Giorno 0

374 24 6
                                    

Questo che sto scrivendo è un libro-diario che racconta come sono andate realmente le cose.
Ho già firmato un contratto con un editore per la pubblicazione.
Con questo racconto stravolgerò molte certezze. Lo so.

Il mio nome è Francesco, ho ventisei anni e questa è la storia di come, esattamente 350 giorni fa, ho ucciso un bimbo innocente e l'ho fatta franca.
Vi voglio raccontare tutto dal giorno dell'omicidio, quello che chiamo il giorno zero.
Per farlo però devo forse fare qualche dovuta precisazione, un prequel se vogliamo.

Era tutto premeditato.
Ci tengo a dirlo poiché è il punto focale della questione.
Ho iniziato a pianificarlo poco più di dieci anni fa.
Da solo, da una mia idea e da una mia convinzione.
Ho strutturato il piano e l'ho seguito senza concedermi mai neanche una piccola tregua.
E difatti ha funzionato.
Vi parlerò del piano nel corso di questa storia.

Io sono nato, cresciuto e risiedo a Roma, da sempre e per sempre.
Questa città mi ha tolto e dato tutto.
Mi ha stregato nel cattivo senso del termine.
Per questo decisi che se la cosa doveva essere fatta, e doveva essere fatta, l'avrei sicuramente fatta qui, nella capitale.
L'omicidio si svolse in un grande appartamento in zona Eur.
Io ero lì a fare da babysitter ai miei vicini.
Ci scambiavamo spesso favori; nonostante la mia giovane età hanno sempre tutti avuto fiducia di me al pari di un adulto ultra-quarantenne padre di famiglia.

Ero nella loro casa e sapevo che era arrivato il momento.
Anni di schemi mentali, di post sui social, di apparenza e di duro lavoro mi avevano portato lì.
Davanti a me i due piccoli figli di Giovanni, il mio vicino, giocavano alla Playstation.
Jo, un bambino vivace di otto anni era seduto per terra e giocava con estrema innata tranquillità. Giocavano a Fifa. Jo stava vincendo con naturalezza e spocchia.
Mi piaceva Jo.
Mattia, sei anni, era invece sul divano e si agitava.
Sbraitava, prendeva goal e urlava a voce alta.

Io ero dietro di loro, seduto su uno sgabello del tavolo a isola della cucina.
Li guardavo e sapevo di essere pronto.

Fu così che uccisi il piccolo Mattia.
Non è mio costume essere macabro, anche se l'argomento lo richiederebbe.
Non vi dirò come ho fatto, nessun dettaglio verrà inserito in questo mio racconto.

Vi dirò soltanto che non c'è stato spargimento di sangue e che è la cosa stata veloce ma non abbastanza per permettere a Jo di girarsi e accorgersi del gesto.
Jo doveva essere il mio testimone.
Jo divenne a tutti gli effetti il mio testimone.
Jo vide morire sotto i suoi stessi occhi il suo fratello minore.

Non provai, ovviamente, gioia nel farlo. Ma andava fatto.
Mattia non aveva colpe, era solo nato nella casa sbagliata nell'anno sbagliato.
Se Jo fosse stato il più piccolo dei due ora Mattia sarebbe vivo.
Ma così non fu.

Dopo il fatto mi fermai.
Jo urlava con tale forza che non tratteneva la saliva dalla bocca.
Io ero immobile.
Jo mi picchiava con tutta la potenza che un bambino di otto anni può sprigionare e vi posso assicurare che non è poca.
Nella disperazione siamo tutti più forti.

Presi il cellulare e continuai indefesso il mio piano.
Scansando Jo con una mano, la mia corporatura allenata e il mio fisico longilineo mi permettevano di tenere lontano il fratello reduce con un solo braccio.
Con l'altra mano scrissi subito un Tweet:  
"Oggi è morto un bimbo davanti ai miei occhi. #Scosso"

Presi uno sgabello, lo afferrai e, prendendo profondi respiri, mi piegai su me stesso con la faccia sul sedile.
Iniziai a piangere.
Non era una recita, giuro.
Ero davvero scosso.
Fortuna voleva però che quel gesto e quella disperazione erano richiesti dal copione.

È molto facile piangere per finta quando ti viene da piangere sul serio.

Quel giorno finì lì, così. Era mezzanotte.

Il giorno 1, forse il più duro, stava per iniziare.


Come ho ucciso un bimbo e l'ho fatta francaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora