2. Capitolo

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"Rosso tra le fronde"



Trascorse molto tempo da quel giorno, le stagioni scivolarono veloci come fulmini che cadevano al suolo nelle notti di tempesta, mentre la natura moriva e rinasceva in un circolo senza fine di cui ero spettatore. Molto lentamente il vuoto in quella radura maledetta minacciava di allargarsi sempre di più. Lo sentivo ogni notte pulsare minaccioso nelle tenebre. Eravamo impotenti purtroppo, nulla di ciò che provammo funzionò, ma questo non bastò ad abbattermi.

Non avrei mai perdonato colui che aveva fatto una cosa simile alla mia casa. Non avevo intenzione di riservagli nessuna forma di pietà semmai l'avessi incrociato sul mio cammino.

Mi fermai per un istante a raccogliere i pensieri, mentre una fredda brezza mi sfiorava le guance. Il rumore dei rami e dell'erba scossa dal vento non erano l'unico suono che riempiva la foresta quella notte. Se ascoltavo abbastanza attentamente, potevo per fino sentire lo zampettio degli insetti che attraversavano lentamente il suolo.

Ero uscito in perlustrazione e stavo setacciando ogni angolo della foresta in attesa di una preda che soddisfacesse i miei bisogni. Ma, in caso non vi fosse entrato nessuno, sarei dovuto uscire per attirarne una nei miei domini. Non lo facevo così spesso come molti credevano, la società "moderna" non era davvero di mio gradimento, preferivo mantenere il più possibile le distanze da essa, ma a volte non avevo altra scelta.

Ripresi ad arrampicarmi su per il tronco di un grosso albero, facendo leva con i viticci color pece sui rami per salire più in fretta mentre quelli si arrotolavano e srotolavano con scioltezza sulla superficie ruvida, scivolando con eleganza finché non raggiunsi la cima.

I raggi lunari mi sfiorarono il viso e parte dei vestiti, illuminando la pelle candida che di lì a poco si sarebbe macchiata di rosso. C'era una densa nebbia che copriva quasi tutta la foresta quella notte ma, piuttosto che un problema, per me era un vantaggio. Ci vedevo alla perfezione anche con quella bianca coltre, individuando facilmente qualsiasi fonte di calore vivo che si fosse azzardata a vagare per quelle terre a quell'ora e avevo il grosso vantaggio di poter girare indisturbato. Il fattore sorpresa non era una cosa da sottovalutare. Ma, con mio grande dispiacere, per il momento non c'era nessuno a parte per un piccolo coniglio che aveva tirato il muso qualche centimetro fuori dalla tana, per poi scomparire nuovamente in quel buco. Mi appoggiai contro il tronco dell'albero con un'evidente senso di delusione che aleggiava nel mio petto.

Era una serata fin troppo tranquilla. Che cosa non avrei dato per movimentarla un po' con del sano terrore umano.

Un verso di frustrazione abbandonò la mia bocca sigillata, facendomi scuotere la testa, mentre il mio stomaco aveva iniziato a gorgogliare silenziosamente. Mancava poco e i morsi della fame si sarebbero fatti sentire con forza, rischiando di perdere lucidità mentale. Erano ancora leggeri, ma sapevo che di lì a poco sarebbero diventati via via più insistenti fino a minacciare il mio senno.

E non volevo che mi capitasse una cosa simile. Uno slender affamato non era mai una cosa buona, da nessun punto di vista possibile o da me immaginabile. Mi spostai veloce, scattando di albero in albero, sperando che sarei stato più fortunato se mi fossi spinto un po' più in là.

Dopo una mezz'ora all'incirca che vagavo nel mio territorio, diretto verso il suo limitare e deciso ad uscire dopo tanti mesi per il bisogno crescente, sentii qualcosa che ne stava varcando la soglia. Una luce oscura illuminò il mio cuore di scatto, rinvigorito da quella nuova speranza. Scivolai fulmineo, mantenendo la mia posizione sulla cima degli alberi per osservare dalla distanza il nostro ospite.

Faceless (In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora