Tre giorni dopo.
Il cellulare squillò fastidiosamente alle sette della mattina.
Nessuno osava chiamarmi mai a quell'ora, sapevano tutti che mi alzavo alle otto tutti i giorni ed ero in studio di registrazione per le nove.
Si, me la sono sempre presa comoda con gli orari. Ma quella mattina qualcuno non voleva capire.Lasciai squillare il telefono a vuoto per più di mezz'ora, poi cedetti.
Fissai il comò dove era adagiato l'aggeggio tecnologico e lo presi fra le mani.
Nove chiamate perse: Harry.
Sapevo che mi doveva fare la sua strigliata, perciò lo richiamai.
- Dimmi - esclamai con la voce ancora impastata dal sonno.
Non sarei riuscito a sopportare la sua voce stridula che mi rimproverava nell'orecchio così decisi di mettere il vivavoce.
- Dimmi? Sai cosa ti devo dire! Cristo santo Niall. E' mia sorella. - urlò come un dannato.
- E quindi? Io sono Niall - risposi, non volevo provocarlo ma si stava facendo problemi che non esistevano.
- Grazie al cazzo! Pensavo fossi maturo e che potessi comprendere ciò che mi divora dentro - continuò tenendo un tono di voce nella media.
- Senti, io non capisco proprio che problemi ti fai! Io e Gemma vorremmo solo essere amici. Lo sai che non ho secondi fini, lo sai meglio di me Harry. E' tua sorella, okay! Ho sempre rispettato le tue regole ma adesso che anche lei vuole avere un rapporto d'amicizia con me non vedo perché tu debba vietarglielo. Ragiona. - dissi, rimanendo il più calmo possibile.
Ci fu una pausa di qualche secondo. Forse stava ragionando sulle parole che avevo appena pronunciato, ma non fu così.
- Okay fai quello che ti pare, sappi che mi hai deluso parecchio! -
Chiuse definitivamente la chiamata senza aspettare una mia risposta. Non capii il reale motivo di tutto ciò.
Sapevo che era più testardo di un mulo e quando si impuntava su qualcosa doveva avere ragione, a tutti i costi. Però da un altro lato speravo che questa sua incazzatura non durasse molto tempo.
Ma si sa, le speranze talvolta sono vane.Il sabato, come promesso, andai nell'appartamento di Gemma.
Dovetti imbacuccarmi abbastanza bene per non farmi riconoscere dai paparazzi che erano appostati, come ogni santa notte, davanti al lussuoso condominio.
Gemma abitava in uno dei quartieri più famosi di Londra ovvero Covent Garden.
Covent Garden da sempre è un quartiere che passa inosservato, dove la piazza centrale è l'attrazione principale per i turisti che passano di lì. Molti sono gli artisti di strada, le stradine secondarie e le viuzze poco illuminate a far da sfondo a quel sobborgo di Londra.
Una delle poche cose che ho sempre ammirato di questo posto è l'ambiente meno trafficato rispetto ad altri quartieri come Camden Town, Soho oppure Chelsea.
Il condominio in mattoni rossi dove Gemma alloggiava insieme ad altri venti condomini, tutti ricchi sfondati, stava in una via poco distante dal mercato.
Quando arrivai lì davanti, col cappuccio della felpa alzato, gli occhiali da sole e finti baffi neri, notai subito i paparazzi.
Puntarono le macchine fotografiche contro di me e mi scrutarono per bene.
- No, fate senza fotografarlo! Non è nessuno - disse uno di loro agli altri.
Per un pelo, la scampai liscia.
Camminai per qualche metro fin quando le porte in oro del lussuoso palazzo, non si aprirono.
All'ingresso la hall assomigliava tanto a quella di un hotel.
C'era la reception con un consierge vestito bene.
Davanti a lui, mi tolsi gli occhiali e lo guardai dritto in faccia.
- Buongiorno, mi dica -
- Dovrei salire dalla signorina Styles - esclamai, visibilmente imbarazzato.
- Oh si. Ieri sera mi ha detto qualcosa a riguardo, lei è il signor Horan giusto? - domandò, osservando i miei baffi neri, palesemente scollati. Tirai fuori la carta d'identità e gliela mostrai.
- Ci sono troppi paparazzi lì fuori! Ho dovuto escogitare un piano - spiegai il perché del mio mutamento fatto male.
