CAPITOLO 5
Non so se vi è mai capitato, ma a me capita molto spesso, soprattutto adesso. Quando ho in mente di fare una cosa, non c'è mondo che casca devo per forza farla. Non riesco proprio a pensare a niente altro e in mente ho solo quello e quello rimane fisso. È da dieci minuti che quadro il cellulare per cercare di farmelo passare, ma non ci riesco e so che l'unico modo per togliermelo dalla testa è portare a termine la ' missione '.
Così mi alzo dal letto con uno scatto per poi dirigermi decisa verso l'armadio. Prendo un paio di pantaloni a tre quarti a vita alta che abbino con dottor Martins, che non mancano mai, bretelle e maglietta nera. Il mio trench verde militare e un cappello a tesa larga abbinato alla parrucca che più mi si addice. Ho sempre creduto che se non fosse per la malattia i miei capelli sarebbero così, lunghi fino a metà schiena, con dei morbidi e naturali boccoli sulle punte.
Poso il tutto sul letto per poi avviarmi verso il bagno per farmi una doccia veloce. Mi lavo i denti per poi posare la parrucca e pettinarla con cura. Mi trucco leggermente con una linea sottile di eyeliner, applico un rossetto rosa poco visibile e un po' di blush per dare leggero colore alle mia guance bianche.
Una volta tornata in camera indosso il tutto per poi afferrare la borsa a tracolla, non dimenticandomi di inserire macchina fotografica e la cosa più importante, il cellulare. Mia madre odia che vado in giro senza di esso, ma la comprendo a pieno, sarei anch'io così se avessi una figlia che rischia di morire da un momento all'altro. Anche se nel posto in cui sto per andare non prende, ma oggi sono positiva e so che non mi succederà nulla.
Quando arrivai a casa, non feci nemmeno in tempo ad aprire la porta che Mamma era già sulla soglia. Non mi diede nemmeno il tempo di salutarla che parlò a raffica
" dove diavolo sei stata, è da un'ora che ti cerco? "sul suo volto era leggibile, l'agitazione, la paura e la rabbia. Di natura ero una che non dava spiegazioni, che non diceva mai cosa faceva, che non rendeva nessuno partecipe tenendosi tutto dentro. Ma da quando ero malata era diverso, dovevo sempre far resoconto a tutti, di tutto e questa cosa non mi stava bene. Capivo che avrei dovuto avvisare che sarei uscita, ma volevo la mia libertà e volevo esserne padrona, non volevo che la malattia mi rendesse schiava degli altri.
" scusa, ero a fare delle foto " le dissi senza guardarla mentre appendevo la mia giacca sull'appendiabiti insieme alla borsa, non prima di essermi messa il telefono in tasca.
" sai che mi devi avvisare ogni volta che esci di casa, vero?" alzai gli occhi al cielo sbuffando, ormai non ne potevo più di questo tipo di situazioni
" e non sbuffare " chiusi gli occhi e mandai giù, non volevo litigare e sapevo che comunque aveva ragione, ma non mi interessava. Le dissi che aveva ragione per poi sparire nella mia camera. Mi spogliai per poi senza curarmi dell'ordine li lanciai in mezzo alla stanza, presi la felpa di Tino e me la misi addosso, mi arrivava letteralmente alle ginocchia ed era abnorme, ma teneva caldo più di mille maglioni.
Mi sdraiai sul letto e presi il portatile, era da un paio di tempo che ci pensavo, da quando la dottoressa Ottavi aveva detto che non c'era più speranza. Avevo deciso di fare un video per le persone che amavo, non ero brava a scrivere e quindi ritengo che un video fosse la cosa giusta. Anche se, non era facile nemmeno così. Perché fino ad inserire foto della mia famiglia con me, a mettere le frasi più belle, che avevano segnato la mia breve esistenza, ero capace. Ma quando si faceva il momento dei saluti, di dire addio, di voler fare qualcosa di epico che rimanesse, di dire grazie nel modo giusto alle persone giuste. Di lasciare il segno in poche parole. Be, quando arrivava quel momento mi perdo in attimi infiniti a fissare lo schermo, pensando e ripensando a cosa dire. Navigavo su internet per cercare informazioni, anche se mi sembrava di barare, usare le frasi degli altri, non era giusto per la mia famiglia. Ma se andava avanti così non avrei mai risolto nulla.
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36 settimane - Be more wild #Wattys2019
RomanceNon ho mai vissuto per me stessa, ed ora che ho imparato a farlo non ho più tempo. Ho diciotto anni e faccio fatica ad accettare quello che mi sta capitando, faccio finta di essere forte, di port superare ed affrontare tutto da sola e che questa co...