ero già tremante e in attesa che la sua mano – che in quel momento indugiava sul mio interno coscia – arrivasse dove sapevo che stava per arrivare. Mentre lui si divertiva a torturarmi, prolungando quel momento a dismisura, io nascosi il viso sul suo collo; eravamo coperti in basso dalla tovaglia che c’era sul tavolo, ma se qualcuno avesse visto la mia espressione non ci avrebbe messo tanto a capire cosa stava succedendo.
Finalmente, spinse la sua mano oltre il bordo dei miei slip e stavo quasi ansimando per il sollievo quando si allontanò improvvisamente da me, facendomi emettere un gemito di protesta. Solo in un secondo momento capii che c’era qualcuno che ci stava parlando.
Alzai la testa, assicurandomi di non avere ancora stampato in volto l’espressione di quella che stava per essere masturbata dal proprio fidanzato e trovai Asia e Ana che mi guardavano speranzose; anche se non capivo a cosa fosse dovuto quello sguardo.
<<Amore, ti hanno chiesto se vuoi andare a ballare con un certo Andrea, che a quanto pare si è offerto volontario per farti ballare>> disse Massimo tra i denti.
Mi voltai di scatto verso mia sorella e la fulminai con gli occhi. Non potevo crederci che mi avesse davvero fatto una proposta del genere davanti a lui. Era così indelicata come cosa.
<<No, grazie. Se mai dovesse venirmi voglia di ballare, lo farò con Massimo. E comunque non credo che succederà. Quelle persone frequentano la scuola di ballo di Miguel, per questo sanno ballare, noi ovviamente non possiamo.>>
<<Io ho imparato subito e non vado da Miguel. Basta seguire il ballerino. Dopo un po’ i passi si ripetono.>> La voce di Asia si affievolì progressivamente fino a diventare un sussurro quando vide la mia espressione arrabbiata.
<<No, grazie. Andate voi. Anzi, se ti fai accompagnare a casa dal tuo ballerino, noi ce ne andiamo.>>
Asia si morse il labbro e abbassò gli occhi; Ana invece incrociò le braccia sul petto.
<<Sapevo che sarebbe finita così>> disse mia sorella con quella sua tipica espressione di chi la sapeva lunga. Poi sbuffando aggiunse: <<Mandami un messaggio quando arrivate a casa.>>
Dopodiché prese Asia sottobraccio e tornarono dai loro rispettivi partner.
Non ci mettemmo molto ad arrivare a casa, entrambi avevamo odiato ogni singolo istante che avevamo passato chiusi lì dentro, perciò ce ne andammo abbastanza in fretta.
Una volta arrivati a casa di Massimo, mi ritrovai in un niente distesa sul divano. L’ingresso apriva su un open space spazioso che univa la cucina e il soggiorno, per cui era molto più comodo e sbrigativo arrivare fino al divano.
Ci spogliammo con mani frenetiche e facemmo l’amore altrettanto freneticamente, ma mantenendo comunque quel romanticismo che ci caratterizzava perfino in quei momenti. Quando fummo stanchi e appagati, ci tenemmo stretti tutta la notte, senza aggiungere una sola parola.
***
Il mio fine settimana passò in un lampo. Dopo aver passato tutta la domenica a casa dei genitori di Massimo – facevamo una settimana dai miei e una settimana dai suoi – tornai particolarmente stressata lunedì al lavoro, come accadeva sempre quando dovevo passare un’intera giornata a stretto contatto con Sara, la mamma di Massimo. Era veramente una brava donna e le volevo pure bene, ma parlava così tanto che mi faceva puntualmente venire il mal di testa. Per non parlare poi di quante volte mi raccontava sempre le stesse cose.
Ero in ufficio, un po’ in ansia perché un’ora dopo avevo il mio primo appuntamento con lo chef Alphonse Legrand. Sarei andata nel suo ristorante per dare un’occhiata e per parlare con lui, così da capire quali idee avesse. Stavo leggendo le email quando un leggero bussare mi distrasse. Alzai gli occhi mentre si apriva la porta e Asia fece capolino solo con la testa dalla piccola fessura che teneva aperta.
<<Posso entrare o sei impegnata?>>
<<No, vieni.>>
Si sedette davanti a me e non disse niente per un bel po’, limitandosi a scrutarmi con timore mentre si torturava le mani.
<<Devo parlarti.>>
<<È successo qualcosa? Si tratta di Ana?>>
Sapevo che la sera prima erano uscite di nuovo insieme e quindi quel tono di voce, abbinato al suo sguardo, mi fece preoccupare parecchio.
<<No no. Ana sta bene. Volevo solo scusarmi per come ci siamo comportate sabato. Mi sono pentita immediatamente, appena ho visto la tua espressione. Volevamo solo averti con noi, ma abbiamo scelto il modo peggiore per fartelo notare.>>
Non davo proprio la colpa a lei. Sapevo che c’era lo zampino di mia sorella dietro il loro comportamento e le loro parole, ma non potevo far finta che non mi avesse ferito quella mancanza di tatto.
<<Sì, siete state delle stronze, ma so che gran parte del vostro piano proveniva da mia sorella. Con questo non ti sto giustificando, sia chiaro. E comunque ero già con voi>> le feci notare.
<<Sì, però non sei stata per niente con noi. Credo che Ana risenta un po’ del tuo distacco. Non me lo ha detto chiaramente, ma si capisce.>>
Non sapevo cosa dire. Non c’era nessun distacco tra me e mia sorella, niente di diverso dal solito. Ci chiamavamo e ci vedevamo spesso; mi raccontava sempre tutto e chiamava me per prima quando doveva tirarsi fuori da qualche guaio. Il distacco era solo nella sua testa.
Sospirai. <<Parlerò io con lei. Ma che non si ripeta più una scena come quella di sabato.>>
<<No no. Giuro>> rispose prontamente. <<Agitata per il tuo appuntamento con lo chef?>>
Le fui grata per quel cambio di discorso repentino. <<Già. Ma sono anche molto eccitata. Non vedo l’ora di andare a vedere il locale. Spero di essere all’altezza del compito.>> Di solito – soprattutto nel mio lavoro – non dubitavo mai delle mie capacità. Non per peccare di presunzione, ma ero veramente brava. Ero creativa, avevo gusto, riuscivo a capire cosa volessero i miei clienti prima ancora che lo capissero loro. Non c’era nessun motivo di avere paura o farmi prendere dall’ansia. Eppure quella volta era diverso.
<<Ma certo che sarai all’altezza. Vai tranquilla e non preoccuparti di niente.>>
Annuii e diedi un’occhiata all’orologio, sgranando gli occhi quando mi resi conto che dovevo scappare se volevo arrivare puntuale al mio appuntamento.
<<Devo proprio andare, Asia. Pranziamo insieme, se vuoi.>>
<<Certo. Mandami un messaggio e dimmi dove, così ti raggiungo.>>
<<Perfetto.>>
Feci il giro della scrivania, le diedi un bacio al volo e uscii in fretta.
Riuscii perfino a non arrivare tardi e a rispondere al messaggio che mi aveva mandato Ana, che per qualche motivo voleva sapere dove fossi; e anche se trovavo strano quel suo interessamento, le risposi ugualmente.
Entrai nel ristorante ancora vuoto e trovai Legrand poco distante da me che parlava con due persone. Salutai per avvertirli della mia presenza, visto che nessuno mi aveva ancora notata, e Alphonse Legrand si affrettò a venire da me con la mano tesa. Fu molto accogliente e gentile, cosa che scacciò il mio iniziale imbarazzo. Dopo aver congedato gentilmente i due uomini che stavano parlando con lui quando ero arrivata – che se non avevo capito male avrebbero lavorato lì – ci mettemmo subito al lavoro; discutendo su come voleva che venisse la sala una volta finita.
<<Mi piacerebbe un ristorante elegante e raffinato. Come può vedere c’è molto spazio, ma non voglio tanti tavoli che fanno quell’effetto accozzaglia senza senso. Meglio pochi, ma distribuiti bene>> mi istruì – mantenendo comunque un tono gentile – con quel suo accento francese che trovavo veramente molto bello. <<Per quanto riguarda i colori, avevo pensato qualcosa come bianco e grigio, anche se su questo mi affido a lei perché sono la persona meno indicata per scegliere e abbinare i colori. Lei che ne pensa?>>
Mi schiarii la voce e lo guardai con determinazione – non dovevo fargli capire che ero agitata.
Dovevo apparire professionale e sicura di me. <<Credo che la scelta di non riempire tutta la stanza con i tavoli sia buona. Come ha detto lei, c’è molto spazio su cui lavorare e se vogliamo un effetto elegante, possiamo sfruttarlo in un altro modo. Per i colori, con tutto il rispetto, ma non credo che siano adatti quelli che ha scelto. Sono belli, ma freddi. I colori non vanno mai scelti a caso e, avendo studiato anche psicologia, sono molto scrupolosa su queste piccole cose che all’apparenza sembrano banali.>> Mi fermai un attimo per studiare l’espressione di Alphonse Legrand. Temevo di aver esagerato con la mia opinione. In fondo io ero lì sì per consigliarlo, ma anche per fare ciò che lui riteneva più giusto e di suo gusto. E se lo chef immaginava il suo ristorante bianco e grigio, dovevo attenermi a quello.
<<Ma ovviamente è lei a scegliere e se vuole…>>
<<No no. Vada avanti. Mi affascina questa cosa della psicologia per scegliere i colori. E le ho già detto che io non sono bravo in questo. Perciò prosegua tranquillamente e mi dica cosa sceglierebbe lei>> mi disse, strizzandomi l’occhio.
‘Bene, Ania. È il momento di fare l’intelligente’.
<<Be’, opterei per dei colori caldi che danno un senso di positività e sono molto più stimolanti e d’impatto. Tipo il giallo che, oltre a essere il colore della gelosia è anche il colore della felicità e dei sentimenti positivi. Ma non lo sceglierei solo per questo. Il giallo mette appetito, o almeno è quello che si dice, quindi è adatto per un ristorante.>>
Era davvero affascinato da quello che stavo dicendo; glielo leggevo negli occhi. Cosa che mi riempii d’orgoglio.
<<Interessante.>> Si picchiettò un dito sul mento e nel frattempo fece scorrere gli occhi per tutta la stanza. <<Non riesco ancora a immaginarlo, ma l’idea mi piace. Potrebbe preparare qualche bozza, in modo che possa vedere come risulterà poi la sala?>>
<<Certo>> risposi subito. <<Se lei è d’accordo, possiamo provare con un giallo senape e abbinare il grigio, uno dei colori che aveva scelto inizialmente. Magari per gli accessori. O per i cuscini delle sedie.>>
<<Sì, non male.>> Mi studiò per qualche secondo, poi mi sorrise. <<Ha scelto il colore dell’abito per la nostra riunione di lavoro in base a ciò che dice la psicologia?>> mi prese in giro con gentilezza.
Ridacchiai. Quel giorno scelsi un vestito blu che arrivava poco sopra il ginocchio. Un abito discreto, ma elegante. Adatto per l’occasione, insomma.
<<In realtà no. Ma il blu trasmette fiducia e tranquillità. Perciò, pur non avendolo fatto apposta, ho scelto bene.>>
<<Mi creda, lei mi avrebbe ispirato fiducia con qualsiasi altro colore addosso.>>
Parlammo ancora per un bel po’, e cercai di capire come immaginava il suo ristorante per rispecchiare appieno le sue idee.
Quando finimmo si era già fatto mezzogiorno e mentre mi avviavo alla macchina, presi il cellulare dalla borsa per chiamare Asia e metterci d’accordo per il pranzo. Squillò in eterno, così continuai a camminare sul marciapiede affollato per raggiungere l’auto, quando una voce alle mie spalle mi costrinse a bloccarmi sul posto. Avevo irrigidito così tanto le spalle che probabilmente sembravo una statua – tesi che mi venne confermata dagli sguardi attoniti di alcuni passanti – ma non potevo credere alle mie orecchie. Quella voce apparteneva a una persona che non vedevo da anni e Dio solo sapeva quante volte avevo immaginato di sentirla quando mi trovavo tra la gente; quante volte avevo sperato che fosse proprio lui.
Mi ritrovai sospesa tra illusione e realtà. Sapevo che mi sarebbe bastato voltarmi per scoprire se la stavo immaginando come mi succedeva in passato, ma sapevo anche che avevo bisogno di un po’ di tempo perché qualcosa mi diceva che quella volta non era solo la mia immaginazione che mi stava giocando un brutto scherzo.
Quando finalmente mi voltai, lo feci lentamente e con cautela; mi sentivo come una gazzella che stava per essere mangiata dal leone. I miei occhi confermarono ciò che l’udito mi aveva già fatto capire. E così mi ritrovai a pochi passi dal più bell’esemplare di leone ed era esattamente come lo ricordavo: lunghi capelli biondi che gli arrivavano fino alle spalle e che in quel momento portava legati, ipnotizzanti occhi azzurri, mascella volitiva…
Stava parlando al cellulare e non mi aveva ancora visto. In quel momento la mia testa mi urlò di voltarmi e scappare lontano da lui finché ero ancora in tempo, ma il mio corpo non rispondeva ai suoi comandi. Ero ferma lì, a contemplare l’uomo che mi aveva portato alle più alte vette del paradiso per poi farmi sprofondare senza pietà; strappandomi via il mio piccolo angolo di felicità.
Dovevo andarmene. Dovevo scappare e rinchiudermi in casa dove non avrei corso nessun tipo di pericolo. Purtroppo, un attimo prima che potessi mettere in atto la mia fuga, Angelo si girò con il telefono ancora premuto contro l’orecchio e mi vide. Ebbe la mia stessa reazione: si bloccò di colpo, guardandomi con stupore; il corpo completamente irrigidito.
I suoi occhi incatenarono i miei e in quel momento ebbi un tuffo al cuore.
Capii che niente sarebbe stato più come prima.
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Le vie del cuore
Chick-LitCome si fa a capire cosa vuole il cuore? È questa la domanda che si pone Anastasia ogni giorno da quando, a pochi mesi dal matrimonio con Massimo, ritorna nella sua vita Angelo, ex fidanzato e primo vero amore della sua vita. Nonostante siano passat...