Giorno 7

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Il settimo giorno lo passai quasi interamente con mio padre.
Papà, che di nome fa Robert, è per metà di origine australiana. 
In realtà non è mai stato in Australia, mio nonno era di Sidney.
Non credo gli sia mai realmente interessato andarci, stava bene qui.
Questo particolare riguardo mio padre non l'ho mai sopportato.
Avere un biglietto di sola andata via di qui e non usarlo.
Imperdonabile.
Certo, avesse agito così io non sarei nato; forse sarebbe stato meglio così per tante persone, direte voi.
E invece sono qui a disprezzare un uomo che stimo.
Amore e odio.
Gelosia per la sua bravura come programmatore, molto più elevata della mia, e rabbia per l'utilizzo che ne ha fatto negli anni.
Comunque quantomeno è stata una sua scelta, magari non la condivido, ma è stata autonoma.
Il mondo è pieno di storie senza bivi, di strade dritte che portano a finali pilotati.
Il piccolo Mattia ne è un esempio.
Mia sorella Gioia ne è un altro.
Io, invece, sono l'esempio della moltitudine di incroci che ho dovuto attraversare.
Ho sempre scelto da me la mia strada, anche magari con un po' di fortuna.

Ad ogni modo, sto divagando: ero a casa con mio padre.
Mamma e Mirta erano chissà dove a fare le paladine.
Io avrei tanto voluto essere da solo ma non riuscivo a trovare il modo di cacciare mio padre che aveva chiesto dei giorni di permesso a lavoro proprio per stare con me.
Pensavo di avere più resistenza verso la curiosità che mi voleva morto sotto il suo peso.
Curiosità riguardo alle notizie sul mio conto, ai blog, ai social.
Volevo sapere cosa si urlava per le strade fatte di fibra e rame.
Fu allora che accadde.
Mio padre si mise alla TV e pensò che forse ero più forte di quello che Mamma credeva.
Mise un telegiornale, poi un altro, poi un altro ancora.
Mi rese partecipe della mia stessa vita.

Ad oggi ancora non so se l'ha fatto per spronarmi, per aiutarmi o per farmi magari scoppiare in pianto.
Forse aveva dei dubbi.
Forse era anche lui solo annoiato.
Non lo so.
Di sicuro, dopo l'uscita di questo libro, non verrà in carcere a trovarmi per spiegarsi.
Non penso verrà nessuno a trovarmi.
Ho deciso io di prendere questa svolta, è stata una mia decisione in uno dei miei tanti bivi.

Comunque questo era il resoconto:
Canale 5 mi etichettava come mostro.
Rai 1 e Rai 2 dicevano le indagini erano in corso e che il piccolo Jo era ancora sotto shock.
SkyTg24 si è occupato della mia notizia per poco più di cinque minuti dicendo in maniera asettica che gli inquirenti non escludevano nessuna pista ma che le prove erano schiaccianti.
Prove che però non venivano mai menzionate.
Rete4 mi fece il favore più grande.
Nel loro modo assurdo di fare giornalismo, ovvero puntando tutto sulle sensazioni senza badare alla vera notizia, iniziarono a leggere estratti dei social collegati alla mia storia.
Quello che in pratica volevo fare io ma non potevo.

Sulla mia bacheca, c'erano pochissimi messaggi e quasi tutti erano insulti, o chiamiamoli tali per amore della semplificazione.
Mia madre si era prodigata a bloccare i messaggi sul mio diario, quindi la mole era molto più ridotta di quanto ci si possa aspettare.
Sui social in generale c'era molta agitazione.
Mamme spaventate riguardo la storia di un babysitter killer.
Giovani che si distaccavano dal mio gesto pronunciando parole vuote e mettendo foto profilo con un piccolo fiocco azzurro per ricordare Mattia.
E infine c'era un piccolo sprazzo di speranza: alcuni gruppi che volevano la verità e che non mi consideravano ancora colpevole.
Era su loro che bisognava puntare.
Piccoli gruppi dissidenti che potevano esplodere da un momento all'altro.
In genere erano i gruppi che facevano partire piccole o grandi bufale.
Alcune smentite poche ore dopo, altre negli anni avrebbero echeggiato fino a diventare un pericolo mediatico.
Non so se vi ricordate la storia dei No-Vax.
Ecco, erano loro il mio target di riferimento.
La mia salvezza.
Il mio gruppo di controllo con cui misurare e cambiare la società, prima in peggio e poi in meglio.
Perché oggi di No-Vax non si sente più parlare come qualche anno fa.

