Il disgelo

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“Ho un nuovo orologio. Quadrante rotondo, numeri romani, lancette in rodio.” “Ci sono trenta zaffiri naturali incastonati tra gli ingranaggi, lo zaffiro era la pietra preferita dalla mamma.”

“Victor ama curare i dettagli.” “Qualche tempo fa mi sono scontrato con il suo amico Marcus che si è complimentato per la mia lungimiranza immobiliare. Di cosa stava parlando?”

“Ho scoperto che durante i primi tre anni di matrimonio Martha ha prelevato cifre esorbitanti dal conto in comune per trasferirle sottobanco all’estero. Non so di preciso quale fosse il suo scopo ma se non fossi intervenuto ora sarei un nullatenente.” “Così ho liquidato tutti gli investimenti che avevo sottoscritto fingendo che fossero andati male e ho reinvestito quel denaro per comprare degli immobili che ho intestato a te.”

“Io non ho firmato atti di proprietà.” “Hai falsificato la mia firma?”

“Se mi lasciassi versare i soldi sul tuo conto corrente senza protestare per ogni singolo centesimo non sarei costretto ad ingannarti.” La musica del pianoforte cessò e George si zittì per rispettare il silenzio calato nella chiesa. In un istante la morte si riprese il dominio dello spazio che il suono le aveva sottratto. “Torna a casa e dai un bacio ad Alex da parte mia”.

“Tu non vieni?”

“Io vorrei restare ancora un minuto.”

“Un segreto per un segreto. Ti va?”

“Non ho voglia di giocare.”

“Nemmeno io.” “Una volta al mese telefono a tuo padre per aggiornarlo sulle tue condizioni. Non siamo diventati amici, sono scambi brevi e imbarazzati. Lui pronuncerà al massimo dieci parole e io mi sento sempre un infame per aver tradito la tua fiducia.” “C’è qualcosa che vorresti fargli sapere?”

“Digli che sto bene. Ho il morale sotto i piedi e dormo poco ma la primavera mi fa questo effetto.”

“Lo stiamo rassicurando o lo stiamo prendendo in giro?”

“Entrambe le cose.” “Ho incontrato un altro bambino che assomigliava a Evan. Siamo già a tre dall’inizio di giugno”.

“E invece di correre a dirmelo, sei venuto alla veglia di questo stronzo?”

“Volevo essere sicuro che fosse morto.” “Continuo a vederlo dappertutto, dentro agli ascensori, sui marciapiedi, nei ristoranti.”

“Passi troppo tempo da solo.”

“Non sopporto più la compagnia di nessuno”.

“Neanche la mia?”

“Soprattutto la tua.” “Lo sai che sono una brutta persona?”

“Certo che lo so. E’ una delle tre grandi certezze che governano il mio universo insieme al tiramisù e all’amore che lega Batman a Robin.” “Che cosa hai combinato?”

“La lista è infinita.” 

“Raccontami solo l’ultimo episodio.”

“Ho consigliato ad una disgraziata di spararsi un colpo”.

“C’è modo di chiederle scusa?”

“No.”

“Allora ti perdono io.” “Posso assolverti in virtù delle preghiere quotidiane che dedico alla mia zia monaca”.

“Non hai una zia monaca”.

Thomas allargò le braccia e si rivolse al cielo. “Zia Maria, tu che all’età di ottantacinque anni hai fatto gridare al miracolo di una gravidanza immacolata prima che quel medico al soldo del maligno ti ricordasse che la sera precedente avevi mangiato pasta e fagioli, veglia sul tuo pio nipote e sul peccatore che siede alla sua sinistra.”

“Cosa mi avrà spinto a lasciarti crescere mia figlia?”

“Suppongo l’invidia per la mia parente quasi santa.” Thomas si alzò e costrinse George a fare altrettanto. “Aspettami fuori.” Impartito l’ordine, si incamminò lungo la navata centrale della chiesa e guadagnata la prima fila di panche posò una mano sulla spalla della figura solitaria a cui il lutto aveva tolto anche la volontà di rialzare la testa.

La donna si riscosse dal suo pianto composto e ascoltò annuendo il discorso con cui Thomas cercò di infonderle forza.

George era troppo lontano per sentire le sue parole ma gli furono sufficienti gli occhi per vedere l’abbraccio commosso con il quale la vedova lo ringraziò quando si congedò da lei.

(segue)

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