5. My best friend

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L'inverno era alle porte e ottobre stava svanendo trasformandosi in un novembre ghiacciato e luccicante.
A Londra pioveva quella sera, come di consueto.
Era passata una settimana da quando avevo lasciato il mio numero a Liza e due da quando avevo passato quella serata in compagnia di Alisha. Non avevo ricevuto notizie, questo significava che Alisha non era più passata al May.
Ma dopotutto cosa speravo? Che mi volesse rivedere?
Avevo passato tutta la settimana in studio di registrazione per dimenticarmi di quella faccenda e per qualche giorno aveva funzionato.
La musica mi aiutava sempre, in qualsiasi momento.
Il mio menager mi aveva proposto un progetto da solista per l'anno successivo ed io non sapevo proprio cosa rispondergli.
Avevo tempo per pensarci fino a gennaio, poi voleva una risposta.
Diventare un solista significava forse uno scioglimento vero e proprio dei One Direction?
Ero davvero pronto per essere un solista? In quel momento non avevo la risposta.

I miei pensieri erano talmente forti anche sotto la doccia. Mi ci ero infilato mezz'ora prima credendo che l'acqua calda potesse aiutare a rilassarmi un po', ma nessun relax, solo ancora più caos.
Quando uscii dal bagno con l'accappatoio blu, che Gemma mi aveva regalato ad Ibiza qualche anno prima, il mio cellullare vibrava sulla mensola vicino ai libri posizionati tutti in ordine alfabetico.
Tre chiamate perse da Liza.
Porca puttana.
In due secondi la richiamai. I primi bep mi infastidirono ma alla fine, dopo qualche secondo, sentii un sonoro ''hello''.
- Dimmi Liza! - esclamai, ero in preda all'euforia, mi tremavano le mani.
- Niall ascolta, lei è qui, però è con una sua amica, ti sto chiamando da mezz'ora ma non rispondi, non so per quanto rimanga ancora - la sua voce la sentivo a malapena, stava parlando veramente piano.
- Cerco di fare del mio meglio per essere lì il prima possibile - dissi, chiudendo la chiamata.
In fretta e furia mi asciugai, mi vestii, infilai le scarpe e uscii di casa.
I capelli non li avevo nemmeno asciugati e col freddo che faceva fuori, avrei potuto prendermi un accidente, ma poco importava in quel momento. Salii in macchina e guidai fin davanti al Mayflower trovando un parcheggio per pura fortuna.
Entrai dentro al locale col fiatone, il cuore batteva a mille.
Era quasi mezzanotte, vidi Liza dietro al bancone.
Mi osservò sconfitta.
- E' uscita cinque minuti fa, ti ho mandato due messaggi. Io Niall ho fatto il possibile per trattenerla ma, non ... - si fermò qualche secondo e fissò i miei capelli, spettinati e arruffati, sorrise capendo che avevo fatto una corsa disumana. - Scusami, davvero -
La guardai negli occhi.
Il mascara era abbondante sulle ciglia, le stava d'incanto.
- Non ho visto i messaggi, stavo guidando - comunicai, abbassando lo sguardo - Non è colpa tua, anzi, sei stata gentile.
Non preoccuparti. -
- Sei sicuro? Senti, io fra dieci minuti stacco ... se vuoi ti faccio un po' di compagnia?! - il suo tono era molto propositivo e se non fossi stato su di giri dal nervosismo avrei sicuramente accettato. Ma non quella sera. Non avevo voglia di nessuno.
- Non prenderla male Liza ma non ho molta voglia di parlare. Possiamo fare la settimana prossima se vuoi? -
Sul suo viso comparì un briciolo di sorpresa ma non compresi per che cosa.
- Oh si beh certo, come vuoi - rispose, facendomi un sorriso.
- Ti chiamo in settimana okay? -

Quando uscii dal locale improvvisamente mi ricordai che non mi ero imbacuccato nel migliori dei modi per non essere riconosciuto.
Avevo solo una sciarpa nera che copriva un po' ma niente di così cammuffabile.
Camminai velocemente fino alla macchina ma prima di arrivare sentii qualcuno alle mie spalle.
- Niall! -
Quella voce l'avrei potuta riconoscere in mezzo a mille.
Mi girai completamente.
- Alisha! - risposi, i miei occhi stanchi si tramutarono in occhi scintillanti, pieni di speranza.
- Non sai quanto ti ho cercato, pensavo che non ti avrei mai più rivisto - esclamò venendomi in contro.
- Cosa? Sei seria? - domandai e senza accorgermene l'abbracciai.
La strinsi a me. Mai l'avrei lasciata andare ancora. - Si, sono seria - la sentii dire.
Ero così entusiasta che quando sciolsi l'abbraccio la fissai per un lungo tempo.
Il suo viso, i capelli, il naso alla Francese e quelle labbra così fottutamente colorate di un rosso acceso, era una favola.
- E' da una settimana che vengo al Mayflower per cercarti - ammisi e sul suo volto comparve un aria maliziosa.
- Beh ora potremmo essere intelligenti e mantenere i contatti o dobbiamo perderci nel nulla per poi ritrovarci ancora, chissà, magari
tra un mese in questo locale, ancora? - domandò, ironizzando la vicenda.
- Direi che possiamo fare gli intelligenti - dissi, abbassando lo sguardo.
- Ti va di camminare un po' ? -
Accettai il suo invito.

Durante il tragitto mi parlò della Norvegia e mi spiegò che sua mamma era Danese e il padre Norvegese.
- Però sai, non mi sento di appartenere a nessuna delle due nazioni - mi informò scrutando in modo sensuale i miei occhi - Qui a Londra ho trovato la mia strada -
- Non sei più tornata ad Oslo dai tuoi? - domandai incerto, non sapevo se era un buon argomento quello sulla famiglia, ma aveva voluto parlamene lei, di sua spontanea volontà.
- No, sono cinque anni che non torno - sospirò osservando le luci della città. - E tu invece? Tornato a Dublino ultimamente? - chiese, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi.
- Oh si per il mio compleanno, c'era tutta la band e tutte le nostre famiglie! Spero sia stata l'ultima volta in cui ho assistito ad una rimpatriata del genere per causa mia -
- Che c'è? Non ti piacciono le rimpatriate? Sono così deliziose - sogghignò scherzando.
- Sono un po' come i cenoni di Natale. Devastanti! - mi guardò, come se fosse abituata a cene di Natale piene di parenti.
Camminammo parlando delle nostre famiglie fino a Tower Bridge dove, sfiniti e infreddoliti, verso l'una e mezza ci intrufolammo in un bar.
Le due cioccolate calde avevano un doppio strato di panna e appena Alisha capì che lo strato era doppio cambiò espressione in viso.
- Adoro il doppio strato di panna - commentò iniziando subito a mordicchiare la panna.
- In Norvegia le fanno queste cose? - chiesi, facendo un espressione superiore come per dire 'In Inghilterra facciamo cioccolate migliori ' .
- Certamente. E poi, ehi, tu sei Irlandese. Non hai niente a che fare con questa Terra - specificò guardandosi in giro.
- Beh sai com'è, ormai ci vivo da anni. -
- Ti senti British quindi? -
- Una metà via - ammisi, osservando il locale.
Era veramente piccolo e le persone presenti erano ben poche; c'eravamo io, Alisha, una coppia di amici che parlavano in Tedesco stretto e il cameriere. La situazione era un po' imbarazzante, ma cercai di concentrarmi solo su Alisha.
Mi domandò della band e le raccontai di Harry, del fatto che avevamo discusso perché volevo essere amico di sua sorella.
Comprese perfettamente il rapporto fra me e Gemma dicendomi che anche lei aveva un migliore amico a cui voleva un mondo di bene.
- Come si chiama? - domandai, curioso.
- Henrik - rispose, alzando gli occhi al cielo. - L'ho incontrato qui a Londra cinque anni fa, ero appena arrivata ed era l'unico che a lavoro con me, capiva quello che dicevo quando litigavo con mia madre per telefono -
- Fammi indovinare, Norvegese pure lui? -
- No, Svedese, sono simili come lingue e tra di noi ci capiamo - mi informò, sbloccando il suo iPhone. - E niente, lui è stato il mio primo amico qui a Londra. L'anno successivo è diventato il mio coinquilino, abbiamo vissuto insieme con altre due ragazze, Annabelle e Sandra. Alla fine però Henrik si è trasferito a New York l'anno scorso, quindi siamo rimaste noi tre. Fine della storia! - spiegò, muovendo il dito sullo schermo del cellulare per poi mostrarmi diverse foto con quello che doveva essere Henrik.
- Ti manca vero? - reclamai, ma la risposta era ovvia.
- Si beh, certo. L'estate scorsa io e le altre siamo state un mese da lui a New York, è stato come ritornare ai vecchi tempi. Ci sentiamo spesso ma si, manca molto, sopratutto in giro per casa - affermò con una punta di nostalgia.
- Sono sicuro che prima o poi tornerà -
- Non credo, ormai è un Newyorkese in affari - rispose ridendo, aveva finito la sua cioccolata calda - Ogni due mesi viene a trovarci e ogni volta spero ci ripensi, ma niente - abbassò lo sguardo, guardando la tazza ormai vuota.
Era veramente bella, anche quando era sconfitta.
- Scommetto che anche per lui è la stessa cosa Alisha, non è semplice star lontano dalle persone a cui si vuole molto bene. -
- Hai ragione Niall. Riguardo a te ed Harry però, prova a chiamarlo. Sistemerete le cose, ne sono certa -

 

Uscimmo dal bar verso le tre di notte quando il sonno stava prendendo il sopravvento.
Non riuscimmo a trovare nemmeno un taxi che andasse in direzione del Mayflower così ci incamminammo a piedi.
Una volta giunti al May, davanti alla mia auto, le chiesi di salire e la riaccompagnai a casa.
Abitava in zona Clapham, non molto distante dal mio appartamento.
- Sono stata bene con te stasera Niall ma, dammi il cellulare - esclamò, ed io sorrisi come un ebete, a scoppio ritardato. Glielo porsi e lei salvò il suo numero.
- Fatti sentire, se ti va, per qualche altra cioccolata calda o una chiacchierata nel cuore della notte. -
- Certo Alisha, lo farò - risposi, convinto. - Buonanotte! -
- Buonanotte Niall! -
Scese dall'auto e la osservai mentre saliva le scale per salire al suo piano. Era perfetta, il suo corpo era un sogno per noi maschietti e mentre guidai per tornare a casa, feci i pensieri più assurdi su di lei.

Quando fui a casa però, trovai la sorpresa.
Davanti all'ingresso, Gemma.
Il trucco era sbavato sulle sue guance, il rossetto sbiadito.
Le lacrime che continuavano a colare.
Il sonno mi stava divorando, non capii subito che cosa ci facesse lì.
- Gemma, ma che diavolo ... - esclamai, fissandola sconcertato.

Slow handsWhere stories live. Discover now