Io puntavo a creare dubbi per poi scioglierli per sempre nell'acido internettiano.

La visione del mio quadro era più completa.

Papà spense la TV e si mise davanti a me, in cerca di una qualsiasi emozione.
Dopo poco rinunciò e andò a fumarsi una sigaretta nel balconcino.
Non lo vedevo fumare da dodici anni.

Poche ore dopo entrarono Mamma e Mirta in casa con un sorriso di soddisfazione che durò giusto il tempo di vedermi sulla poltrona.
Avevano ottenuto qualcosa.
Mirta mi si avvicinò e mi disse:
- Abbiamo una intervista dalla D'Urso. Andremo a peronare la tua causa.

Mirta non era cambiata. Aveva sicuramente già un abito Luis Vuitton pronto per l'occasione.
La odiavo, anche se stava facendo il mio gioco.

- Domani sera andremo a registrare l'intervista. Quanto vorrei averti lì con noi a dichiarare la tua innocenza. Faremo del nostro meglio.

Mamma intanto discuteva con Papà.
Papà non era contento, ma non protestò moltissimo.
Si oppose alla cosa anche nel periodo della tragedia di mia sorella e non ottenne nulla.
Era stanco di lottare, si vedeva chiaramente.
Fosse stato per il suo amore per l'inerzia oggi sarei in carcere a scrivere questo libro.

Ora dovevo solo consegnare il primo proiettile d'argento a Mirta, prima della registrazione.

Uno dei TG aveva dichiarato che gli inquirenti non erano ancora riusciti ad entrare nei miei account e stavano aspettando l'ordinanza del GIP per richiedere un aiuto informatico ufficiale.
Dicevano sarebbe stata questione di giorni.
Dovevo muovermi.

Aspettai di rimanere di nuovo solo con Papà, cosa che avvenne presto poiché Mirta e Mamma dovevano studiare le domande preparate dai redattori della D'Urso.

A quel punto dovevo rimanere realmente da solo, anche per pochi minuti.
Vedevo il tablet di Papà sul tavolo.
Avevo solo un modo per guadagnarmi pochi attimi di libertà.
Mi feci la pipì addosso.
Papà ci mise un po' ad accorgersi ma alla fine se ne accorse e, preso dal panico, scappò in bagno a cercare qualcosa per tamponare.
La sua scarsa conoscenza delle cose di casa quali ubicazione degli asciugamani, dei prodotti per la pulizia e similari mi aveva concesso più del necessario.

Afferrai il tablet e mi loggai su Google Foto con il  mio account.
Mamma e Mirta avevano pensato a cambiare solo la password di Facebook, su Google ancora non erano arrivate.
Fortuna che Google negli anni si è sempre di più distinto nella protezione dell'account.
Ora arrivavano questi splendidi messaggi ancora più chiari di prima, tipo: "Qualcuno sta provando ad entrare nel tuo Google Foto, sei tu?"

Da lì potevi tranquillizzare Google dicendo che eri tu, oppure bloccare l'account, magari cambiando password.
Questo messaggio sarebbe apparso come notifica indovinate un po' dove?
Sul tablet di mia madre.
Lo scopo era farle credere che il GIP aveva finalmente dato il via libera all'ingresso dell'account.
Non ne potevano essere sicure, ovviamente, ma il solo fatto che qualcuno stava provando a vedere le mie foto e miei video salvati sul cloud voleva dire che quelle foto e qui video erano di interesse.

E lo erano.
Mi scollegai alla velocità della luce e tornai sulla poltrona, sempre zuppa di pipì.
Papà tornò con tutto il necessario per cambiarmi.
Vi risparmio i dettagli.

Fece comunque un ottimo lavoro di pulizia, al punto che, forse complice anche la situazione pesante che vivevamo, Mamma al suo rientro non si accorse di nulla.

Mia madre entrò con il tablet in mano e andò da mio padre.
Parlottarono un po' e poi si avvicinarono tutti e due con dolcezza.
Papà, che finora forse aveva nutrito dubbi, mi avvicinò il tablet che stava riproducendo un video da me ripreso e mi chiese con una voce stranamente bassa e pacata:

- È questo che è successo allora? Ti prego, rispondi. È così che è andata?





Come ho ucciso un bimbo e l'ho fatta francaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora