L'armadio

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<<Zio.>> mormoro fissandolo quasi intimorito dalla sua reazione.

Lui percepisce il suono della mia voce e si limita ad aprire leggermente i suoi occhi, ma non cambia posizione e continua ad inquietarmi sembrando una statua di pietra o un pipistrello nero.

Capisco che se non smuovo la situazione non concludo niente, quindi prendo una boccata d'aria e assumo un'espressione severa.

<<Non costringermi ad usare le maniere forti.>> le sue agghiaccianti e sinistre risate pervadono nella stanza facendomi venire la pelle d'oca. Lo ignoro, non intendo dimostrargli quanto mi disturbino i suoi comportamenti, come dire, disumani. <<Adesso, una volta per tutte.>> continuo, ma mi interrompo subito dopo, nel bel mezzo della frase, accorgendomi che non so bene come pronunciare la domanda che voglio fargli. Devo mescolare le milioni di domande che ci sono ora nella mia mente e ridurle ad una sola.

<<La cura.>> esce dalla mia bocca involontariamente in un sussurro, che non ha un esatto accento, ne un tono. E' semplicemente il riflesso sonoro di quello che è uno dei più importanti e disturbanti misteri che hanno tenuto occupata la mia mente negli ultimi giorni da quando è successo che ho drogato mio zio in camera mia per andare a contaminare l'acqua del terzo piano. E' stato in quel caso che ho ascoltato per la prima volta "La  Cura". I miei occhi allibiti e agghiacciati dalla mia stessa domanda.

Non era mia intenzione chiedere prima di tutto il resto de "La Cura" ma è successo senza che io potessi prevederlo, senza che io potessi controllarlo. 

Ritrovo il mio stupore nel suo sussulto, anche se il suo non è propriamente un sussulto, è più un urlo di terrore, anche se soffocato come il respiro sotto ad un cuscino che ti schiacciano in faccia con forza, intenzionati ad ucciderti. Se prima i suoi occhi erano socchiusi in un'evanescente fessura ora sono spaventosamente aperti. E preoccupati. Rossi nel loro contorno, neri come pece dentro la pupilla. Apparentemente morti, soffocati, come se non potessero più respirare anche loro. Che razza di mistero ruota intorno a quella canzone che ha un effetto così devastante sia su di me che su Francesca? Resto li, fisso immobile. Il mio sguardo sopra di lui. E' un corpo in agonia, è una voce spezzata che non parla, solo si lamenta. E' una reliquia e tomba di segreti, è il male fatto uomo ma adesso piange, o così sembra. Non lo riconosco, non l'ho mai riconosciuto. 

 <<Perché!>> scoppio pretendendo una sua risposta. Passano i secondi e lui non sussurra parola, solo si agita sempre più, come se stessi dissezionando il suo intestino senza anestesia per estrarre dalle sue viscere il segreto che ruota intorno a quella canzone, il segreto che ruoto attorno a me, a tutto questo.  Scatto in piedi spingendo la sedia in dietro con violenza, facendola strisciare sul pavimento. <<Dimmi perché quella fottuta canzone ha uno strano effetto su di me>> esito un po' <<e anche su di Francesca.>> continuo annerendo il mio sguardo attimo dopo attimo sempre più intensamente. Ora sto giocando con le carte scoperte, mio zio sa che io e Francesca ci siamo visti e anche più di una volta, ora. Lui allora sembra subire un colpo decisivo, finale, folgorante. Sente le mie parole e come fossero proiettili sparati nel suo petto, incassa il colpo senza pretesa alcuna di sopravvivenza: lascia penzolare giù la sua faccia e subito dopo tante piccole lacrime. Inizia a singhiozzare, disperato e malinconico. Per cosa? Tutto questo per cosa? Solo per avuto che io e Francesca ci amiamo?

 Mi avvicino a lui stressato dal suo comportamento che non fa altro se non aumentare la mia sete di conoscenza. Gli strappo la benda che lo imbavaglia facendolo saltare al mio tocco percosso dalla scossa di paura, o di qualcos'altro. Ma torna subito a singhiozzare profondamente. E continua così per molto ancora finchè io, per l'esasperazione, non tento di strapparmi i capelli. <<Si può sapere perché cazzo!?>> mi interrompo torturato dal miscuglio di sensazioni devastanti che percuotono le mie interiora e in uno scatto di ira e violenza porto la mano sinistra, serrata in un pugno, a comprimere la mia bocca chiusa mentre mi giro verso la porta, dando le spalle a mio zio. Non ce la faccio. Sono allo stremo della sopportazione. Ci sono solo due strade ora, o faccio del male fisico a lui, o distruggo tutto. Nell'arco di un'ora stanno succedendo tutte le cose non sono mai successe in diciassette anni di vita. Io che vedo due ragazze, io che trovo Francesca, poi ci faccio sesso, cado nei peccati più neri per lei, ma poi la perdo, Chiara che ci sguinzaglia contro le guardie, io che sto ufficialmente per intrattenere la mia prima e vera amicizia con un mio coetaneo, Jasper, e in fine io, che sto per cavare via dalla bocca di mio zio tutte le risposte alle mie domande. E' devastante in una maniera che non si può precisamente spiegare. La mia costola e il suo dolore passano in secondo piano tanto è il tormento interno dell'anima, adesso. 

STORIA DI UN PECCATODove le storie prendono vita. Scoprilo ora