CAPITOLO NOVE

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Mi guardai intorno soddisfatta, il ristorante di Alphonse Legrand era finalmente finito ed era in corso l’inaugurazione del locale. Era pieno di gente, ma non mi aspettavo niente di meno; e per l’occasione avevo scelto con cura il mio outfit: indossavo un vestitino elegante che mi stringeva la parte superiore del corpo, cadendo ampio sulle gambe, poco sopra il ginocchio. Era di un bellissimo color corallo – sapeva un po’ d’estate e decisi di indossarlo proprio perché mi trasmetteva allegria, seppure fossimo nel bel mezzo dell’inverno – con le maniche completamente velate.
Fui molto soddisfatta quando vidi lo sguardo estasiato di Massimo mentre passava in rassegna ogni singolo particolare del vestito; ancora di più quando ricevetti anche i complimenti per come avevo gestito i lavori. Ci avevo messo l’anima in quel ristorante e avevo dato tutta me stessa per portarlo a termine al meglio. E a quanto pare, ci riuscii alla grande. Almeno qualcosa andava per il verso giusto, visto e considerato che era un periodo un po’ particolare della mia vita.
Non ebbi più notizie di Angelo. Forse avrei dovuto essere felice perché stava mantenendo fede al suo addio, eppure qualcosa dentro me urlava a gran voce che non ero completamente d’accordo con quella scelta. Per questo mi imposi – in quei cinque giorni – di pensarlo il meno possibile per tornare a condurre la mia vita come facevo prima del suo ritorno. Sarei stata felice, volevo sperarci. Inoltre, non ero mai stata infelice con Massimo; semplicemente in quel periodo avevo un po’ le idee confuse. Sfiderei chiunque a trovarsi nella mia situazione e a non provare almeno un minimo dubbio o confusione.
Mentre me ne stavo al centro della sala con lo sguardo illuminato dalla felicità, osservai Massimo avvicinarsi lentamente a me con due bicchieri di champagne. Me ne passò uno e accostò la bocca al mio orecchio. <<Amore, so che te l’ho detto già un milione di volte, ma sei stata fantastica. Questo ristorante è bellissimo e il merito è solo tuo.>>
Arrossii e abbassai la testa, mi sentii incredibilmente timida in quel momento, ma era sempre così: i complimenti mi mettevano in imbarazzo, anche se li apprezzavo. <<Grazie, amore.>>
Bevvi un sorso di champagne e Massimo fece lo stesso, guardandomi per tutto il tempo negli occhi. Gli sorrisi appena abbassai il bicchiere e allungai una mano sui suoi capelli per sistemarli, anche se erano in perfetto ordine. Dal sorrisetto soddisfatto che mi regalò, capii che sapeva perfettamente che avevo usato il pretesto di metterlo in ordine per avere un motivo per toccarlo. Avevo un debole per i capelli degli uomini, soprattutto per quelli che non li riempivano di gel, e non perdevo occasione per toccarli.
Credo che questa mania me l’abbia trasmessa Angelo: lui sì che aveva dei capelli favolosi…
<<Hai finito la scorta che avevo fatto prima di uscire di casa>> sussurrò Massimo.
Mi andò di traverso lo champagne quando finì quella frase. Sapevo a cosa si riferiva e ricordarlo mi fece un certo effetto. Ero molto nervosa prima di uscire, perciò Massimo mi aiutò a rilassarmi in un modo davvero piacevole: si era preso cura di me, dedicandomi tutto il tempo che avevamo a disposizione e funzionò. Alla fine della nostra unione carnale, ero completamente rilassata e fluttuavo in quel bellissimo mondo in cui piombavo dopo aver raggiunto il culmine, che l’inaugurazione era ormai un ricordo lontano. Ma aveva ragione Massimo, ormai avevo finito la scorta di “benessere” gentilmente concessa dal mio premuroso fidanzato e cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di nervosismo. Chi non mi conosceva magari neanche se ne accorgeva, ma lui capiva benissimo  i segnali che lanciavo: non facevo altro che rigirarmi la collana tra le mani, apparentemente con disinvoltura.
Apparentemente, appunto…
<<Già, purtroppo è finita>> dissi disperata.
