Vecchie conoscenze

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Il viaggio verso Dartmouth fu stranamente tranquillo. Sherlock, infatti, che di solito non avrebbe esitato a sparare deduzioni a macchinetta su ogni singolo passeggero del treno, era taciturno: non lo avrebbe mai ammesso, ma era rimasto turbato dalla lite con Molly. Forse non avrebbe dovuto risponderle in maniera così schietta riguardo a quel famoso bacio... Ma era stato davvero sincero, alla fine, sulla questione?
In realtà no, dovette intimamente ammettere: ricordava benissimo di averla baciata non perché doveva, ma perché lo voleva. Era stato un impulso più forte di lui.
Forse perché... l'amava?
No... impossibile.
Sherlock si crogiolò in quei cupi pensieri fino all'arrivo, mentre Mary subissava John di domande sul caso Baskerville.

Finalmente arrivarono al Cross Keys Pub, proprio lo stesso dove si erano fermati due anni prima.
-Vedi Mary, là-Sherlock vide il medico indicarle un tavolino,-è  dove Sherlock ha finto di aver fatto una scommessa con me, per farsi dare dettagli sul caso del Mastino da un ragazzo del posto.
-Già... E infatti non ho più rivisto quelle cinquanta sterline, John...-si intromise lui, rivolgendogli una finta occhiataccia, e facendoli ridere entrambi.
Quando entrarono, il proprietario li riconobbe subito, e li accolse con un enorme sorriso.
-Signor Holmes! Dottor Watson! Ma che piacere rivedervi!
-Credo che stavolta ci occorreranno due stanze, invece di una-scherzò il medico, sorridendo, dopo avergli presentato Mary.
Il proprietario sembrò dapprima un po' stupito, poi sorrise e prese le chiavi per entrambi. Sherlock, intanto, si guardava intorno, scrutando il locale, alla ricerca di un qualsiasi dettaglio sospetto. Era improbabile che Moran fosse lì, non era certo uno sprovveduto: ma forse qualcuno degli abitanti della città o dei clienti del pub poteva averlo visto.
-John, tu e Mary andate pure in camera. Io rimarrò un momento qui a fare qualche domanda in giro.
-Sei sicuro di voler restare da solo?-replicò il medico, preoccupato.-E se per caso Moran...
-John, dubito che si sia nascosto proprio in questo locale. E non credo neppure che mi aggredirà saltando fuori da un cassonetto-puntualizzò, ironico, facendolo scoppiare a ridere, suo malgrado.
-Be'... Nel caso, chiamami immediatamente!
-Sarai il primo a saperlo.-Sherlock si unì alla risata, venata però da un sincero affetto: sapeva bene quanto l'amico si preoccupasse per lui; nonostante avesse ormai una moglie e quindi una vita tutta sua, non aveva esitato a correre in suo aiuto.
Mentre i coniugi Watson salivano le scale portando le due valigie, Sherlock ordinò un caffè e si sedette a uno dei tavoli: prima di fare domande, voleva studiare per bene i clienti del locale.

Ma, proprio in quel momento, l'ennesima fitta.
Strinse le labbra e chiuse gli occhi, mentre le tempie prendevano a pulsargli con violenza.
No.
Non adesso!
Devo rimanere concentrato!
Maledetto!!
Esci dalla mia testa!!
Le fitte continuarono, come se ci fosse in corso una vera e propria guerra tra due sue identità diverse. E, in un certo senso, era proprio così.
Gli sembrava quasi di poter vedere, insediata nel suo Palazzo Mentale, una figura sconosciuta ma al tempo stesso orribilmente familiare.
Simile a lui, ma non completamente.
Io sono Khan.
Arrenditi.
Questa è una battaglia che non puoi vincere!
No.
Tu non esisti.
Non sei reale!
Sei solo una falsa personalità creata da un computer!
Vattene!
Io sono migliore.
Tu non vincerai.
Mi riprenderò la mia vita!
BASTA!!!

Con quel grido mentale, Sherlock mise  infine a tacere quella robotica personalità: ma era cosciente di aver vinto solo una battaglia, non la guerra.
Anzi, Khan purtroppo stava riemergendo più forte di prima: stavolta aveva avvertito la sua presenza in modo fin troppo chiaro ... aveva sentito la sua voce nella testa, molto diversa dalla sua. Quel tono glaciale, fatto di odio puro... E quella rabbia, al contrario, come lava incandescente...
Rabbrividì, e chiuse gli occhi, cercando nel suo palazzo mentale una qualsiasi immagine che potesse in qualche modo rasserenarlo, almeno per qualche secondo.
Chissà perché, gli apparve quella di lui e Molly che ballavano al matrimonio di John e si ritrovò, nonostante tutto, a perdersi in quel ricordo piacevole.
Forse, dopotutto, sono davvero...
-... Signor Holmes??
Una voce improvvisa interruppe il flusso dei suoi pensieri: una voce, si rese conto dopo una frazione di secondo, che aveva già sentito...
-Sherlock Holmes??! Non ci posso credere!!
Riaprì gli occhi, e rimase comunque stupito, quando vide sulla soglia del locale nientemeno che Henry Knight.
Il ragazzo corse subito al suo tavolo e gli strinse con vigore la mano, sorridendo.
-Non mi sarei mai aspettato di rivederla!! Si ricorda di me, vero??
Sherlock sollevò un angolo della bocca, ricambiando la stretta.
-Certo che mi ricordo, Henry. Non potrei mai dimenticare il caso in cui era coinvolto un mastino infernale. Ti trovo molto meglio dell'ultima volta.
Il ragazzo ordinò una birra e si sedette, sempre col sorriso sulle labbra: aveva del tutto perso quello sguardo spaventato e l'aria smunta che aveva quando si era recato da lui e John al 221B anni prima.
-Beh, sì. Dopo che lei ha risolto il caso, tutti hanno subito smesso di darmi del pazzo. A volte ho ancora degli incubi, certo... ma va decisamente meglio. Per quello che vale, ci tengo a precisare che non ho mai creduto a tutte quelle fandonie che sono girate su di lei, anche prima che venisse fuori la verità. L'uomo che mi aveva salvato la vita in quel modo non poteva essere un impostore- aggiunse, con gli occhi lucidi. - Non smetteró mai di ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me.
-Non devi ringraziarmi. Ho fatto solo il mio lavoro-replicò il detective, con noncuranza, ma compiaciuto e, dovette intimamente ammettere, anche commosso: dopo il fango lanciato su di lui prima della caduta, era piacevole vedersi di nuovo riconosciuti i suoi meriti ma soprattutto suscitare così tanta riconoscenza.
All'improvviso, un'idea prese forma nella sua mente: gli si era appena presentato il modo perfetto per scoprire qualcosa di più riguardo a Baskerville.
-Henry... visto che ci siamo incontrati, avrei una domanda da farti.
-Chieda pure, signor Holmes. Qualsiasi cosa. Con lei sono in debito-fece subito il ragazzo, ansioso di rendersi utile.

Sherlock si sporse verso di lui, parlando a voce bassa.
-Quando sei venuto a Baker Street, due anni fa, hai detto che tuo padre ti parlava continuamente degli esperimenti di Baskerville.
Henry sorseggiò la sua birra, gli occhi stavolta ridotti a due fessure, la mano stretta a pugno sul tavolo.
-Sì... quel maledetto posto! Avrei voluto trasferirmi solo per non vedermelo più davanti agli occhi. Ma, sa, qui ho vissuto con mio padre, e non me la sento di abbandonarlo...-Sospirò piano, aggrottando poi le sopracciglia.- Ma perché me lo chiede?
-Ti ha mai accennato a esperimenti riguardo alla modifica della personalità? Lavaggio del cervello, chip comportamentali...?
Il ragazzo tacque per un po', con sguardo cupo, mentre il detective tratteneva senza volere il respiro, in attesa della sua risposta.
-Una volta mi fece un nome... Dottor... Hyde, mi pare... diceva che era una specie di sezione super segreta, nota solo a pochissimi nella struttura, rivolta proprio a quel tipo di sperimentazioni. -Henry prese un sorso di birra, accennando un piccolo sorriso.-Mi rimase impresso soprattutto il nome, mi ricordava il romanzo di Stevenson, che mio padre mi leggeva di tanto in tanto. Ovviamente non mi ha mai raccontato altri dettagli... ma se c'è qualcuno che sa qualcosa, è lui. Se posso chiedere... ha forse intenzione di tornarci?-domandò poi, con palese  preoccupazione.
Sherlock bevve un sorso del suo caffè, posando poi con un certo impeto la tazzina sul piattino.
-Penso proprio di sì. Sai...-aggiunse con sarcasmo, le labbra strette.-Devono darmi parecchie spiegazioni.
 

Sherlock Into Darkness -Il ritorno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora