Ritorno

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La marchesa, quel pomeriggio, ebbe cura di riempire i piccoli tavolini da gioco con scacchiere di cristallo e mazzi di carte decorate con ghirigori dorati. Abituata alla corte francese, Pauline Wilson coglieva ogni occasione per ostentare le ricchezze del patrimonio di famiglia: i balli dei Wilson erano i più sgargianti, i più eccentrici, frequentati solo dall'alta nobiltà e sogno di tutta la borghesia arricchita. Edward si preoccupava poco delle spese della madre, le metteva a disposizione tutto il denaro necessario a soddisfare i suoi capricci e indirettamente ne coglieva le lodi.
Mentre la padrona di casa osservava in modo critico il viavai della servitù, il figlio entrava in salotto dopo essersi cambiato i vestiti bagnati, tenendo in mano un bicchiere di brandy.
-Edward, brandy alle cinque di pomeriggio? È osceno!
-Dove avete preso queste scacchiere? Non ricordo di averle mai viste prima.
-Oh, le ho comprate questa primavera a Lille, non sono incantevoli?
Edward aveva lo sguardo cupo, ascoltava distrattamente le parole della madre mentre osservava gli ultimi resti di quella tempesta estiva.
-Cosa è successo stamattina?
La voce della marchesa era bassa e indagatrice. Edward si irritò alle sue parole e strinse le dita attorno al bicchiere.
-Cosa sarebbe dovuto succedere?
-Sei mio figlio, non mi mentire. È inutile.
Edward quasi si arrese, bisognoso com'era di sfogare la propria frustrazione.
-L'ho insultata.
Pauline sembró sorpresa e si avvicinò di qualche passo al figlio.
-Ti ha provocato?
-No. L'ho insultata senza motivi.
-Se lo dovesse raccontare ai genitori perderei una cara amicizia.
-Me ne infischio di cosa perdete voi. Pensate a me.
-Oh andiamo Edward, non ti sarai seriamente invaghito di quella selvaggia? Certo è ricca, di nobili origini, ha fatto una gran figura a Londra... ma puoi avere di meglio.
-Cosa andate blaterando.
-La verità: tu non hai un carattere facile e da quel che ho visto Harriet Pelham è irrequieta quasi quanto te. Sarebbe uno scontro continuo. Non avresti dovuto insultarla, ma forse non è un male così grande; ti starà lontano e tu farai lo stesso.
-Parlate come se avessi intenzione di sposarla. Della sua offesa mi curo poco, mi agita il suo atteggiamento. Perdere il controllo per una bambina capricciosa è sinonimo di debolezza.
Edward sentiva di mentire. Lo faceva con naturalezza e senza destar sospetto, ma la sua coscienza lo guardava divertita e gli rivolgeva un sorriso di scherno.
-Chiunque perderebbe il controllo con Harriet Pelham, non te ne curare. E poi non avete condiviso nulla se non litigi e scontri, ti proibisco di innervosirti per lei.
Oh Gerard eccoti, voglio le teiere in porcellana color lavanda, chiedi a Teresa dove le ha messe l'ultima volta...

Non avevan condiviso niente, diceva la madre. Ma Edward, che la verità l'aveva raccontata solo a metà, ripercorreva mentalmente e a mani strette il percorso fino alla casetta nel bosco; e si lasciava pervadere dal calore al pensiero di lei, così indifesa e sensuale tra le sue mani, mentre ricambiava con impacciata audacia i suoi baci.

In una stanza del piano superiore Harriet guardava il punto del collo dove Edward aveva indugiato così a lungo, facendola tremare da capo a piedi. Aveva spazzolato i capelli umidi e indossato l'unico indumento che si era portata appresso, un abito color prugna dal taglio semplice, con una piccola scollatura e le maniche lunghe. Si sentiva ancora stremata, quasi colta alla sprovvista da quel temporale estivo, ma il dolore che le invadeva il petto era un peso molto più grosso.
Constance condivideva la sua stanza, ma era troppo impegnata a passare in rassegna gli abiti sgargianti di cui era ben rifornita per accorgersi del pallore della sorella, delle lacrime calde che le deturpavano il viso mentre si acconciava i capelli corvini.
Di quel dolore si accorse il padre, quando la vide vicino alla grande scalinata in marmo. Pur desiderando ardentemente di comprendere il motivo di quel cambio repentino di umore, Robert Pelham si rifugiò nella sua discrezione, baciando dolcemente la fronte della figlia in segno di conforto.
Gabriele Decaro fu meno discreto, e qualche tempo dopo, mentre muoveva la regina sulla scacchiera di cristallo, le chiese il motivo di quel sorriso distratto.
-Vi vedo triste Harriet, state bene?
-Oh sì, forse ho preso un po' di freddo.
-Dovreste riposarvi, avete un viso così pallido.
-No, non è niente di grave. Voi piuttosto state attento al vostro Re, se lo scoprite così tanto potrei essere tentata di incastrarlo.
-Oh, esiste uomo che non sareste capace di incastrare? Siete una donna spregevole, Circe al vostro confronto è una fata irlandese.
-Non sottovaluterei gli irlandesi al vostro posto, sanno essere molto combattivi.
-Dovessi incontrare una persona più combattiva di voi scapperei a gambe levate.
-Pessimo atteggiamento generale, ne parlerò con i vostri ufficiali.
Harriet si sentì più leggera mentre parlava con Gabriel, lo scambio di battute continuó per molti minuti facendo ridere i due come bambini e attirando sorrisi curiosi di molti presenti, che già spettegolavano su un possibile fidanzamento.
Ma il sorriso di Harriet duró poco. Quando lui entró in sala, non lo vide, ma lo sentì con ogni molecola del proprio corpo.
Edward si obbligó a non guardarla, fallendo miseramente. Quando vide la mano di Decaro posata sul braccio di lei sentì l'istinto primordiale di rompergli il collo. A denti stretti si avvicinò a Samantha Drawdel, chiedendole di fargli compagnia.
Harriet non riusciva a non notarlo, mentre le accarezzava la mano, quando le sussurrava parole che la facevano arrossire e ridere.
Si guardó le mani e sentì le lacrime offuscarle lo sguardo, ma non cedette: dopo averla insultata la provocava deliberatamente, conscio di non esserle indifferente. Qualsiasi segno di debolezza lo avrebbe messo in condizione di vantaggio e lei non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
-Gabriel, è vero che cantate?
-Così dicono tutti quelli che hanno avuto il piacere di farsi bucare i timpani da me.
-Oh smettetela! Volete accompagnarmi? Ho voglia di suonare.
Gabriel la guardó sorpreso e dopo un attimo di esitazione le porse la mano.
I due si diressero verso il pianoforte e Harriet inizió a suonare.
Tutti i presenti sembravano incantati dalla piccola Pelham: le dita affusolate suonavano con una bravura fuori dal comune, adattandosi perfettamente alla voce baritonale di Gabriel Decaro.
Edward guardava la scena con diffidenza, ma ben presto si lasciò trasportare dalla musica. Osservava il collo allungato di Harriet, il contrasto tra l'abito color prugna e la pelle lattea, le labbra sensuali piegate in un broncio lieve. Si sentì pervadere dall'eccitazione e si costrinse a voltare lo sguardo altrove. Dopo qualche minuto, mentre tutti i presenti avevano circondato Harriet e Gabriel, si appartò con Samantha in un angolo del salotto.
-Oh Edward, sono così felice di essere qui con voi.
-Ditemi: voi leggete?
-Leggere? I giornali qualche volta, sapete per tenermi aggiornata. I libri sono roba da uomini.
Edward la guardó con un velo di disprezzo. Aveva conosciuto molte donne come lei e lo avevano sempre irritato, ma quel pomeriggio si obbligó a mantenere la sua pacatezza.
La piccola Pelham guardó nella loro direzione nel momento sbagliato, vedendo i loro visi vicinissimi.
Le sue mani iniziarono a tremare e smise di suonare, interrompendosi all'improvviso.
Edward si voltò verso di lei: Harriet lo guardava con aria d'accusa, lui la fissava con rabbia. A spezzare quella tensione un battito, che ricordava ad entrambi la natura di quell'astio e che li obbligava a volgere altrove lo sguardo.

Harriet balbettó qualche scusa, dicendo di sentirsi poco bene e congedandosi per tornare alla propria stanza. Una banale bugia a cui credettero tutti: il viso di lei era divenuto pallido e l'agitazione le rendeva la voce impastata.
Wilson avrebbe voluto raggiungerla prima che salisse la scalinata, pregarla di restare e di baciarlo ancora, di nuovo, con la stessa foga di quella mattina. Ma l'orgoglio lo mantenne ancorato al divano.

-Harriet Pelham.
Harriet stava per voltarsi verso la propria stanza quando sentì la voce della marchesa alle proprie spalle.
-Marchesa, buonasera.
-Siete così pallida. Non pensavo che mio figlio vi avrebbe provocato tanto.
La piccola dei Pelham si sentì mancare il fiato e guardó il viso impassibile della marchesa. Lei sapeva.
Quest'ultima le parlava in tono canzonatorio, velato di un pizzico di cattiveria.
-Io non so di cosa...
-Sciocca ragazza, non osate mentirmi. So tutto.
Pauline prese a camminarle attorno.
-Vi daró un consiglio. Mio figlio non vi considera, per lui siete il nulla. Stamane vi ha insultata proprio perché ha scarsa considerazione di voi, non vi tratta come una signorina perché non vi considera tale. Non siete fatta per lui e quando vi nomina è solo per schernirvi. Stategli lontana: non voglio preoccuparmi anche dell'ennesima ragazzina ribelle.
-Sono qui per volere della mia famiglia, non per qualche remoto desiderio di compiacere voi o chi per voi. Non permettetevi di rivolgervi a me in questo modo, non sono vostra figlia e vi dirò, voi mi chiamate selvaggia, ma io trovo che selvaggio sia insultare un ospite in casa propria. Ed ora se volete scusarmi: non mi sento bene e non sprecherò energie con voi.

Pauline Wilson era esterrefatta, aveva sgranato gli occhi e guardava quella ragazzina insolente con rimprovero e indignazione. Presa alla sprovvista inizió a balbettare qualche parola ma Harriet era già entrata nella propria stanza chiudendo la porta con decisione.
Si lasció cadere sul letto e lasció che il turbine di emozioni che provava le scorresse addosso.
Il pensiero che Edward avesse raccontato alla madre tutto la fece sentire piccola ed umiliata, poi sentì montarle una rabbia incontenibile, che riuscì a spegnere solo una dilagante delusione.
Non si aspettava nulla da Edward (o forse sì) ma comunque non lo pensava così disonesto e meschino da metterla in una situazione tanto compromettente.
Quella notte dormì poco e male, ma riuscì a raffreddare il petto e la mattina si presentò più forte che mai ai genitori, chiedendo il permesso di tornare a Trownford.
La madre rifiutó drasticamente poiché era un gesto di estrema scortesia, ma il padre le fece subito preparare la carrozza preoccupato per la figlia, che continuava ad essere pallida pur non dimostrando segni di malattia.
La Signora Pelham intimó ad Harriet di salutare i Wilson e porgere di persona le proprie scuse, ma Harriet invertì subito la marcia e scomparve da Holdbridge senza proferire parola.

Arrivó a Trownford senza aver fatto colazione ed intimó ad Annie di prepararle un panino farcito che non riuscì a mangiare.
Si sentiva ancora arrabbiata ma sopratutto stanca, dopo aver addentato il panino lo lasció sul tavolo della grande cucina e salì alle proprie stanze.
Si lasciò cadere sul letto e guardó il soffitto: voleva cavalcare e bere un bicchiere di punch. E non potendo fare ne l'uno né l'altro si addormentó ancora vestita di tutto punto.

-Signorina Harriet! Non potete mica addormentarvi così, svegliatevi subito!
La voce di Annie era assordante e ad Harriet venne spontaneo di tapparsi le orecchie.
-Oh Annie, perché devi urlare?
-Perchè avete le scarpe infangate e sembrate un'amazzone. Santi numi Harriet, siete proprio incorreggibile. Su, vi preparo un bagno caldo, toglietevi le scarpe e quel vestito.
Annie aveva un tono così esasperato che Harriet dovette sforzarsi di non ridere.
-Ieri pomeriggio é arrivata una lettera per voi, ve l'ho lasciata sulla scrivania.

Harriet si spogliò distrattamente e poi si lasciò cadere di peso sulla sedia, prendendo tra le mani la lettera. Chi l'aveva scritta non aveva lasciato il proprio nome, ma la carta pregiata e le prime righe le fecero subito capire chi era il mittente.
Il suo cuore prese a battere più forte.

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