Il sorrisetto per nulla innocente che sfoderò mi fece capire in anticipo cosa stava per dire. <<Be’, se vuoi posso ricaricarti ancora.>>
Sorrisi maliziosa e mi feci più vicina, trafficando con la sua giacca per stirargli pieghe invisibili. <<Mi piacerebbe tantissimo, ma non faremo sesso nel ristorante di Legrand.>>
<<Potremmo uscire e assentarci per un po’.>>
<<Ci hai provato amore, ma no. Staremo qui fin quando sarà necessario.>>
<<Ovvero?>> chiese imbronciato.
Mi strinsi nella spalle con aria innocente. <<Non lo so. Vedremo.>>
<<Sorellina>> gridò Ana dall’altra parte del locale. Non c’era niente da fare, non capiva quando era il caso di fare le cose per bene e fingere di essere una ragazza aggraziata e completamente a suo agio in una situazione come quella. Era chiedere troppo, perciò neppure la rimproverai per aver usato un tono di voce troppo alto per richiamare la mia attenzione.
Quando si avvicinò con Miguel alle calcagna, sfoderò uno dei suoi luminosi sorrisi. <<Noi tra un po’ andiamo via, così prepariamo tutto>> cominciò. Miguel ci aveva invitato a passare il fine settimana nella sua casa in collina – un vero paradiso a detta sua – e noi ovviamente avevamo accettato subito. Non mi dispiaceva affatto trascorrere qualche giorno immersa nel verde e lontano dal caos della città.
Non era la casa in cui abitava, Ana mi aveva raccontato che non ci andava quasi mai e che quindi non l’avremmo trovata al massimo delle condizioni, ma poco mi importava. Avrei fatto di tutto in quel momento per fuggire un po’ dalla quotidianità. In ogni caso, fu per questo che decisero di andare via prima, volevano mettere tutto in ordine prima del nostro arrivo.
<<Va bene. Ma siete sicuri che non volete aspettare? Così vi diamo una mano.>>
<<Assolutamente no>> rispose Miguel con quel suo accento strafigo. <<Siete miei ospiti e inoltre ho trovato chi mi aiuterà.>> Si spostò un po’ di lato indicando un ragazzo che aspettava alle sue spalle. <<Lui è mio fratello, Lucas. Starà con noi in questi tre giorni.>>
Non ebbi neanche il minimo dubbio che quei due fossero fratelli. Avevano gli stessi tratti e gli stessi occhi blu; solo che quelli di Miguel erano caldi e trasmettevano tranquillità, mentre quelli di Lucas erano freddi, quasi minacciosi.
Non so perché mi diede quell’impressione, quel povero ragazzo non fece niente di male, se non sorridere affabile, ma anche il suo sorriso mi risultò gelido.
Mi strofinai le braccia per alleviare la pelle d’oca e ricambiai il sorriso, seppur titubante, prima di porgergli la mano per presentarmi. <<Piacere, Anastasia.>>
Lucas la strinse, ma prima di poter dire qualcosa, o di capire le sue intenzioni, la portò alle labbra, lasciandoci un piccolo bacio. Ebbi l’impulso di strattonarla dalla sua presa per allontanarmi da lui, ma non volevo risultare maleducata, così feci finta di niente finché finalmente non si allontanò per presentarsi a Massimo. Quando gli uomini cominciarono a parlare tra di loro, presi mia sorella per il gomito e con disinvoltura la portai poco distante da loro.
<<Non mi avevi detto che Miguel avesse un fratello>> cominciai e nel frattempo li tenni d’occhio per assicurarmi che non sentissero la nostra conversazione.
Ana ridacchiò un po’ troppo forte e quando le rivolsi un’occhiataccia per farle capire di smetterla immediatamente, si portò una mano alla bocca nel vano tentativo di calmarsi. <<Non sapevo che fosse un requisito tanto importante da doverti addirittura informare. Sei un po’ strana ultimamente.>>
Le dedicai tutta la mia attenzione e incrociai le braccia sul petto, ignorando l’ultima parte del suo discorso. <<Che tipo è?>> indagai. Era più forte di me: non riuscivo a vederlo di buon occhio e qualcosa nel suo sguardo mi faceva venire i brividi.
<<Lucas? Per quel poco che ne so è un tipo esuberante. Decisamente fuori dagli schemi. Un po’ come me, ma elevato all’ennesima potenza.>>
<<Perfetto>> borbottai sottovoce. Il suo discorso non mi rassicurò per niente. Anzi, se possibile, aumentò il senso di disagio che già provavo. Aveva usato le stesse parole per descrivere Miguel quando mi parlò di lui la prima volta, ma appena lo conobbi, capii subito che persone fosse e – anche se probabilmente non lo avrebbe mai ammesso – vedevo come guardava mia sorella: era chiaramente innamorato di lei; come anche Ana d’altronde. Eppure, cocciuti com’erano, nessuno dei due voleva confessare che tra loro non ci fosse più solo sesso, ma che ormai erano arrivati a provare ben altro. Invece Lucas… be’, a pelle sentivo che Lucas era completamente diverso da Miguel e non mi faceva stare tranquilla saperlo intorno a mia sorella.
<<Uscite spesso tutti e tre insieme? Soli?>> aggiunsi.
Un pensiero per nulla piacevole mi attraversò la testa e volevo scoprire se rispecchiasse la realtà. Dio, speravo proprio di no.
<<Da quando è tornato praticamente tutti i giorni. Prima stava in Sardegna con la sua fidanzata… anche se fidanzata è una parole grossa. Sai… è un po’ come noi, me e Miguel intendo. Niente storie troppo serie. Solo tanto e sano divertimento. Ora con quella è finita e ha deciso di venire qui per stare con suo fratello. Perché?>>
Ripresi a rigirarmi la collanina tra le mani e pensai a un modo delicato per farle la domanda che mi ronzava in testa. Non era per nulla rassicurante quello che mi aveva raccontato. <<Ana… tu non… insomma, non hai una relazione anche con lui vero? Ti prego, dimmi che non avete una malsana relazione a tre.>>
Mentre lei mi guardava guardinga e anche stupita per la domanda che le aveva posto, io trattenni il fiato pregando il Signore con tutta me stessa che la risposta fosse “no”. Sapevo che mia sorella era una pazza e che gli esperimenti – soprattutto quelli più bizzarri – fossero il suo pane quotidiano, ma non volevo pensare che si fosse spinta tanto oltre.
<<Oh, anche la mia innocente sorellina quando vuole riesce ad avere una mente perversa come la mia>> cantilenò.
<<Ti ho fatto una domanda, Luana>> dissi in tono duro, usando il suo nome di battesimo per farle capire che non stavo scherzando e che non ne avevo neppure voglia.
Alzò le mani con un sorrisetto. <<Va bene, va bene. Calmati. No, non ho una relazione con entrambi, anche se non sarebbe male trovarsi in mezzo a due come loro>> disse indicando con la mano i due uomini alle sue spalle.
Rabbrividii immaginando quella scena e cercai di allontanarla subito dalla mia mente. <<Non è divertente. E comunque… la gente potrebbe pensare questo se ti vede uscire ogni sera con loro due. Inoltre sappiamo entrambe che quando esci finisci sempre per bere e questo potrebbe farti fare cose stupide. Non mi piace quel Lucas.>>
<<Forse dovresti calmarti. Non ho intenzione di avere una storia con tutti e due nello stesso momento e non ho neanche intenzione di fare sesso con tutti e due nello stesso momento, se è questo che ti preoccupa.>>
Tirai un sospiro di sollievo. <<Perfetto. Anche perché faresti meglio a concentrarti solo su Miguel. Fare finta che non sia qualcosa di più di uno scopamico è inutile ormai. Te lo si legge negli occhi che sei innamorata e anche lui…>>
<<Frena, sorellina>> mi interruppe alzando nuovamente le mani. <<Io sono soddisfatta del rapporto che ho con Miguel e non ho nessuna necessità di farlo diventare altro. Non tutte sognano l’abito bianco come te. Perché ti riesce tanto difficile accettarlo?>>
Non fu del tutto convincente, ma avevamo fatto quel discorso così tante volte che decisi di lasciar perdere. Tanto non sarebbe cambiato niente. Non capivo perché non volesse ammettere che quella con Miguel non era più una semplice storiella, ma contenta lei. Per fortuna la nostra chiacchierata fu interrotta da Miguel stesso che venne a reclamare l’attenzione di mia sorella. <<È ora di andare.>>
<<Oh, sì. Qui sono tutti perfettini e noiosi>> esclamò Ana, facendomi alzare gli occhi al cielo. Era un bene che andasse via. Si stava annoiando a morte e siccome Ana è… be’, è Ana, non si impegnava neppure a nasconderlo.
<<Portala via. Non fa che lamentarsi in continuazione. Lei sta bene solo nelle discoteche, dove non ci si può scambiare neppure una parola.>>
Miguel annuì e sorrise con tenerezza a mia sorella. <<Questo è proprio il bello e il brutto di questa testa calda.>>
Sorrisi anche io appena finì di parlare e potei giurare di aver visto gli occhi di mia sorella illuminarsi di gioia, ma durò solo una frazione di secondo e l’attimo dopo era già lì tutta ricomposta a fare la finta indifferente.
<<Grazie… suppongo>> rispose Ana.
Ci salutammo di nuovo e Massimo mi raggiunse appena loro si allontanarono. Mi appoggiai a lui e mi feci proprio tenere di peso, approfittandone quando mi passo un braccio intorno alla vita. I piedi mi facevano malissimo. Per quanto le scarpe che scelsi fossero belle – e lo erano davvero – il tacco a spillo era talmente fino e alto che dopo qualche ora passata su quelle bellissime trappole mortali, i piedi cominciarono a chiedere pietà.
<<Stanca, amore?>> sussurrò Massimo vicino al mio orecchio.
<<Abbastanza. Ma ne vale la pena.>>
<<Anastasia>> disse una voce delicata e dal bellissimo accento francese alle mie spalle. Tornai immediatamente vigile e mi voltai, trovandomi davanti gli occhi verdi di Legrand che mi guardavano con orgoglio. <<Da quando sei arrivata non ho avuto un momento libero per venire a parlarti. A ogni passo che faccio mi ferma qualcuno. Volevo ringraziarti ancora una volta per l’ottimo lavoro che hai svolto.>>
<<Grazie a lei. Sono veramente contenta che sia soddisfatto del risultato finale.>>
<<Molto soddisfatto. Sei stata una brava lavoratrice e una brava psicologa>> ribatté facendomi l’occhiolino, mettendo in evidenza l’ultima parola. Passavo un sacco di tempo a parlare con gli operai o con Legrand stesso quando mi presentavo al ristorante per vedere come procedevano i lavori o quando la mia presenza era necessaria. E spesso riuscivo a risollevare il morale a chi non era proprio al massimo. Ma non c’entravano niente le nozioni di psicologia che avevo – e che usai solo per scegliere i colori del locale, in modo da fare bella figura con Legrand – ero più che altro un’amica per loro. Evidentemente ispiravo fiducia perché spesso e volentieri, tra una pausa e l’altra – o anche mentre lavoravamo – si confidavamo con me. Sapevo della gioia di Antonio, che a breve sarebbe diventato nonno per la prima volta; di Leonardo che era perennemente preoccupato per la figlia che si era trasferita da poco in Inghilterra per studiare l’inglese; o di Giacomo che cercava ancora l’anima gemella, anche se aveva solo cinquantanove anni. Insomma, mi sarebbero mancati, dovevo ammetterlo.
In quel momento sentii Massimo alle mie spalle; mi poggiò una mano sulla parte bassa della schiena e premette il suo corpo contro il mio. Mi voltai e gli sorrisi, poi lo presentai a Legrand. <<Posso presentarle il mio fidanzato, Massimo Petrucci>> dissi, voltandomi leggermente verso Massimo per sorridergli di nuovo. I due uomini si presentarono e da lì fioccarono complimenti su complimenti. Legrand si intrattenne con noi abbastanza a lungo da provocare malcontento tra le persone che aspettavano per avere un po’ del suo tempo per poter parlare con lui. Non volevo trattenerlo troppo a lungo – e non sapevo se stesse rimanendo lì perché gli sembrava male liquidarci – così, nel dubbio, gli offrii una scappatoia.
<<Sono contenta del tempo che ci ha dedicato, ma non vorrei trattenerla più del dovuto. Ci sono molto persone che richiedono la sua attenzione>> gli sorrisi affabile e lo osservai aggrottare la fronte e guardarsi intorno. Era chiaro che non ci avesse pensato.
<<Sì, in effetti dovrei avvicinarmi a salutare diverse persone ancora>> ammise. <<È stato un piacere conoscerla, signor Petrucci. So che a breve vi sposerete. Lei è veramente fortunato ad avere una splendida ragazza come Anastasia. Le metta al più presto le catene e non se la faccia scappare>> scherzò, non sapendo quanto quello che aveva detto mi avesse provocato una morsa nel petto.
<<Non me la farò scappare per nulla al mondo. Non ho intenzione di passare la mia vita senza di lei>> rispose Massimo, l’espressione maledettamente seria. Più che una specie di dichiarazione, sembrò un avvertimento. Come se sapesse le reali intenzioni dietro il ritorno di Angelo e volesse dirmi: non ti lascerò a lui.
