11.

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Andava tutto a meraviglia. E con questo intendo proprio a meraviglia.

Avete presente quella sensazione di perenne felicità che ti avvolge come un'aura calda e che ti porti dietro ovunque tu vada?

Esattamente così. Adam ormai passava tutti i giorni a casa nostra, cucinavamo (praticamente solo pizza), alla sera guardavamo film accoccolati sul divano e mangiando le schifezze che lui ci portava a casa (per la gioia di mia madre), facevamo i compiti assieme, uscivamo molte volte di casa dilungandoci in passeggiate interminabili, spesso aggiungendoci un picnic.

Ricordo ancora il primo che Adam ci aveva preparato: quella mattina, a scuola, era arrivato da me correndo, con un sorriso enorme sulle labbra. Mi aveva circondato i fianchi con le braccia e mi aveva sussurrato dolcemente nell'orecchio "Pranzo. Io, te, mamma. Fuori" ancora ansimando dopo lo sforzo. Avevo acconsentito dolcemente, accarezzandogli la testa e sorridendogli amorevolmente, mentre tutti ci guardavano a bocca aperta: era la prima dimostrazione di affetto che davamo "in pubblico".

Mi aveva scoccato un bacio sulla fronte e si era allontanato rapidamente facendomi l'occhiolino, lasciandomi inebetita di fronte all'armadietto, con ancora l'anta spalancata.

Mi sentivo la faccia in fiamme, le farfalle nello stomaco, e probabilmente avevo un sorriso da ebete stampato in faccia. Wow.

Raggiante, chiusi delicatamente l'armadietto e mi avviai in classe con passo leggero, estraendo, nel frattempo il telefono dalla borsa stracolma di libri.

9.07 a: MAMMA

"Tieniti libera per pranzo oggi, io e Adam passiamo a prenderti a casa!"

Mi arrivò subito una risposta che mi fece ridacchiare. Quanto era scema.

9.08 da: MAMMA

"State architettando un omicidio voi due? Non prenderò parte all'occultamento di cadavere, se ve lo state chiedendo!"

9.08 a: MAMMA

"Stai ancora guardando quella serie TV poliziesca, mamma? Nessun omicidio, te l'assicuro. Anche se potrei pensarci, a volte."

Risposi frettolosamente, ormai sull'uscio della porta della classe. Scoccai un'occhiata omicida alla coppia di cheerleader che mi guardava ridacchiando e, alzando gli occhi al cielo, mi diressi al mio posto in seconda fila.

Successe proprio mentre stavo per arrivare a destinazione: una forte spallata mi fece finire contro lo spigolo di un banco, e il contenuto della mia borsa si sparse per l'intero pavimento dell'aula.

Oh Dio, no! I miei quaderni! pensai, tenendomi con la mano il punto dolorante.

"Scusami, non ti avevo proprio vista!" cinguettò amorevolmente Sasha, migliore amica alias "leccapiedi" della capo cheerleader.

E mentre passava avanti senza neanche aiutarmi sibilò "Puttana", mascherando il tutto con una tosse sommessa, per non farsi sentire dal prof.

Mi si inumidirono gli occhi dal dolore fisico e da quello mentale dell'umiliazione. Tutta la classe aveva assistito, nessuno muoveva un muscolo in mio aiuto. Nessuno.

Mi chinai lentamente, con fatica, e iniziai a raccogliere tutto, mentre un paio di lacrime sfuggivano al mio ferreo autocontrollo e iniziavo a singhiozzare sommessamente.

Sentii una mano calda posarsi sulla mia spalla e di colpo mi bloccai alzando la testa. Non credevo che qualcuno, mosso da pietà, mi avrebbe aiutato.

Mi pietrificai sul posto, raggelandomi. "Pericolo" gridava la mia testa. "Spostati di lì!" mi incitava.

"James?" sussurrai inorridita.

Just Pregnant #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora