Eravamo tutti lì: io nel mio stato catatonico, mamma, papà e Mirta.
Ci eravamo riuniti per vedere la registrazione dell'intervista che era appena andata in onda, erano le 11 di questa domenica così particolare.
Sembrava una piccola riunione, come amavamo farne un tempo.
Mia mamma che cucinava per tutti il piatto che le riusciva meglio, le linguine limone e zenzero, mio padre che faceva battute da programmatore che solo io capivo e Mirta che sfoggiava qualche abito inutilmente costoso e chiaramente fuori luogo per un pranzo in famiglia.
Non mi mancavano quei giorni, preferisco di gran lunga questa domenica.
Almeno avevo uno scopo, seppur macabro.
Lo scopo del giorno era creare dubbi sul fatto che forse non ero stato io a compiere l'omicidio.
I dubbi arrivarono.
Non vi racconto l'intervista, potete immaginare come sia andata, fra lacrime e colpi di scena; anzi potete sicuramente trovarla ancora su youtube.
Vi racconto però quello che successe dopo.
Per prima cosa arrivarono chiamate.
Chiamate di parenti che con la scusa di sentire come stavo ficcavano il naso nella questione, quasi alla ricerca di una frase liberatoria da parte di mamma o papà quale:- Anche noi avremmo dubitato, non c'è problema, vi perdoniamo.
Chiamate di altre emittenti che ci chiedevano se avevamo altri video.
Chiamate di minacce per ciò che avevamo fatto, dare la colpa di un omicidio ad un bambino di otto anni.
Voglio ripeterlo ancora una volta perché può sembrare, nel mio modo di scrivere forse insensibile, una cosa da niente ma non lo è.
Avevamo appena dichiarato al mondo che ad uccidere Mattia forse non ero stato io ma un bimbo di otto anni.
Suo fratello maggiore.
Il rinculo di questo colpo stava scuotendo tutto il palazzo.
Ci arrivarono minacce.
Ci arrivarono richieste da parte dei vicini di traslocare.
Ci arrivarono però anche messaggi di cordoglio e di speranza.
Su internet stava iniziando la bufera.
Stavano diventando virali in un attimo due hashtag: #GiustiziaPerMattia e #FrancescoLibero.
Due hashtag non estremamente orecchiabili e il secondo non era neanche corretto: non ero di certo dietro nessuna sbarra.
Anzi, ora più che mai, l'indagine preliminare avrebbe preso una strana piega.
Prima l'indagine era: cerchiamo la prova che incastri Francesco.
Ora l'indagine, anche se magari non ufficialmente ma di sicuro ufficiosamente, era diventata: cerchiamo la prova che incastri Francesco.
Sì, lo so, è la stessa frase ma con due sfumature molto diverse.
Ora gli inquirenti avevano molto più a cuore la questione, l'avevano quasi presa sul personale.
La loro mano era stata forzata e ora tutto l'ammasso di prove inutili riguardo la mia presenza sul luogo del diletto (DNA, impronte per la casa, testimonianze) avrebbero dovuto lasciar spazio a quello che sarebbe diventato l'indizio più importante: segni e impronte sul collo di Mattia.
Finora non si era ancora saputo nulla al riguardo.
Avevano trovato le mie impronte?
C'erano segni di lotta sul piccolo Mattia o magari sulle mie mani che erano state controllate e analizzate quando ero in ospedale?
Ora queste domande aumentavano di importanza col passare dei minuti.
Non fraintendetemi: per gli inquirenti queste domande erano sempre state fondamentali e i risultati esatti ci avrebbero messo un po' ad arrivare.
Adesso però era cambiata la percezione: prima non c'era fretta perché il colpevole era immobile a casa in attesa della ghigliottina.
Ora tutti volevano sapere e tutti avevano, in modi sia velati che diretti, iniziato a fare pressioni.
Chi avrebbe fatto prima?
Il GIP con i risultati forensi?
Il piccolo Jo avrebbe rotto il silenzio?
Oppure il mostro Francesco avrebbe finalmente preso parte alla sua stessa difesa?
Nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto.
Nessuno tranne me.
Era arrivato il momento di procedere verso i miei prossimi passi del mio cammino verso l'assoluzione.
Mamma e Papà uscirono per fare la spesa e così rimasi da solo con Mirta che si mise vicino a me.
Mi chiese se volevo qualcosa, nel suo vacuo tentativo di farmi parlare.
Si arrese ben presto e si mise al cellulare nella poltrona accanto alla mia.
Non era ancora il momento di parlare. Era troppo presto e troppo in concomitanza con i fatti che mi vedevano leggermente in vantaggio.
Sarebbe sembrato quantomeno sospetto.
No, sapevo come giocarmela ma avevo comunque bisogno di stare da solo col tablet.
La carta pipì addosso funzionava con mio padre, non avrebbe funzionato con Mirta.
Avevo però un'altra carta con Mirta.
Decisi che potevo muovermi un pochino e misi le mani sullo stomaco.
Mi piegai leggermente su me stesso con la testa che scendeva verso le ginocchia.
Mirta si accorse subito e cominciò ad accarezzarmi.
Poi avvicinò l'orecchio alla pancia e capì che la mia era fame.
Non avevo neanche bisogno di fingere: per mantenere la parte avevo saltato tanti pasti.
Avevo realmente fame.
Mirta mi baciò sulla bocca e si fiondò in cucina.
Avevo ottenuto libertà ed un pasto.
Ora non mi rimaneva che entrare in uno dei miei account finti su Facebook.
Dovevo aprire un gruppo che sapevo avrebbe avuto seguito.
Avevo già una lista di persone da invitare e avevo caricato su una PostePay intestata ad un prestanome i soldi per la sponsorizzazione su Facebook.
La PostePay era di sicuro la scelta migliore: la carta meno sicura sul web e meno rintracciabile.
Il gruppo che stavo per aprire si chiamava Giustizia per Mattia.
L'evento che stavo per pubblicizzare, facendolo apparire sulle bacheche di chiunque abbia almeno una volta usato quell'hashtag, recitava così:È arrivato il momento di far sentire la nostra voce.
Organizziamo una fiaccolata per Mattia.
Francesco il babykiller non può passarla liscia.
L'evento era segnato per la sera del giorno dopo e avevo già invitato centinaia di contatti.
L'indirizzo per il ritrovo era esattamente sotto casa mia.
Le poche centinaia di inviti diventarono in poche ore decine di migliaia.
Nessuno, come previsto, si chiese perché la fiaccolata era stata organizzata sotto casa mia e non sotto quella di Mattia.
I grossi gruppi su Facebook sono così malleabili.
Ad ogni modo l'indomani avrei avuto una piccola orda feroce di persone sotto casa.
Il tutto a mio vantaggio, fidatevi.
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Come ho ucciso un bimbo e l'ho fatta franca
Tajemnica / ThrillerVi racconto la mia storia, di come un giorno ho ucciso un bambino di sei anni e il mondo mi ha assolto.