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Paura.
Tutto quello che potevo sentire era la paura.
So di aver sbagliato, so che lo hai fatto per questo, so di aver ferito i tuoi sentimenti, ma ti prego torna da me.
Ho speso ogni giorno, ora, momento per cercarti, per cercare anche il più piccolo indizio, pista, anche solo avere la speranza che non sia finita, che non sia troppo tardi, che tornerai a stare al mio fianco.
Il Campo si è diviso in tre diverse fazioni per ritrovarti con un costante impegno, ma fin ora non ti ho trovato e un altro pezzo dentro di me è lentamente morto.
Il Campo Giove ha ricorso a ogni mezzo a loro disposizione, ma fin ora brancoliamo nel buio.
Se potessi ritornare indietro mi ucciderei al posto di farlo, ti avrei protetto dai tuoi dolori e non avrei dovuto permettere a nessun ricordo di farti stare ancora male, avrei dovuto semplicemente stringerti, alzarti il mento fino a guardare quegli occhi neri annacquati dalle lacrime, avrei dovuto poggiare le labbra sulle tue e farti capire che adesso c'era una persona pronta ad amarti con tutto se stesso.
Ma adesso è troppo tardi per poter rimediare, ma spero di avere ancora  possibilità di farlo.
I ricordi di quella sera mi trapassavano l'anima e ricordare così perfettamente, il tuo dolore, la mia pelle che pizzicava, il tuo stupore misto a rabbia, e quella porta sbattuta il cui rumore si disperse nella stanza buia a farmi compagnia, mi uccideva senza pietà.
Ero tornato distrutto dall'infermeria, ero stanco e volevo solo stare con te e dormire tra le tue braccia.
Prima però avevo progettato di portarti al lago, un posto che non ami particolarmente, ma era perfetto per quello che dovevo fare ormai da troppo tempo.
La scatolina blu dentro la tesca ormai era troppo pesante e mi implorava di venir fuori.
Ma tu avevi programmato qualcosa di diverso.
Bussai alla porta di mogano nero aspettando che aprissi, ma non successe.
Bussai più forte, eppure niente.
Gridai il tuo nome, e mi rispose il silenzio.
La sfondai e ti trovai disteso in una pozza di sangue, il tuo.
Gridai quando ti vidi ancora cosciente con qualla fottuta lametta in mano.
Ti presi tra le mie braccia sperando di essere arrivato in tempo.
Fasciai le tue ferite con cura e ti diedi dell'ambrosia pregando che riuscissi ancora a pronunciare il mio nome, che riuscissi a dirmi ancora i tuoi ti amo, che mi dicessi il motivo per cui l'avevi fatto, che mi dicessi che non lo avresti più fatto.
Invece sentì solo un "perché l'hai fatto?"
E adesso so che ho asagerato, so che era l'ultima cosa che avrei dovuto fare, eppure lo feci, ti diedi uno schiaffo e senti la mia pella al contatto con la tua bruciare.
Vidi i tuoi occhi sgranarsi per la sorpresa e lo shock, riempirsi di lacrime, ti vidi correre nell'oscurità della notte, e mi sentisti gridare ancora il tuo nome.
Il pensiero di aver potuto evitare tutto questo, di avere avuto la possibilità di cambiare le cose mi toglieva il respiro, il pensiero che sia stata solo colpa mia era come essere già morti, ma costretti a restare in piedi e a continuare a vivere nella speranza di sentirti ancora bussare a quella porta.
Eppure ero ancora lí, ad aspettarti.
Fino a quella sera.
Avevo deciso di uscire, di svuotare la mente, di ignorare il fatto che ormai avevamo fatto tutto quello che potevano, ignorare il fatto che quella scatolina sarebbe rimasta per sempre nel buio cassetto di quel comodino.
Sentì la porta bussare, era notte fonda e sapevo che nessuno avrebbe mai potuto bussare a quell'ora, tranne te.
Sentì i battiti accelerare, gli occhi inumidirsi, i piedi diventare piombo.
Avevo così aspettato quel momento che adesso avevo paura.
Cosa ti avrei detto? Cosa avresti detto?
Cosa avrei fatto? Come avrei reagito?
Decisi di lasciare spazio al cuore e gettare in un'angolo la ragione perché in quel momento, come in qualsiasi momento, avevo solo bisogno di te.
Mi precipitai alla porta e appena la aprì vidi... niente.
Solo l'oscurità della notte e per un'attimo credetti che fosse solo un illusione creata dalla folle voglia di riaverti o forse era stata solo la solitudine che aveva bussato alla porta come una vecchia amica.
Feci per chiuderla quando notai una scatola.
La presi in mano e notai che sembrava una comune scatola da scarpe.
La aprì e all'interno trovai 7 cassette.
Confuso portai la scatola in casa e cercai uno di quei vecchi oggetti che mi aveva regalato mio padre una volta per ascoltarle, per lui tutto aveva un suono migliore se era inciso su cassetta.
Trovato lo strano oggetto e presi la il lato della prima cassetta contrassegnata dal numero uno scritto con uno smalto nero... uno smatlo che mi era familiare in fondo.
Mi infilai le mie cuffie nere e premetti play.

"Ciao, sono Nico, Nico Di Angelo."

-OH MERDA!
Mi tappai la bocca con la mano per lo stupore.
Cosa stava succedendo? E perché avevi avevo inciso delle cassette?
Il cuore si blocco, smisi di respirare e l'ansia prese il possesso di me, ma dovevo sapere.
Mi feci forza cliccando ancora il pulsante.

"Esatto, non smanettate sul... qualunque cosa stiate usando per ascoltare.
Sono io, diretta in stereo.
Nessuna replica... nessun bis e questa volta assolutamente nessuna richiesta.
Mangia qualcosa e mettiti comodo, perché sto per raccontarti la storia della mia vita, anzi più esattamente il motivo per cui è finita.
E sei hai queste cassette vuol dire che sei una delle ragioni"











I disagi del campo mezzosangue Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora