10. Capitolo

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"L'altra metà"


Il battente rumore dell'acqua risuonava nelle tenebre, picchiettando contro i vetri oscurati, scrosciante in quegli attimi di eterna quiete. Ben presto si tramutò in un suono indistinto tra le ombre della notte.

Un pensiero, acuto come una spina, si infilò nella mente catturata dal sonno, ultimo sprazzo di una lucidità che si andava perdendo.

C'era qualcuno tra gli alberi. Era lì, ma allo stesso tempo non c'era.

Un miraggio? Forse. Sarebbe stato molto più semplice.

La coscienza mi parlava ancora, un delicato sussurro nelle tenebre, agitandosi invano prima che ogni cosa si tramutasse in silenzio impenetrabile.

Il buio mi aveva sempre dato pace.

Nascosto tra le ombre di qualche grande albero proteso verso il cielo, osservavo ciò che era lontano da me, guardando il mondo che viveva al di fuori di quella profonda coltre nera.

Poi, l'illusione di un vento fresco sfiorò con lentezza la pelle della mia guancia bianca.

Strano.

"Da quanto ha smesso di piovere? Sto dormendo?"

Mi si schiarì la vista, scorgendo all'improvviso un cielo pomeridiano incorniciato dalle fronde rosse degli alberi.

Il paesaggio mi era familiare, forse parte di un ricordo dei giorni appena passati.

Ogni cosa però, persino i cespugli, sembrava stranamente più alta di quanto rimembrassi.

Mi accomodai, tirandomi su con la forza delle mani premute al suolo erboso.

Le maniche della giacca scivolarono pesanti, ricoprendo fin troppo abbondantemente i palmi. La loro lunghezza era inusuale.

Mentre stavo rivolgendo le mie attenzioni a quell'evento singolare, cercando di tirar su la stoffa che continuava a ricadere molle, sistemandola al meglio delle mie possibilità, notai una figura nascosta tra la boscaglia.

Si spostava alle mie spalle, una macchia sfocata nella visione periferica, rimanendo fuori dalla mia portata. Una sensazione gelida si fece strada su per la schiena.

Non sembrava intenzionata ad uscire allo scoperto, osservando la mia figura con insistenza, i suoi occhi puntati fissi al mio collo con uno sguardo penetrante carico di avversione.

Per istinto, balzai in piedi.

Girando la testa nella sua direzione, riuscii a scorgere appena la sua figura che scattava verso di me. Una lunga mantella cremisi rovinata dal tempo e strappata in più punti l'avvolgeva quasi per intero e la poca pelle che si distingueva da quella massa era di un bianco spettrale. Le mani, ben più scure, ricordavano la corteccia di un albero.

Mi passò accanto, veloce come un fulmine, per poi svanire tra i tronchi degli alberi vicini.

Aveva deviato la traiettoria all'ultimo secondo.

La sua presenza, ancora viva e palpabile, mi fissava da un nascondiglio che non riuscivo a localizzare con precisione. Era come se si fosse trasformata in una nuvola di fumo, la sua energia sparsa tra la radura.

Una sensazione bagnata mi attraversò la guancia. E, con essa, arrivò il dolore: pungente e affilato, come lame che si conficcano nella carne viva.

Congelando per istinto ogni muscolo, il respiro si fece corto, incassando il collo nelle spalle per nascondere i punti vitali all'aggressore, incurvandomi leggermente in avanti, pronto al contrattacco.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 31, 2019 ⏰

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