Una breve evasione
Mi ritrovai in ospedale circondata dai miei fratelli che piangevano, anche mia sorella era là ed aveva gli occhi umidi e arrossati. Giacomo si fece portavoce per tutti gli altri.
«Teresina, siamo stati tutti in pensiero per la tua salute, al pronto soccorso ci hanno chiesto chi ti avesse ridotto in questo stato e Gianluca che ha più coraggio di noi tutti, ha fatto il nome del "matto". I gendarmi ci hanno assicurato che se lui si azzarderà a toccarti ancora, finirà in galera per il resto dei suoi giorni».
Si fece avanti Concettina, che intanto aveva ripreso a piangere quasi convulsamente.
«Teresina, vorrei chiederti perdono per tutto il male che ti ho causato, la colpa è solo mia, se papà si è avventato su di te come una bestia inferocita. Quando lui ritornò e chiese di te, gli risposi che eri uscita, forse con un ragazzo, era da qualche giorno, infatti, che ti prendevi più cura del tuo aspetto. Lui è uscito per venirti a cercare e, non trovandoti, ti ha aspettata in casa, comportandosi come una belva crudele e famelica. Perdonami, ti prego, non credevo di provocare una tragedia simile», confessò soffocata dai singhiozzi.
Con un debole cenno della mano, le feci capire che aveva ottenuto il mio perdono. Non riuscivo a parlare, a causa delle labbra gonfie, tumefatte: un taglio ad un lato della bocca, come cercavo di aprirla, riprendeva a sanguinare. Chiusi gli occhi, aperti più di tanto non li potevo tenere per via dei vari cerotti che me lo impedivano.
Ripensavo a Michele e ora non sentivo più la rabbia cocente crescere a dismisura dentro di me, anelando giustizia. Ora avevo un affetto tutto mio che nessuno poteva togliermi, neanche mio padre.
Riaprii faticosamente le palpebre, per non perdere i contorni della realtà, per non farmi sopraffare dalla fantasia: io che di sogni non ne avevo mai fatti. Michele era lì, davanti a me, con uno sguardo tenero e apprensivo, con la paura di parlare per non arrecarmi ulteriore fastidio.
«Michele...», riuscii appena a sussurrare.
«Teresina, sono qui accanto a te, appena ho saputo dalle voci che circolano nel quartiere, quanto ti era capitato, sono subito accorso. Avrei voluto affrontare tuo padre, dirgli che era con me che avrebbe dovuto riprendersela, tu non avevi alcuna colpa», le sue parole esprimevano una rabbia repressa a fatica.
«Quando uscirai da questa stanza, mi presenterò dinanzi a lui e gli chiederò il permesso di sposarti. Se dovesse rifiutarmelo, coinvolgerò i miei genitori, finché non mi darà il suo consenso. Sono qui vicino a te, tenero amore mio, nessuno più ti farà del male te lo prometto. Dimenticherai in fretta questo spiacevole momento, te ne regalerò tanti pieni di felicità», mi promise con risolutezza.
Dovetti ammettere che Michele era un ragazzo che sapeva mantenere le sue promesse. Ci sposammo con un rito religioso molto semplice, come piaceva ad entrambi. Pinuccio venne a vivere con me, fino al compimento dei suoi ventun'anni, poi venne reclutato come soldato nell'esercito e continuò la carriera militare.
Aveva deciso di non abusare oltre della mia generosità, del mio affetto, della mia grande casa, ma non voleva neanche ritornare a vivere con il padre, che rimasto solo nella sua misera dimora, continuava a condurre una vita dissennata.
Con il passare del tempo e l'amore di mio marito, molte delle ferite della mia infanzia e adolescenza lentamente si rimarginarono, anche se le cicatrici sfortunatamente non scompaiono, neanche nell'animo.
La nostra famiglia crebbe e tra le faccende domestiche, l'accudire ai tre figli ero talmente assorbita dalle responsabilità che i ragazzi giunsero all'età in cui si sposarono, quasi senza che me ne accorgessi.

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VOGLIA DI FUGGIRE
Historical FictionLa vicenda si svolge a Roma negli anni tra il 1928 e il 1950. Teresina, la primogenita, nasce alla fine degli anni Venti da genitori che non si sono sposati. Il padre violento e la madre debole e umile faranno da cornice alla sua infanzia avvolta da...