XIII.

154 16 0
                                    


Ognuno di noi nasce con la maglia della propria squadra del cuore già appesa in cameretta, taglia bebè, appesa con orgoglio e chiodi dal proprio padre. Ancora prima di camminare, sorretti da forti braccia, prendiamo a calci un pallone di peluche per il salotto mentre tutti fanno il tifo per noi, come se stessimo effettivamente facendo tutto noi.

Se tuo padre è particolarmente bravo a infonderti il credo del calcio e della squadra che lui ha sempre tifato, indosserai quella maglia per sempre. Non prenderai mai impegni il giorno in cui gioca la tua squadra, spenderai soldi su soldi per fare la collezione delle figurine dei tuoi idoli, passerai ore e ore in un parchetto a giocare a calcio, con un pallone tutto rovinato e due alberi che fanno da porta sentendoti come se fossi a Wembley e un giorno, quando sarai padre, educherai a tua volta tuo figlio.

Io tifo i diavoli rossi. Sono di Manchester e mio padre, da quando ero piccolo, mi ha portato alle partite, comprato maglie, sciarpe e mi ha portato ad affezionarmi ad una delle squadre più forti della storia del campionato inglese. Voglio dire, a casa ho un poster autografato di Alex Ferguson a cui tengo più della mia stessa vita.

Ci sono partite però, dove tifare Manchester United è più difficile di altre. Beh, in questo caso, campionati.

Questo non è proprio il nostro anno, anzi ripensandoci, è da qualche anno che non è proprio il nostro anno. Stiamo perdendo come una squadra di oratorio qualunque.

Siedo tra una folla, che ha perso ogni speranza di festeggiare in un pub la vittoria e che piuttosto vorrebbe affogarsi in un barile di birra.

I tifosi dell'altra squadra invece, stanno seduti tutti contenti godendosi il vantaggio di ben quattro reti, senza sentire il bisogno di mangiarsi il fegato per ogni passaggio sbagliato o quando la palla manca di poco la porta.

Andiamo! Sono sette metri mezzo per quasi tre metri, non mi sembra così difficile.

Come se le cose non potessero andare peggio, ed è sempre un male pensarla così, viene fischiato un rigore per l'altra squadra. Ovviamente la tribuna si infiamma, potete solo immaginare gli aggettivi con cui viene definito l'arbitro. In molti si tolgono la maglietta, in preda alla rabbia, chiedendosi "Perché amo alla follia proprio questa squadra?".

Okay, lo ammetto, peggio di così non può andare.

Poi vedo una macchia nera attraversare il campo, come se non ci fosse una partita in pieno svolgimento e mi maledico per aver pensato di poter passare una domenica senza seccature.

E con seccatura, intendo la mia morte. Forse avrei dovuto fare testamento mentre aspettavo che la maglietta uscisse dalla lavatrice.

Mentre discuto mentalmente come suddividere i miei averi tra i miei conoscenti, noto che la macchia nera, ora più visibile e identificabile con ...ma andiamo che ve lo dico a fare? Chi potrebbe mai essere?

Sospiro e mi alzo dal mio seggiolino, che mi è costato ben settanta sterline per novanta minuti di calcio schifoso, e corro.

Dato che tutti stanno guardando la partita, qualsiasi altra ala dello stadio è deserta. Corro a perdifiato sentendo però dei passi, assurdamente sempre più vicini, seguirmi.

Cerco il correre più veloce, credendo a un certo punto di mettere molta più distanza tra me e Rebecca, ma la mia convinzione svanisce quando due mani mi afferrano le spalle e mi sbattono contro il muro.

Gemo dal dolore, dato che l'impatto non è stato proprio l'apice della delicatezza e quando alzo lo sguardo dalle mie scarpe, trovo la mia tenebrosa amica a fissarmi.

<<Harry,>> pronuncia quasi annoiata del mio nome <<sono stanca, questo gioco è durato fin troppo.>>

<<Novanta minuti come sempre, ma probabilmente hai ragione oggi la squadra non sta dando il meglio di s->> provo a sviare il discorso, facendo finta di non aver capito che è giunta la mia ora ma lei ha capito che io so, quindi mi cinge il collo con una mano.

<<Non fare il finto tonto con me.>> Mi risponde con tono gelido. Nuovo soprannome per Rebecca: raggio di sole.

<<Probabilmente sopravvaluti le mie capacità intellettive.>> Dico con il poco fiato che ho.

<<Hai vissuto fin troppo a lungo per i miei gusti.>> Afferma, rafforzando la stretta.

<<Hai gusti che si rifanno agli uomini delle caverne?>> Domando, non aspettandomi veramente che abbocchi.

<<Uomini delle caverne?>> Esulto mentalmente per il fatto che sia riuscito davvero a distrarla. Se riesco a guadagnare abbastanza tempo, la partita finirà e i corridoi saranno riempiti da tifosi che vorranno andarsene.

<<Si, cioè sai, loro non vivevano per molto tempo ...>> la informo ricevendo uno sguardo confuso <<sai le malattie, i predatori ... ahi!>> Urlo, per quanto la stretta, che ora è stata aumentata, sulla mia gola me lo consenta.

<<Mi ricorderò di te, come uno dei più furbi e tenaci che ho ucciso.>> Ammette la ragazza, mentre probabilmente ripesa alle sue vittime.

<<Possiamo anche evitare la parte dove mi ricordi, e passare il resto della mia vita insieme!>> Propongo con lo stesso tono con cui chiedo a una persona di venire a pranzo.

<<Solo perché non ti ho ancora ucciso, non vuol dire che io tenga a te.>> Ribatte atona.

<<Questo è ovvio, sarebbe una specie di sindrome di Stoccolma al contrario.>> Non ci posso credere che sto sprecando quel poco fiato che mi rimane per risposte che non faranno altro che aumentare la sua voglia di eliminarmi.

<<Esatto, quindi facciamo una cosa veloce e dolorosa.>> Afferma, mentre si avvicina sempre di più, pronta a compiere l'atto.

<<Si dice veloce e indolore.>> La correggo, senza ormai respiro.

<<Ma allora dove è il divertimento?>> Chiede, retorica per poi ridere. Quella risata che gelerebbe il più caldo dei deserti.

Avvicina ancora di più la sua bocca scarlatta alla mia, che ormai sarà viola a causa della mancanza di aria nel mio corpo. Sento le forze abbandonarmi e la vista offuscarsi. Vedo i momenti più belli della mia vita come flash di una macchina fotografica. Avverto il peso del mio corpo inerme, ormai senza vita trascinarmi verso il pavimento.

Finisce davvero così, morirò in un lurido corridoio, in solitudine non perché la mia ora fosse veramente arrivata ma perché mi sono ritrovato, una sera, al posto sbagliato nel momento sbagliato?

Sento come se stessi per svenire, sento ogni senso scivolare via nel buio, ora non sento più.

Buon venerdì a tutti!


Vi lascio il tredicesimo capitolo della storia, fatemi sapere cosa ne pensate commentando e votando :)

Vi lascio anche una domanda, visto che da tempo non vi rompo le scatole: la vostra squadra del cuore?

La mia è l'Inter♥

Al prossimo aggiornamento,

Norah. xx

Almost Damned || H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora