3. Drunk

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Quella sera alla fine non misi piede al Mayflower e nemmeno la sera successiva.
C'era qualcosa, forse il mio istinto primordiale che mi diceva che non sarei dovuto andare in quel posto nonostante mi mancasse proprio una birra.

Il mercoledì sera successivo, dopo tre giorni di registrazioni in studio no-stop, decisi che era tempo di ritornare al 117 di Rotherhithe Street. Probabilmente le mie occhiaie erano ben visibili, dato che la barista dopo un'occhiata veloce mi servì subito una birra media senza domandarmi nulla.
- Lorely mi ha detto che se passava quello famoso degli One Direction avrei dovuto dirgli di darsi una svegliata! Quindi dato che quello degli One Direction mi sembri proprio tu, beh, datti una svegliata amico - esclamò incerta la tipa dietro al bancone.
Alzai lo sguardo, parlava proprio con me.
Non sentivo nominare 'One Direction' da un sacco di tempo.
Lorely era sicuramente la signora di mezza età che mi serviva sempre a quell'ora, quella ragazza era di sicuro la sostituta.
- Ehi, sei muto per caso? - mi domandò sorridendo - Devo cercare su Google se uno dei cinque One cosi ha perso la parola? -
Mi fece ridere.
Era buffa quella tizia e apparentemente simpatica.
- Niall, Niall Horan. E tu saresti? - chiesi, porgendole la mano.
Notai che le sue guance si fecero leggermente rosse. Non avrei mai voluto metterla in imbarazzo, ma dopotutto, era solo il mio nome.
- Liza, Liza Jones - sussurrò come se non volesse farlo sapere in giro. Mi strinse la mano.
A quel contatto ebbi un brivido.
Erano anni che non stringevo la mano ad una persona, tantomeno ad una barista.
Era tutto così incredibilmente normale.
- Liza sta per Annalisa? O Elisa? - domandai, era un nome inusuale.
- Elizabeth in realtà -
Ora mi era tutto più chiaro.
Con quella divisa nera e il cappellino col nome del locale stampato, Elizabeth era l'ultimo nome che le si addiceva.
- Senti, non vorrei essere scortese ma, c'è una ragazza laggiù che ti guarda da un po' e dato che mi stai simpatico ti esorto ad andarle a parlare - mi disse, gentilmente, indicando con lo sguardo qualcuno dietro di me.
Mi girai appena col busto e la vidi.
Ancora lei.
Sempre lei.
Maglione rosso questa volta aveva cambiato maglione: era grigio.
- Fatti coraggio, dai - esclamò Liza toccandomi la spalla.
- Dici che dovrei? -
- Assolutamente si -
Senza una ragione specifica quella Liza mi infondeva coraggio.
Probabilmente e sfortunatamente non l'avrei più rivista, ma in quel momento mi diede una sorta di energia.
Mi stavo fidando di una sconosciuta per andare a parlare con una ragazza. Che playboy senza speranza ero?
Mi alzai e puntai lo sguardo verso di lei. Il suo viso era da tempo stampato nel mio cervello.
Lentamente arrivai vicino al tavolo dove lei era seduta.
- Posso sedermi? - chiesi, quella situazione mi metteva abbastanza a disagio.
Sembravo uno stalker che ci provava spudoratamente con una ragazza e l'immagine non mi piaceva affatto.
Lei annuì.
- Nessuno si siede mai qui vicino a me. Quindi direi, ehm piacere, Alisha - la sua voce era così calma, tranquilla, innocua. Trasmetteva pace.
I suoi capelli erano talmente biondi che potevano essere quasi bianchi ed ero sicuro che, erano naturali.
- Alisha? Bel nome - cercai di iniziare una conversazione.
- Grazie -
- Oh scusa, Niall - mi ero quasi dimenticato di presentarmi, a mia volta.
- So bene chi sei, tranquillo - mi fece sapere, purtroppo.
Una delle cose che più odiavo era quel fatto. Quando mi presentavo e dicevo il mio nome gli altri sapevano già tutto di me, mentre io niente di loro. E dovevano sottolinearlo a grandi linee.
Questa cosa ogni volta mi faceva riflettere. Che vita era?
- Vieni spesso qui al Mayflower? - cambiai discorso radicalmente.
- Quasi ogni sera, sai è l'unico modo per far vedere alla mia coinquilina che esco di casa e ho una vita -
Per un attimo, mentre parlava, mi persi nei suoi occhi azzurri.
Erano così taglienti e ben definiti che non potevo fare a meno di fissarli.
- E tu invece? Che ci fai qui? -
- Niente, passeggiavo e le mie passeggiate sono molto lunghe -
Mentre le nostre birre cominciavano a dissolversi nell'aria e con loro anche i nostri bicchieri di vetro, le conversazioni che creammo quella sera non ebbero nulla di normale.
Forse la motivazione di quell'atmosfera era l'alchool nel nostro sangue che superava di gran lunga il limite permesso.
O forse era semplicemente perché stavamo bene. Parlare l'uno con l'altro dei nostri interessi, problemi e affari.
Era come se ci conoscessimo da una vita. Il problema vero era forse che la vita non aveva mai conosciuto noi.

Alisha mi raccontò molto di sé quella sera e, sfortunatamente, la mattina successiva mi ricordai la metà delle cose che mi aveva detto.
Ricordavo con precisione che era Norvegese, scappata tragicamente da Oslo, sul perché fosse scappata tentennavo a ricordarlo. La motivazione erano i genitori, forse.
Odiavo quando succedeva. Odiavo bere così tanto per poi finire a dimenticarmi le cose, come un anziano.
Era tutto così confuso nella mia testa, la mattina successiva.
Pulsava.
Faceva malissimo.
Quanto diavolo avevo bevuto?
Cercai di alzarmi dal letto di camera mia. Con fatica mi preparai qualcosa, un misto fra colazione e pranzo.
Le tempie pulsavano.
Forte.
In televisione stavano proitettando un film vecchissimo, in bianco e nero.
I canali Inglesi li ho sempre trovati inutili, dopotutto. Quelli in Irlanda erano di gran lunga migliori.
Ad ogni modo, il film riguardava una coppia.
Ma la testa pulsava talmente tanto che non riuscivo a comprendere niente.
''Potresti portarmi qualcosa? Ho un mal di testa atroce da due ore, ti prego '' 
Riuscii a scrivere solo quelle parole a Gemma, poi mi accasciai sul divano.
Chiusi gli occhi e sognai il paradiso.

Slow handsWhere stories live. Discover now