Il nostro sguardo proibito

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Il frastuono della guerra rimbomba sulle pareti stordendoci tutti, mentre dietro di me e Jasper il resto del gruppo esce dalla stanza lentamente. Varcano la porta timorosi, premendosi con forza le mani sulle orecchie, con sguardo atterrito e truce. Con loro c'è anche Francesca, sconvolta. Mi volto per un secondo, velocemente, per guardarla, consapevole che non dovrei. Lei riceve il mio sguardo sul suo viso e, di scatto, lo volta da un' altra parte.

Tra l'infinità di cose terribili che stanno accadendo proprio adesso, il rifiuto dei suoi occhi di incontrare i miei è senza dubbio il colpo peggiore. Il perfetto, orribile, incisivo colpo. Non è il momento giusto per questo, eppure tanti sensi di colpa quanti i proiettili che ci sparano contro là fuori, stanno ribollendo dentro di me, facendomi sentire insignificante più di quanto già io non sia. Mi sento come sgretolare.

Stanno tutti fermi, schiacciati l'uno sull'altra come una truppa di soldati, qualche passo dietro di me. Mi giro verso di loro, aspettando che qualcuno faccia o dica qualcosa, non ne posso più di questo frastuono. Ma nessuno muove un muscolo. E la cosa più sbalorditiva è che tutti mi fissano, come fossero loro ad aspettare una mia decisione. <<Dove sono tuo padre e l'altro?>> esclama Erik all'improvviso. I miei occhi, fulminei, partono alla loro ricerca, ma non ci sono. Me ne accorgo solo adesso. <<Devono essere nella cabina di pilotaggio.>> penso a voce alta, assalito dalla preoccupazione. Christine e Jasper mi vengono vicini, e insieme corriamo verso la porticina quasi mimetica che sta nell'angolino, accanto alla seconda parete di vetro e subito dietro alla poltrone dove prima sedeva mio padre. La spalanchiamo con decisione mentre il resto del gruppo ci raggiunge, teso. Mio padre e Davide si girano di scatto verso di noi. I loro sguardi sono sinceramente e profondamente scavati dal panico. Davide è tutto rosso in viso e sembra sul punto di scoppiare a piangere. Qualcuno dietro di me abbozza una parola. Ma un grande sobbalzo improvviso ci fa schizzare i cuori fuori dalle gole.

<<Maledizione!>> grida mio padre picchiando forte un pugno sul controller. <<Ci hanno colpito le eliche!>>. Immediatamente la strana forma esterna di questo jet mi ritorna alla mente e capisco la gravità della cosa. Molto probabilmente quelle sono l'unica cosa che ci tiene in aria. Conscio di questo, con aria sinistra, volto lo sguardo verso Francesca, stando attento perché lei non se ne accorga. Sono queste piccole cose che confermano e riconfermano che siamo impossibili. Il fatto che io cerchi di non farmi scoprire, come un ladro che si intrufola furtivamente in una casa per derubarla. E'possibile avere bisogno dell'impossibile? Ho bisogno di lei. E' accanto a Christine, si tengono per mano, mentre lei, con quella libera si tappa la bocca. Lo fa'sempre quando ha paura o è in pericolo. Adorare tutti i dettagli, persino i più piccoli e insignificanti di una persona, come ad esempio il gesto che fa' quando ha paura, è ridicolo? Devo smetterla di perdermi per questo adesso, non faccio altro che peggiorare le cose. Come una secchiata d'acqua gelida inaspettata, lei incontra il mio sguardo. Percepisco il suo desiderio di distogliere i suoi occhi dai miei, ma non ci riesce, non adesso, perché vuole restare fissa a guardarmi tanto quanto non lo vuole. Così si strizza gli occhi lucidi di paura e lascia che essi si facciano rossi e pieni di fatica. Mi odia, sento il suo odio su di me. Il problema è che sento anche il suo amore e il suo patetico tentativo di reprimerlo. Non si può reprimere ciò che non ha limiti. Vorrei solo andare a stringerla forte tra le mie braccia. Il pensiero della nostra pelle che si sfiora mi fa morire, mi fa piangere.

Un altro forte sobbalzo, poi un altro, tutti cominciano a gridare. Non io. Io resto a guardarla, col cuore in gola. Le luci tentennano. Mio padre impreca contro la visiera in vetro di fronte a lui, ci sono troppi eliveivoli nemici, e sono tutti molto più armati di quanto questo jet non sia. Un ultimo scossone e la sensazione del vuoto ci invade lo stomaco. Il get sta cadendo giù. Prima di colpo, velocemente, poi sempre più lentamente. Mio padre ai comandi deve star facendo di tutto per continuare a gestire le eliche, cerca di salvarci la vita rimediando un atterraggio di fortuna. Mi sforzo di non lasciarmi andare anche se è tutto terribile, di nuovo. Ho imparato che è in momenti come questi che si deve mantenere la calma. Mi incammino con fare deciso verso il divano e la poltrona, devo allontanarmi da Francesca o perdo il controllo, lei è la mia causa scatenante, lei mi agita e mi calma, mi ripristina con un bacio ma mi uccide con uno sguardo. E adesso niente ci è concesso, non lo era neanche prima, ma adesso è tutto dannatamente diverso, è tutto più complicato e irrealizzabile. Sto pensando di nuovo a lungo termine, guardo al domani, senza mai ricordarmi che potrei essere morto tra qualche ora.

STORIA DI UN PECCATODove le storie prendono vita. Scoprilo ora