Il quartiere di san Lorenzo fu raso al suolo. Camminare, diventava sempre più faticoso, tutte le strade erano state distrutte. Enormi nubi di polvere si erano diffuse tutt'intorno, creando una cortina spessa, simile a fitta nebbia.
La mancanza di ossigeno, nell'aria così satura di finissimi detriti, rendeva la respirazione difficoltosa. Le innumerevoli macerie e i corpi esanimi delle persone riversi verso terra rappresentavano degli ostacoli insormontabili, che eravamo costretti a calpestare correndo, se volevamo fuggire al più presto da quell'impresa rischiosa, divenuta ora un incubo. Solo verso sera, riuscimmo a ricongiungerci al resto della famiglia, che si trovava in un luogo periferico della città, che non era stato sfiorato dal bombardamento. Mia madre e mia nonna, credendoci morti, dopo aver ricevuto la notizia della distruzione del ricovero di San Lorenzo, pregavano davanti ad un piccolo altare improvvisato, contornato da alcune candele, con al centro l'effigie della Madonna.
La gioia dei miei congiunti fu indescrivibile, quando giungemmo nella loro abitazione. Mio padre riuscì a spiegare alla mamma come, grazie ad una sua improvvisa intuizione, si erano potuti salvare. Mia madre lo ascoltava e piangeva. Ci guardava e accarezzava come se ci vedesse per la prima volta, dopo anni di lontananza. Quella sera mi addormentai subito ero troppo spossata da tutti quegli avvenimenti.
La mattina seguente, mio padre ci fece alzare di buon'ora, perché dovevamo partire. La preoccupazione di dover subire altri bombardamenti, lo aveva convinto a trasferirci da Roma ad Agosta. Un paesino che, nonostante la guerra, era rimasto tranquillo.
Per quanto riguardava la nostra vita familiare, niente era mutato: l'unica difficoltà era rappresentata dalla ricerca del cibo. Non conoscevamo il paese e dappertutto c'erano tedeschi. A volte io e Giacomo, dovevamo arrivare fino alla stazione di Mandela, costeggiare i binari ferroviari e aspettare con pazienza, nascosti fra i cespugli, qualche convoglio di generi alimentari diretti ai tedeschi.
L'attesa era lunga ed estenuante e, finché non calava l'imbrunire, non potevamo agire. Era rischioso lo sapevamo, ma la fame ci aveva reso guardinghi e furbi, non si poteva rimanere digiuni troppo a lungo. Mia madre ci raccomandava sempre di essere prudenti e pregava per la nostra vita. Forse fu proprio grazie alle sue preghiere che riuscimmo ad evitare una cattura e non fummo fucilati dai tedeschi per furto.
Quella mattina l'aria era frizzante, l'autunno era alle porte, ma per noi le stagioni intermedie non esistevano. Solo l'inverno ci preoccupava, con il suo rigore era più difficile muoversi e rimanere a lungo digiuni. Eravamo usciti di buon'ora, io e mio fratello, per il nostro consueto giro d'ispezione, quando Giacomo, sempre con le orecchie tese, si fermò e senza pronunciare una parola, mi fece segno di nascondermi tra l'erba, ancora fitta della scarpata che costeggiava la strada sterrata.
Giacomo aveva scorto un autocarro carico di vettovaglie fermo vicino al ciglio della carraia. Il conducente era sceso per sgranchirsi un poco le gambe, lui più agile di una lepre, era salito sulla parte posteriore dell'automezzo. Ero quasi vicina al camion e Giacomo cominciò a gettarmi tocchi di pane nero, duro e raffermo, pezzi di formaggio e salame, che con rapidità infilavo in una sacca di tela. Lo incitavo a scendere, da un momento all'altro sarebbe potuto ritornare il soldato tedesco, ma lui insisteva, dicendomi che non aveva ancora terminato.
Il rumore dei cespugli calpestati dall'altro lato della scarpata, mi avvertì che l'uomo stava tornando indietro e immediatamente mi allontanai dall'automezzo, rifugiandomi dietro un cumulo di pietre.
Giacomo riuscì a balzare in tempo fuori dell'abitacolo, ma l'uomo, che lo aveva scorto, gridò qualcosa nella sua lingua e gli tirò un'accetta con l'intenzione di ucciderlo. Il ragazzo fu talmente veloce ad abbassarsi, che riuscì a schivare il colpo e a rotolarsi giù per la scarpata, evitando che l'altro potesse sparargli.
Avevo trattenuto il fiato durante tutta la scena, temendo di perdere mio fratello, ma ora non dovevo muovermi: l'uomo era ancora sulla strada e se avesse sentito dei fruscii, infuriato com'era si sarebbe subito diretto verso di me, con la pistola in pugno. Per fortuna il dovere lo chiamava e l'attesa in quella scomoda, immobile posizione, durò solo alcuni minuti che mi parvero interminabili: il camion ripartì e io potei con la massima precauzione, scendere faticosamente lungo le pareti ripide del burrone, aggrappandomi ora ad un arbusto ora ad un altro, chiamando mio fratello con tutto il fiato che avevo.
Riuscii a raggiungere la piccola radura e notai immediatamente un fagotto di cenci immobile per terra: era Giacomo. Man mano che mi avvicinavo, pregavo perché non fosse morto. Quando gli fui vicina, notai alcuni rivoli di sangue rigargli il volto e il suo corpo completamente immobile. Quell'immagine mi dilaniò l'anima, ma non mi persi di coraggio. A pochi metri di distanza, scorreva un esiguo ruscello, bagnai un lembo del mio vestito e tornai da lui cercando di pulirgli le ferite. Il contatto con la stoffa bagnata lo destò immediatamente, dolorante e a fatica, si alzò e si mise a sedere.
«Teresì, dove hai lasciato la refurtiva?», aggiunse come se niente fosse successo.
«È ben nascosta dietro una piccola roccia. Sei proprio un incosciente, mi hai fatto passare dei momenti terribili, credevo proprio che ti avesse ucciso!», quasi gridai per lo spavento.
«Bé, sò quà, nun sei contenta? Annamo è ora de tornà a casa e dovemo risalì fin sulla cima de sto burone», mi rispose con il suo solito buonumore.
Un impeto di gran gioia, commozione e affetto mi fece abbracciare Giacomo, che mi guardava tra lo stupito e il divertito, ma anche lui era commosso e capimmo che quell'esperienza ci aveva resi ancora più uniti.

STAI LEGGENDO
VOGLIA DI FUGGIRE
Historical FictionLa vicenda si svolge a Roma negli anni tra il 1928 e il 1950. Teresina, la primogenita, nasce alla fine degli anni Venti da genitori che non si sono sposati. Il padre violento e la madre debole e umile faranno da cornice alla sua infanzia avvolta da...