- Non si preoccupi, quando dovrà uscire la faccio passare per il retro -
Mi fece l'occhiolino.
- Grazie mille - sussurrai.
- Ora, l'appartamento della signorina si trova al diciassettesimo piano, buona giornata -Salii al diciassettesimo piano e la domestica mi accolse subito con un sorrisetto malefico apparentemente falso.
Notai subito che l'attico di Gemma era simile al mio. Il suo però dava su una parte di Londra diversa, ovviamente.
Appena entrai ammirai il pavimento in legno, veramente bellissimo. Il divano era enorme e la televisione più grande della mia.
Poi le finestre. Enormi. Fornivano una vista molto ampia della città.
Stavo scrutando tutto attentamente quando vidi Gemma sullo stipite della porta.
- Ma ciao! Come stai? - urlò quasi, venendomi in contro. Mi abbracciò.
- Abbastanza bene! Per entrare qui ho dovuto patteggiare con i paparazzi e il consierge alla reception! - scherzai, osservando uno strano mobile al centro del salotto.
- Oh dovevo dirtelo di entrare dal retro! Beh ti hanno fatto delle foto? - mi chiese, guardandomi negli occhi, capii che era già preoccupata.
- Nono, non mi sono fatto riconoscere -Quel giorno pranzai da Gemma e poi contro ogni pronostico, la aiutai realmente a fare il cambio di stagione del suo armadio.
- Scusa ma, non hai la domestica per un motivo specifico? - domandai, quando aprì la sua cabina armadio, grande come una camera da letto.
- E' l'unica cosa che non vuole fare e dice che devo imparare da sola! Quindi se vuoi iniziare prendi quei vestiti là .. -
Fu un lunghissimo pomeriggio, pieno di magliette a maniche corte e lunghe che a me parevano tutte uguali.
Non aveva senso comprare tutta quella roba se poi era uguale.
Paia e paia di jeans identici.
Vans uguali con leggere variazioni di colore.
- Qui dentro avrai almeno trentamila euro di vestiti - osservai alla fine del lavoro, dopo cinque ore di sistemazioni.
- Forse anche quaranta - rispose sorridente. - Ma tranquillo, quello che non mi va più bene lo dono ai bambini bisognosi o ai senzatetto, non sono così malvagia dai -
- Ci mancherebbe altro - esclamai alzandomi da terra, mi facevano male le braccia e le gambe, mi aveva fatto dannare con quei vestiti.
Ma dopotutto, mi ero divertito.
Gemma mi faceva ridere un sacco. Metteva sempre delle strane canzoni che piacevano solo a lei.
Un po' di normalità era quello che mi serviva in quella vita.Verso le sei mi congedai salutandola.
Non accennai al discorso 'Harry' con lei. Non volevo rovinare quella giornata e speravo davvero che quel matto di suo fratello si sarebbe calmato.
Prima di uscire dall'attico di Gemma lei mi fece il suo solito discorso.
- Fai il bravo eh! Se ti va stasera, passa al Mayflower - più che una proposta pareva un ordine.
- Perché sei lì anche tu? - chiesi, curioso.
- No, stasera pijiama party con le mie girls. -
- E allora perché mai dovrei andarci? - non collegavo niente, ero stanco e volevo solo che arrivasse al punto.
Odiavo quando faceva la misteriosa con tutti i suoi giri di parole.
- Perché lei sicuramente è lì. Maglione rosso -
Mi misi a ridere.
Me l'ero quasi scordata.
- Ma ti pare che ci vada? Dai Gemma! -
- Fai come ti pare, io ti ho avvisato -Tornai a casa quella sera.
Con le parole di Gemma che mi frullavano nella mente.
Pensai a Quella ragazza e se veramente fosse stata al Mayflower quella sera.
Mi sarebbe piaciuto parlarci? Beh, si.
Mi sarebbe piaciuto rivederla? Beh, ovvio che si.
Allora cosa ci facevo a casa?
Non sapevo quello a cui sarei andato incontro quella sera.
Non sapevo cosa avrei provato.
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Slow hands
FanfictionFa freddo oggi. Non so bene dove sono, non riesco a percepire niente. Solo il silenzio e dei strani bep meccanici. So che fuori fa freddo e che nevicherà. Nevicherà tanto amore mio, proprio come piace a te. Bianco sopra e bianco sotto. La tua voce...