Ovviamente quello non era possibile. Massimo poteva aver intuito qualcosa, ma la certezza… quella non poteva averla.
Quando Legrand si allontanò lasciandoci soli, lo fronteggiai, allungandomi per dargli un casto bacio.
La serata continuò tranquilla e a un certo punto persi di vista Massimo. Si era allontanato con alcuni suoi amici che erano venuti all’inaugurazione e io stavo conversando con Maddalena, la fidanzata di uno di loro; anche se non ricordavo di chi. Alcuni li avevo conosciuti quella sera stessa – perlopiù erano colleghi – perciò non ricordavo nomi e accoppiamenti. Era una donna minuta e graziosa, non potei fare a meno di invidiare la sua bellezza naturale: quella ragazza sarebbe stata bellissima anche senza trucco. Era molto socievole, perciò parlammo ininterrottamente da quando ci lasciarono sole. Sentii suonare il cellulare nella pochette mentre mi stava raccontando di quanto quel pomeriggio fosse stato impegnativo. Non mi sembrò opportuno tirarlo fuori mentre mi parlava, così aspettai che si allontanasse. La lucina bianca che lampeggiava mi avvisò che avevo un messaggio non letto. Lo aprii e il respiro mi restò intrappolato dentro.
-Hai fatto un ottimo lavoro. Sono orgoglioso di te. E tu sei bellissima, scricciolo.
Anche se non era firmato, sapevo che il mittente poteva essere solo lui: Angelo. “Scricciolo” era il suo modo affettuoso di chiamarmi quando stavamo insieme. Girai su me stessa e guardai freneticamente tutti i presenti. Lui era lì, era lì da qualche parte, ma non riuscivo a trovarlo. Feci il giro della sala per ben tre volte, ma di Angelo nessuna traccia. In compenso trovai il mio fidanzato, che mi avvisò che era ora di andare se non volevamo arrivare tardi a casa di Miguel.
Eravamo in macchina da almeno venti minuti quando tirai fuori il cellulare dalla borsa e risposi un semplice “grazie” al messaggio di Angelo. Provai a fare il tutto con nonchalance per non fare insospettire Massimo e provai anche a ignorare quella vocina nella mia testa che gridava “adultera”. Sì, io e Massimo non eravamo ancora sposati, ma nell’ultimo periodo non si poteva di certo dire che fossi una santa.
Quando finalmente arrivammo da Miguel non mi sembrò vero, ma la prospettiva di passare due giorni lì spazzò via la stanchezza. In mezzo a metri e metri di puro e meraviglioso verde si stagliava una modesta casa in mattone. L’aspetto non era dei migliori, ma la privacy e la meravigliosa vista che regalava quel posto faceva passare tutto in secondo piano.
Una volta presa la valigia, ci avvicinammo per suonare, ma Lucas – il fratello ambiguo di Miguel – ci precedette. Spalancò la porta quando ancora non eravamo arrivati neanche sulla veranda e ci aspettò con il sorriso, tenendoci la porta aperta. Sorriso che ancora una volta mi mise i brividi. L’arredamento era minimalista, ma carino. Avrei cambiato qualcosa qua e là, ma quello era un mio brutto vizio. Per via del lavoro che facevo, difficilmente entravo in un appartamento senza pensare di spostare, sostituire o aggiungere qualcosa.
<<Stanchi?>> chiese Ana quando vide le nostre facce stremate. Non avevo dubbi sul fatto che avessi un pessimo aspetto.
<<Un po’>> rispose Massimo, che abbandonò la valigia all’entrata e andò a sedersi sul piccolo divanetto davanti al camino acceso.
Anche se avremmo voluto restare di più a chiacchierare tutti insieme nel piccolo soggiorno, eravamo davvero troppo stanchi per tenere gli occhi aperti; per cui fui grata a Miguel che – capendo la situazione – ci disse che potevamo andare a riposare. D’altronde avevamo due interi giorni per stare insieme.
Massimo prese la valigia e la mia borsa e ci avviammo su per le scale per andare nella nostra stanza e quando arrivammo alla fine, afferrai mia sorella per un braccio, aspettando che tutti ci superassero ed entrassero nelle loro stanze per parlarle.
<<Lucas non dorme nella stessa stanza con te e Miguel, vero?>>
Mi guadagnai un mugugno. <<Ancora con questa storia? No, Ania. Lucas ha una stanza solo per lui. Tranquilla.>>
Tranquilla continuavo a non esserlo, ma annuii lo stesso e feci finta di niente.
<<Non ringrazierò mai abbastanza Miguel per averci invitati. Mi serviva proprio una mini vacanza.>>
<<Già>> concordò Ana. <<Con la scusa possiamo passare qualche giorno insieme. Ormai non ci vediamo più. Neanche mi chiami.>>
Dalla malinconia che percepii nella sua voce, sembrava che non ci vedessimo da anni, e ripensai alle parole che mi aveva detto Asia qualche settimana prima: sosteneva che Ana sentisse la mia mancanza per il poco tempo che le dedicavo. In quel periodo fui così impegnata che mi dimenticai pure di affrontare quel discorso con lei. Non volevo pensasse che la stavo abbandonando e anche se a me sembrava una cosa stupida, perché ovviamente non era così, sapevo che per lei era importante. Avevamo un rapporto troppo stretto, quasi morboso, perciò anche se non ci vedevamo per un solo giorno, ci pesava. Succedeva anche a me ogni tanto, ma con il mio imminente matrimonio non volevo farle credere che non avrei avuto più tempo per lei. Perché non era assolutamente così. Avrei sempre trovato qualche ora da dedicare a mia sorella, a prescindere da quello che dimostrai in quell’ultimo periodo.
<<Scusami, Pollon. So che ultimamente non ci siamo viste molto, ma ti prometto che in questi giorni ti starò addosso in continuazione.>>
Ana sfoderò un sorriso che la fece sembrare una bambina, era così contenta che mi sentii ancora più in colpa per il poco tempo che stavamo passando insieme.
<<Mi hai chiamata Pollon?>> sussurrò quasi stupita, ma al tempo stesso contenta. Capivo il suo stupore, non l’avevo più chiamata in quel modo, visto che quel soprannome glielo aveva scelto Angelo.
<<Sì. Non ne facciamo una questione di stato però>> scherzai. <<Ora raggiungo Massimo. Ho un sonno pazzesco.>>
Mi abbracciò forte e dopo che ci augurammo la buonanotte, entrai nella stanza che ci avevano assegnato e trovai Massimo seduto sul bordo del letto con le mani tra i capelli. Aveva lasciato la mia borsa sul letto e alcune cose erano finite fuori, sbadata come sono avevo sicuramente dimenticato di chiuderla. Si era tolto la giacca e la cravatta e aveva arrotolato le maniche della camicia, lasciando intravedere le sue braccia muscolose. Mi preoccupai all’istante e, chiudendomi la porta alle spalle, mi inginocchiai tra le sue gambe.
<<Amore, stai male?>> chiesi con apprensione. Gli afferrai i polsi per indurlo a togliere le mani dai capelli e poterlo così guardare. Ci osservammo per un po’ e per un attimo pensai che si fosse intristito, ma poi lui scosse leggermente la testa. <<Sono solo stanco.>>
Era comprensibile: quel giorno non ci fermammo un solo istante. Mi tirai su lentamente. <<Ti aiuto a spogliarti e poi ti riposi. È stata una giornata interminabile.>>
Mi afferrò per le braccia e mi fece inginocchiare di nuovo. La stanchezza era ancora visibile sul suo volto stremato, ma c’era anche un pizzico di lussuria. I miei sensi si accesero immediatamente ed ero sicura che i miei occhi, in quel momento, lanciavano lo stesso messaggio dei suoi. Lentamente, gli poggiai le mani sul petto, cominciando a sbottonare la camicia. Un bottone dopo l’altro mi lasciò intravedere il suo petto solido; il suo respiro che si fece sempre più veloce man mano che portavo a termine il mio lavoro. Gli feci scivolare la camicia lungo le braccia, mentre mi portai in avanti per disseminare il suo petto di piccoli baci. Le sue mani trovarono l’orlo del mio vestito e, proprio come feci io con la sua camicia, lo sfilò lentamente. Sentii il bisogno di accelerare i miei movimenti, di fare le cose con frenesia, ma alla fine mantenni quel ritmo calmo per assaporare ogni singolo istante; per gioire di ogni brivido, gemito e gesto provenisse da noi. Perciò continuai a fare tutto con calma, concentrandomi per liberarlo dai pantaloni e dai boxer. Li feci scorrere lungo le sue gambe, fermandomi solo quando dovetti togliergli le scarpe e le calze. Nonostante i suoi quarant’anni, aveva un corpo spettacolare e, lo ammetto, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Lo feci stendere sulla schiena e cominciai a dedicarmi a lui come si deve. Non lo facevo spesso, la maggior parte delle volte era lui che regalava al mio corpo sensazioni indicibili – come aveva fatto quel pomeriggio stesso – e fu anche per questo che decisi di impegnarmi per donargli l’ora più bella della sua vita.
Okay, forse l’ora più bella della sua vita era un po’ esagerato, me ne rendevo conto, ma mi bastava che fosse indimenticabile.
Il suo corpo che vibrava sotto le mie mani mi fece capire che ero sulla giusta strada e persi il conto di quanto tempo passai lì. A un certo punto le ginocchia cominciarono a farmi male, ma non ci badai: ero troppo contenta di vedere Massimo in quello stato per merito mio per interrompere quello che stavo facendo. Inoltre mi eccitava davvero tanto vedere un uomo come Massimo fremere sotto l'assalto della mia bocca. In quel momento capii che avrei passato ore e ore lì, se lui me lo avesse permesso, solo per vederlo vulnerabile e in balia del piacere che io gli stavo donando.
<<Adesso basta>> disse tra i denti dopo un’eternità, afferrandomi i capelli per tirarmi delicatamente indietro la testa e guardarmi negli occhi. <<Non voglio venire così.>> Un secondo dopo, mi ritrovai con il busto piegato sul letto, mentre Massimo si alzò per sistemarsi dietro di me. Slacciò il reggiseno e mi tolse le mutande con uno strattone, poi sistemò il mio corpo come meglio desiderava. Ormai aveva completamente perso la testa e si fece spazio tra le mie gambe con una furia che non gli avevo mai visto. Le sue spinte veloci e dure mi costrinsero a soffocare le urla contro il materasso, dal momento che non eravamo a casa mia e che a poche porte di distanza c’erano mia sorella, Miguel e Lucas. Le sue mani strinsero più forte i miei fianchi e i suoi movimenti si fecero ancora più frenetici, se possibile. Mi adeguai al suo ritmo, facendo leva sui piedi per andare incontro alle sue spinte. Sentii il suo petto appoggiarsi contro la mia schiena e il suo respiro mi investì i capelli. Una mano si insinuò sotto il mio corpo per arrivare ad afferrarmi il seno, che strinse così forte da farmi quasi male. Urlai talmente tanto che a un certo punto mi ritrovai senza voce e con la gola che mi bruciava. Mi strattonò i capelli, portandomi la testa indietro e mi voltai, passandogli una mano tra i capelli per condurre le sue labbra sulle mie. Il bacio fu frenetico e duro come il nostro amplesso, al contrario delle parole che mi disse quando ci staccammo per riprendere fiato.
<<Non potrei mai vivere senza di te, Anastasia. Sei tutta la mia vita. La. Mia. Vita>> ringhiò, ogni spinta una parola. E quello fu il punto di non ritorno. Per entrambi. Ci lasciammo andare, gridando il nostro piacere senza più preoccuparci di non fare rumore.
Fu perfetto. Assolutamente perfetto. E anche se in quell’ultimo periodo feci cose abbastanza discutibili, ero grata a Massimo per l’amore che provava per me. Ero grata del fatto che avesse scelto me come compagna della vita e per la sua vita. Ero grata per tutto. E sapevo che anche io provavo qualcosa di forte per lui, solo che in quell’ultimo periodo fu eclissato da un vecchio amore del passato. Ma appunto, faceva parte del passato. E lì doveva rimanere.
Il mio presente e il mio futuro era Massimo.
<<Ti amo>> sussurrai, portando una mano dietro di me per toccarlo. Eravamo in una posizione scomoda e il suo peso mi stava rendendo difficile respirare, perciò tirai quasi un sospiro di sollievo quando si alzò e mi sistemò al centro del letto, raggiungendomi immediatamente. Ancora una volta, si mise dietro di me e non fui per niente contenta di non poterlo guardare; sembrava quasi che volesse evitare di guardarmi, quella sera. Ma dopo un po’ mi strinse forte e mi baciò sulla spalla, spazzando via i miei dubbi.
<<Ti amo anch’io>> disse dopo diversi minuti di silenzio. E fu l’ultima cosa che sentii prima di addormentarmi.

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