"I don't want to die"

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Moran lo condusse in un'altra stanza dell'ospedale, questa ben illuminata, e dove proprio al centro, circondato da alcuni tavolini dotati di rotelle, carichi di strumenti chirurgici, si trovava un tavolo operatorio, munito però di spesse cinghie di cuoio, e con addirittura una morsa di metallo all'altezza della testa. Era più simile ad un tavolo di tortura di un manicomio, che non di un ospedale. E considerato quello che Moran voleva fargli, era orrendamente perfetto.
Per un istante, la paura si impadronì completamente di Sherlock, che strinse però l'una nell'altra le mani dietro la schiena, per non mostrarne il tremito a Moran.
-Credevo che quel chip fosse un prototipo. Che ce ne fosse solo uno-disse infine, con la voce che tremava appena.
-Aaah... hai parlato con il Dottor Hyde, allora. Molto furbo, Sherlock. Furbo, ma inutile-commentò il cecchino, con maligna soddisfazione.-Sì, il prototipo era effettivamente uno: ma io e Jim abbiamo lavorato a un altro, prima della sua morte. Ti ho impiantato quello perché il nostro non era ancora pronto. Fino ad ora... l'ho ultimato durante i nostri sette mesi insieme.
Moran rise con sarcasmo, mentre
gli mostrava una piccola capsula di metallo.
-Il nostro è decisamente più avanzato: questa volta, neanche la sua rimozione o un trauma potrà farti tornare la memoria. Tu diventerai e rimarrai per sempre Khan. Ora sdraiati: i medici arriveranno a momenti. -Gli puntò nuovamente contro la pistola, indicando il tavolo operatorio con un cenno del capo.-Togliti il cappotto. Tanto non ti servirà più...-aggiunse, con un sorrisetto crudele sulle labbra.

Col cuore che batteva all'impazzata, il detective ubbidì, senza neppure ribattere. Sapeva perfettamente a cosa sarebbe andato incontro, quando aveva accettato lo scambio. Era inutile rimandare l'inevitabile, in qualsiasi modo.
Una volta che si fu disteso sull'asettico tavolo, Moran si affrettò a legarlo strettamente con le cinghie: due all'altezza del petto-dopo avergli ordinato, con un brusco cenno, di tenere le braccia lungo il corpo, così da bloccare anch'esse- e altrettante all'altezza delle caviglie, così strette da impedirgli di muovere un muscolo. Era, in verità, una precauzione inutile; Sherlock non sarebbe fuggito, a prescindere da esse. Ma quella immobilità forzata acuì il terrore che cercava con tutte le sue forze di celare.
Mentre Moran gli stringeva anche il morso attorno alla testa, comprimendogliela dolorosamente all'altezza delle tempie, il detective si ritrovò a fissare il grigio soffitto della stanza, gli occhi pieni di lacrime che faticava sempre più a trattenere, come già gli era accaduto sul tetto del Barts: ma ora non avrebbe potuto eludere la morte.
Stava per morire sul serio, stavolta.
Nessun trucco l'avrebbe salvato.
E non solo perché il chip avrebbe annullato totalmente la sua personalità, senza alcuna possibilità di ritorno.
Ma anche per qualcos'altro.
Ricordò la lettera che aveva scritto al fratello, dove spiegava il piano di Moran-che lui aveva già intuito dalla telefonata-e la sua terribile richiesta alla fine.

«Uccidimi.
Prima che io uccida voi.»

Sperava che suo fratello avrebbe  avuto il coraggio di fare ciò che era necessario.
La paura si stava impossessando di lui sempre di più, nonostante cercasse di scacciarla con tutte le sue forze: non voleva dare al suo aguzzino la soddisfazione di vederlo soccombere al terrore. Chiuse dunque gli occhi, anche solo per sfuggire un momento a quello che stava per accadergli: si ritrovò a vagare nel suo Palazzo Mentale, e a rivivere tutti i ricordi in esso contenuti.
Ognuno portava con sé una valanga di emozioni, quelle stesse emozioni che aveva cercato con tutto sé stesso di rinnegare: la prima volta che lui e John si erano incontrati, il caso del tassista... la scenetta a Buckingham Palace... lui vestito solo con un lenzuolo... il Natale a Baker Street... la prima volta in cui aveva chiesto scusa a qualcuno -proprio a Molly- il matrimonio di John... La chiacchierata con Mary al Cross Keys Pub... Lui, John e Mary che ridevano... insieme.
E tutte quelle emozioni, tutti quei ricordi, si traducevano in un unica frase.
In un'unica e semplice verità.

Sherlock Into Darkness -Il ritorno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora