CAPITOLO SEI

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C’era qualcosa che non mi convinceva.
Stavo guardando il ristorante cominciare a prendere vita, con alcuni tavoli già disposti nella sala, ma c’era comunque qualcosa che non mi piaceva, nonostante avessi disegnato io quella disposizione.
Cominciai a mangiucchiarmi un’unghia – brutto vizio – mentre scrutavo la stanza senza mai distrarmi. Era tutto come avevo immaginato: i tavoli erano eleganti, rotondi e avevo chiesto proprio ad Asia di disegnarli; le sedie erano posizionate proprio come avevo chiesto, esterne in modo che la tovaglia le sfiorasse appena. I colori si sposavano bene tra loro.
Mi passai le mani sul viso e imprecai tra me e me. Stavo andando bene, eravamo già a buon punto, nonostante fossero passate solo tre settimane. Forse il mio unico problema era che in quel periodo ero un po’ distratta. Credevo che evitare di uscire di casa per non incontrare Angelo mi potesse aiutare a non pensarlo più.
Purtroppo mi sbagliavo.
Mi ritrovavo a sperare di vederlo casualmente mentre andavo al lavoro, la mattina; o quando uscivo per incontrare qualche cliente.
Cominciai a pensarlo anche quando dimenticavo di sciacquare il dentifricio dal lavandino. Quante volte me lo faceva notare quando vivevamo insieme; e quante volte lo facevo di proposito proprio per vedere la sua faccia disperata. Non c’era espressione che non amassi in lui, o che non mi facesse tremare le gambe. Non mi ero mai abituata alla sua bellezza, mi stupiva sempre, ogni giorno di più. Era ancora molto bello, con l’unica differenza che io avevo lasciato un ragazzo e mi ero ritrovata davanti un uomo. I suoi lineamenti erano più marcati, più duri e… e io stavo lavorando.
Come potevo sperare di risolvere il problema – qualunque fosse – se la mia mente era completamente occupata da lui?
Ricacciai indietro quei pensieri e mi concentrai di nuovo sulla sala.
<<Ecco cosa c’è che non va>> esclamai ad alta voce, forse troppo alta perché si girarono tutti a guardarmi. In quel momento, comunque, non mi importava, avevo finalmente trovato il problema: la sala era perfetta, ma c’era il tavolo che doveva essere appartato – per garantire un po’ di privacy a chi lo occupava – che rendeva la stanza un po’ meno elegante. Era in fondo alla sala, di fronte all’entrata, con un separé che lo nascondeva parzialmente. Era il punto che non mi andava a genio; messo lì, dietro a tutti gli altri tavoli, era proprio fuori luogo.
<<Antonio, puoi venire un attimo?>> chiamai uno degli operai messi a disposizione da Alphonse Legrand. Era il più simpatico tra quelli presenti e mi teneva spesso compagnia con le sue battute quando mi presentavo al ristorante per vedere se i lavori procedevano bene.
<<Dimmi tutto, Anastasia.>>
Si avvicinò sorridendo e pensai che fosse impossibile non essere di buonumore quando c’era lui intorno.
<<Non mi piace il tavolo appartato messo lì. Nei disegni pensavo che stesse bene, ma vedendolo ho cambiato idea. Ti dispiacerebbe aiutarmi a spostare tutto in quell’angolo?>>
Indicai un angolo a destra dell’entrata occupato solo da una pianta e gli feci un sorriso per non risultare troppo autoritaria. Ero io a dirigere i lavori, ma non mi piaceva dare ordini, soprattutto a qualcuno come Antonio.
Mentre ci mettemmo al lavoro per spostare tutto, mi arrivò un messaggio sul cellulare. Cercai di non sembrare troppo delusa quando lessi il nome di Asia sullo schermo.

-Sono arrivate delle bellissime rose per te. Sono sulla tua scrivania, fortunata stronzetta. Massimo ti vizia ;)

Sorrisi con affetto. Adoravo le sorprese e Massimo lo sapeva. Per questo me le faceva quando meno me l'aspettavo; tipo in giorni normali, come quello.

-Che vuoi che ti dica, sono davvero una stronza fortunata.

La mia risposta non rispecchiava proprio la realtà. Nelle ultime settimane, mi sentivo un po’ meno fortunata del solito.
Passai il resto del pomeriggio ad aiutare al ristorante. Sapevo che sarebbe passato Alphonse Legrand per controllare i lavori, e lo aspettai per scambiare quattro chiacchiere con lui, cercando di capire se fosse soddisfatto del risultato che stavamo raggiungendo.
Fortunatamente ebbi la mia risposta non appena guardai i suoi occhi e li vidi brillare di felicità.
Tornai in ufficio contenta, quasi saltellavo per il sollievo; ancora di più quando vidi le rose sulla mia scrivania. Asia aveva ragione: erano bellissime. Mi avvicinai e le presi in mano per annusarle. Erano blu, le mie preferite.
Mi sedetti sulla sedia dietro alla scrivania e presi il bigliettino, mantenendo per tutto il tempo il sorriso sul volto. Sorriso che si affievolì appena finii di leggere il bigliettino.

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