CAPITOLO CINQUE

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Guardai per l’ennesima volta l’orologio mentre cercavo di arricciare i miei capelli e constatai che erano passati già cinque minuti dall’ultima volta che avevo controllato. Erano quasi le ventuno e trenta e a breve sarebbe arrivato Massimo per la cena che gli avevo promesso il giorno prima; quando, codardamente, mi ero rifugiata a casa di mia sorella per digerire l’improvvisa apparizione del mio ex fidanzato-quasi marito.
Quando fui soddisfatta del risultato, appoggiai la piastra a terra, lisciai il vestito che avevo scelto – un abito color melanzana completamente velato dietro – e corsi in cucina a controllare l’arrosto; che finalmente era pronto. Spensi il forno proprio mentre suonarono alla porta, e mi feci un’altra corsa per andare ad aprire; ero impaziente di vedere Massimo – cosa che classificai come buona – ma soprattutto ero impaziente di appurare che tra noi non fosse cambiato niente nonostante il ritorno di Angelo.
Aprii la porta e mi fiondai su di lui senza dargli neppure il tempo di salutarmi. Lo tenni stretto a me per qualche minuto, finché Massimo non si schiarii la gola.
<<Che cosa ho fatto per meritarmi quest’accoglienza?>>
<<Sei qui. Già questo è sufficiente.>>
Mi tirò indietro la testa dopo la mia risposta e mi diede un tenero bacio. Sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma lottai con tutta me stessa per non farle uscire e per non far capire niente a Massimo. Non sapevo perché stessi reagendo in quel modo, ma mi dissi che non poteva essere un cattivo segno se avevo così tanta voglia di vedere il mio fidanzato.
Entrammo e lo condussi direttamente in cucina, dove avevo apparecchiato la tavola con una bellissima tovaglia rossa con dei ricami color oro che formavano delle rose. Quella sera usai il servizio di piatti e bicchieri più bello che avevo, mentre il centro del tavolo era occupato da tre candele.
Massimo guardò prima me, poi la tavola, poi di nuovo me. Sembrava sorpreso. O confuso. O forse entrambe le cose.
<<Amore, mi dispiace>> disse infine.
Fu il mio turno di essere confusa. <<Perché?>>
<<Ho dimenticato qualcosa? Qualche ricorrenza?>>
<<Cosa? No!>> ridacchiai. Era comprensibile che pensasse una cosa del genere.
<<E allora come mai hai organizzato una cena così?>> chiese, indicando prima la tavola, poi me. <<E guardati: sei bellissima. Ti sta veramente bene questo vestito>> sussurrò e mi venne incontro lentamente. Mi prese il viso tra le mani e mi scrutò attentamente. Nessuno dei due disse niente per un po’, ma poi mi ricordai che stava aspettando una risposta.
<<Volevo farti una sorpresa>> sussurrai.
<<Adoro le tue sorprese>> mi rispose subito, poi mi baciò di nuovo. Mi aggrappai alle sue spalle e gli passai la lingua sul labbro superiore. Avevo voglia di stare con lui, ma avrei dovuto aspettare un po’.
Passai tutta la giornata – da quando uscii dal lavoro – ai fornelli a cucinare, perciò la nostra unione carnale doveva attendere qualche minuto ancora.
<<Siediti>> gli dissi col respiro affannato quando mi tirai indietro.
Portai in tavola gli antipasti mentre Massimo prendeva posto a capotavola. Lo osservai per qualche secondo prima di servirlo. Era veramente bello, come al solito. Quella sera scelse un jeans scuro con una camicia blu; non erano i vestiti che usava di solito per andare al lavoro, dove indossava sempre un completo, perciò capii che era tornato a casa prima di venire da me. I capelli, come sempre, erano impeccabili; e per esperienza sapevo quanto ci mettesse per sistemarli. Quando avevamo un appuntamento, lui arrivava sempre puntuale solo perché andava a prepararsi ore prima. Io invece, tanto precisa in tutto, ero perennemente in ritardo. Anche se, non era sempre stato così. Una volta riuscivo ad arrivare agli appuntamenti perfino in anticipo, ma da quando cominciai a lavorare da Domenico, diventò più difficile rispettare gli orari alla perfezione.
Massimo mi sorrise quando si accorse che lo stavo osservando con palese desiderio, e gli sorrisi di rimando.
Perché se lo meritava.
Perché ero sollevata di sapere che mi faceva ancora lo stesso effetto di sempre.
E perché, diciamolo chiaramente, non si poteva rimanere indifferenti di fronte a un uomo come Massimo, soprattutto quando sorrideva.
E presto sarebbe diventato mio marito…
Ci mettemmo una vita a consumare tutto – avevo esagerato un po’, considerando che dovevano mangiare solo due persone – e quando finalmente finimmo anche il dolce – che mangiammo tra risate e giochi – passammo direttamente nella stanza da letto.
Non pensai ad Angelo, neppure una volta. Tranne quando Massimo si addormentò e mi tenne stretta tra le sue braccia. Ma erano pensieri del tutto innocui. In fondo, avevo solo pensato che ero riuscita a non pensarlo mentre facevo l’amore con il mio fidanzato.
Pensieri innocui, mi ripetei.

                              ***
Quella settimana passò in un lampo e fu piuttosto tranquilla, non ebbi più nessuna notizia di Angelo.
‘Meglio così’, mi dissi.
Ero sicura dei sentimenti che provavo per Massimo e sapevo che quella con Angelo era una storia finita, ma preferivo non averlo tra i piedi.
Eravamo a pranzo dai miei – quella domenica toccava a loro – e stava andando tutto alla grande. Io ero in cucina con mia madre per aiutarla a preparare il pranzo; mia sorella, come al solito, non aiutava neanche sotto tortura ed era seduta sul divano con il tablet in mano; mio padre e Massimo stavano guardando il canale sportivo. Qualcosa sulle macchine. O forse erano moto. Non ne ero sicura.
<<Come va al lavoro?>> chiese mia madre, mentre affettavo il pane.
<<Benissimo, direi. Ti ricordi che ti avevo detto di quell’incarico importante per il ristorante di un famoso chef?>>
<<Sì, quel tale Alfonso.>>
Risi. <<Alphonse Legrand, mamma. Comunque, l’ho incontrato questa settimana. Le mie idee gli sono piaciute e mi ha dato carta bianca su tutto. Proprio venerdì gli ho mandato alcune bozze dei progetti ed era abbastanza entusiasta.>>
Mi rivolse uno sguardo pieno di orgoglio. <<Brava, tesoro. Tu sì che mi dai sempre belle notizie. Non come quella scapestrata di tua sorella. Non fa che finire nei guai e… ah, senti questa. Adesso vuole fare l’estetista. Dopo la modella, l’attrice, fashion design e giornalista di moda, ora l’estetista.>>
Era disperata. Riuscivo a capirlo dal tono esasperato che adottava quando parlava delle tendenze un po’ particolari ed effimere di Ana. Ma lei era così, non sarebbe cambiata per nessuno; neppure per la salute mentale di mia madre.
<<Be’, è sempre rimasta nel campo della moda, se escludiamo il periodo dell’attrice. E secondo me l’estetista potrebbe veramente essere il lavoro che fa per lei. Ana è fissata con queste cose. Dove si tratta di sistemare capelli, truccare, fare unghie, trattamenti per il corpo e per il viso, ci sta proprio bene. Magari è la volta buona.>>
<<E tu ci speri davvero? Diventerò vecchia e senza memoria quando troverà la sua strada.>>
<<Dalle tempo>> dissi, poi posai tutto sul bancone e mi avvicinai per darle un bacio. Speravo di attenuare un po’ la sua tensione. E a quanto pare ci riuscii.
<<Ho una fame incredibile>> annunciò Ana entrando nella cucina. Si accomodò sulla sedia e ci studiò per qualche secondo. <<Stavate parlando di me, eh. Fate pure, basta che mi date da mangiare.>>
Mia madre alzò gli occhi al cielo. Nonostante la sua esasperazione, vedevo quanto amore provava per quella scapestrata di mia sorella. Ana era quella che si prendeva più rimproveri – fin da quando eravamo bambine – quella che veniva messa in punizione un giorno sì e l’altro pure, ma succedeva perché combinava sempre qualcosa. Capivo perciò mia madre, che con lei usava meno parole dolci. Credo che la sua più grande paura fosse che Ana non sarebbe mai diventata davvero matura; che avrebbe fatto sempre una vita così irregolare, inseguendo la tendenza del momento se lei non avesse provato a essere più dura e autoritaria nei suoi confronti.
Ovviamente Ana non la vedeva così. Secondo lei quello significava solo una cosa: io ero la figlia preferita perché ero la figlia modello; quella che tutti i genitori vorrebbero avere. Grandissima cazzata! A ventisei anni avevo già un quasi matrimonio fallimentare alle spalle e una crisi di depressione che mi aveva portato a soffrire di bulimia. Non ero proprio per niente un modello da seguire…
<<Vieni ad aiutarci, Ana. Così finiamo prima e potrai finalmente mangiare>> provò mia madre. Ma sia lei che io sapevamo la risposta.
<<No, grazie. Io dirigo i lavori da qui, se volete>> scherzò mia sorella. Di sicuro lei neanche ci provava a ingraziarsi mia madre.
<<Tanta bellezza in una sola stanza>> disse mio padre, che ci aveva raggiunto insieme a Massimo.
<<Concordo, Tiziano. E noi siamo i fortunati che hanno il privilegio di averle nella nostra vita>> continuò quest’ultimo.
Mio padre annuii, orgoglioso, mentre noi tre sorridemmo. O almeno, io e mia madre; Ana in realtà sbuffò. Era allergica alle smancerie, come affermava lei stessa.
Ci eravamo appena messi a tavola quando suonò il campanello. Ci guardammo tutti con aria interrogativa, tranne Ana che era già impegnata a farsi il piatto, poi dissi a mia madre di cominciare a mangiare e andai ad aprire.
Mi aspettavo di trovarmi davanti dei Testimoni di Geova, o un rappresentate di aspirapolvere, servizi, tovaglie; o la signora del piano di sotto che veniva a chiedere un po’ di zucchero, o caffè, o sale. Insomma, chiunque tranne lui.
Boccheggiai, e cercai di distogliere lo sguardo dall’azzurro abbagliante dei suoi occhi, ma non ci riuscii. Era tutto così strano; e sentii una morsa al petto che mi rese difficile respirare.
Ebbi un déjà vu. Un ricordo che ormai era tanto lontano e tanto sbagliato da ricordare. Ma, come mi successe con il suo sguardo, non riuscii a evitarlo.

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